All’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano nasce il Museo dell’arte salvata, capolavori archeologici sottratti al traffico illecito.

di Giulio de MARTINO

Il museo dell’antichità recuperata 

Giovedì 15 giugno, con una conferenza stampa, il Ministro della cultura Dario Franceschini – insieme al Comando del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) – ha annunciato l’apertura, nell’ambito dei siti del Museo Nazionale Romano, di una peculiare «raccolta museale». Si tratta dell’esposizione temporanea delle opere d’arte antica recuperate dai CC dopo che queste erano state trafugate, commerciate ed esportate illegalmente fuori d’Italia.

Nella mostra si vedono reperti provenienti da scavi clandestini effettuati in aree archeologiche italiane – di epoca compresa tra VIII secolo a.C. e III secolo d.C. -, sottratti alla pubblica fruizione e ritrovati prevalentemente negli Stati Uniti d’America sia presso collezionisti sia presso musei che li avevano incautamente acquistati.

Con il «Museo dell’arte salvata» ci si propone di divulgare le attività investigative dei Carabinieri del Nucleo per la Tutela Patrimonio Culturale (TPC) insieme alle conoscenze storiche e archeologiche e alle pratiche di catalogazione e restauro, connesse alla salvaguardia dell’«identità culturale italiana» sulla base di quanto prescrive l’art. 9 della Costituzione quando afferma che la Repubblica: «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

Il «Museo dell’Arte Salvata» – ospitato nella sala del Planetario delle Terme di Diocleziano – non intende trasgredire il principio che ogni opera d’arte asportata e trafugata debba tornare nel suo territorio di provenienza. I beni artisti e storici vi dovranno transitare – per essere esposti al pubblico – per un periodo di tempo limitato. Il fine è di divulgare il bagaglio di conoscenze e di esperienze rappresentato dalle attività di recupero delle opere d’arte trafugate, disperse, vendute o esportate illegalmente dall’Italia, attività coordinate – con crescente successo – dalla Procura della Repubblica di Roma.

Fig. 1  Il Ministro della cultura Dario Franceschini e il Generale Roberto Riccardi, Comandante del nucleo dei CC Tutela Patrimonio Culturale.

Personalità diverse, in epoche diverse, sono diventate argomento di ricerca storica proprio per la loro azione di tutela e recupero delle opere d’arte. L’opera d’arte, antica o classica, infatti, non è soltanto un inviolabile oggetto di culto, una mirabile reliquia della storia delle arti, ma costituisce anche un elemento della mutevolezza ambientale e sociale, un oggetto del desiderio per i regimi totalitari, un bene di cui appropriarsi per i collezionisti senza scrupoli.

Se i «monuments men» hanno impedito che i conflitti politici e militari del sec. XX danneggiassero il patrimonio artistico e culturale italiano ed europeo, oggi le forme nuove della conservazione, divulgazione e fruizione del patrimonio artistico nazionale vivono nella consapevolezza della complessità della presenza dell’arte sul territorio, all’interno di diversi processi politici, economici e culturali, legali e illegali[1].

Fig. 2  Anforetta etrusca a figure nere con guerrieri affrontati sulla pancia e occhioni sulla spalla. Fine del VI sec. a.C.

Le prove documentali e fotografiche in possesso dei Carabinieri del TPC hanno dimostrato che i reperti esposti nel «museo dell’arte salvata» provengono da scavi archeologici clandestini, effettuati senza le previste autorizzazioni del Ministero della Cultura. Infatti, in Italia, i beni archeologici, ovunque rinvenuti, appartengono allo Stato fin dal 1909, anno di entrata in vigore della prima legge di pubblica tutela.

In ottemperanza alla legislazione di tutela e conservazione sono stati sequestrati migliaia di reperti di varie tipologie ed epoche: manufatti etruschi, magno-greci e romani. La documentazione raccolta ha messo in evidenza la vastità del fenomeno del commercio illegale delle opere d’arte antica italiane.

Grazie agli archivi fotografici confiscati in Svizzera a un mercante operante a Basilea, a un trafficante d’arte italo-americano operante a New York e a un restauratore di Zurigo, si è potuto ricostruire il «viaggio» delle opere d’arte trafugate.

Le fotografie con cui i malviventi documentano i pezzi da rivendere ritraggono reperti inediti, ancora sporchi di terra e di incrostazioni, frutto di recenti scavi clandestini. Si tratta di opere provenienti da siti archeologici italiani, che sono state movimentate con transazioni corredate da documentazioni fittizie, poi collocate sul mercato antiquario svizzero e inglese e infine rivendute negli Stati Uniti.

Fig. 3 Coppa (kylix) attica a figure rosse con Dioniso (all’interno) e satiri con menadi (all’esterno). Inizio del V sec. a.C.

Da alcuni anni, i responsabili di importanti istituzioni museali americane, in conformità al codice deontologico per le nuove acquisizioni, hanno avviato contatti con il Ministero della cultura e i Carabinieri per verificare la lecita provenienza dei beni presenti nelle loro collezioni.

Fig. 4 Giara cilindrica (pisside con coperchio) d’impasto rosso con decorazione sovradipinta in bianco (“white-on-red”) di produzione etrusco-laziale, con motivi ornamentali disposti in registri orizzontali e animali fantastici. VII sec. a.C.

Il «Metropolitan Museum of New York» ha concluso i negoziati – intrapresi con una commissione incaricata di concretizzare gli elementi probatori che i Carabinieri del TPC avevano trasmesso all’Autorità Giudiziaria – decidendo spontaneamente di far tornare in Italia il famoso «vaso di Eufronio», trafugato clandestinamente a Cerveteri. Vi è stato poi il «Fine Arts Museum» di Boston, che ha restituito la prestigiosa statua in marmo di “Vibia Sabina”, moglie dell’imperatore Adriano, e numerosi altri beni che erano stati individuati tra le fotografie sequestrate a Ginevra.

Altre istituzioni museali statunitensi, quali il «J. Paul Getty Museum of Malibù», il «Princeton University Art Museum», il «Cleveland Museum», il «Toledo Fine Art», hanno restituito all’Italia mirabili reperti archeologici, tra cui il “Trapezophoros di Ascoli Satriano”, con il relativo corredo cerimoniale in marmo policromo.

Anche antiquari e collezionisti esteri, uniformandosi alle procedure adottate dai musei americani e alla nuova etica degli acquisti diffusa oggi a livello internazionale, hanno restituito all’Italia beni archeologici riconducibili alla documentazione sequestrata in Svizzera e quindi agli oggetti d’arte illegalmente esportati e commercializzati.

Il successo dell’azione di recupero e salvazione dei beni culturali si deve alla meritoria attività del “Comitato per il Recupero e la Restituzione dei Beni Culturali” istituito dal Ministro Dario Franceschini e del quale fa parte anche il Comando del Nucleo dei CC per la TPC. A conclusione di una vicenda giudiziaria, iniziata nel 1995, è stato possibile acquisire al patrimonio dello Stato importanti reperti che, in piccola parte, sono esposti nel nuovo museo romano.

Fig. 5 Grande vaso da banchetto (stamnos) a fi gure rosse di produzione falisca (valle del Tevere) con donna nuda seduta. Ultimo quarto del IV sec. a.C.

Le indagini hanno evidenziato l’attività di ricettazione di una grande quantità di oggetti archeologici, svolta soprattutto attraverso la Svizzera. Il meccanismo truffaldino prevedeva una prima fase di restauro dei reperti e la successiva creazione di false attestazioni di provenienza mediante l’attribuzione della proprietà a società di comodo.

Attraverso l’esame dei dati investigativi si sono individuati reperti riconducibili ad una rete internazionale di trafficanti. In Svizzera, i Carabinieri della TPC hanno scoperto cinque magazzini di opere d’arte antica sprovviste di documentazione giustificativa e di provenienza da aree archeologiche italiane, oltre a decine di faldoni di documenti, appunti e fotografie.

Indagine di rilievo è stata la cosiddetta “Operazione Teseo”, conclusasi con il sequestro di opere d’arte antica a Basilea. Tra i reperti: anfore, crateri, oinochoe, kantharos, trozzelle, vasi plastici, statue votive, marmi e bronzi, stimati di un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro.

Fig. 6  Piatto con due anse a figure rosse di produzione apula con Eros che esce da un fiore. Intorno alla metà del IV sec. a.C

Utilizzando analisi scientifiche eseguite da esperti – complici delle organizzazioni criminali del settore – era stato creato un vero e proprio protocollo per certificare i reperti, capace di ingannare anche i responsabili degli enti museali internazionali. Gli oggetti – prima di essere proposti per l’acquisto ai musei americani – venivano acquisiti da collezioni private costruite ad hoc per simulare una detenzione regolare.

I reperti falsamente repertoriati concludevano il loro «viaggio» in Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Giappone e Australia, con intermediazioni e triangolazioni che rendevano apparentemente legale la loro presenza sul mercato.

Fondamentale è stata la collaborazione e la condivisione delle informazioni tra il personale addetto alla Cooperazione Internazionale del Comando TPC e il Colonnello Matthew Bogdanos, responsabile dell’Unità che contrasta i traffici illeciti di antichità presso l’Ufficio del Procuratore distrettuale di New York.

Fig. 7  Piatto da pesce a figure rosse sovradipinte di produzione campana con drago marino (ketos), delfino e polipo. Seconda metà del IV sec. a.C.

Tutti i beni rimpatriati, a eccezione di quelli di provenienza furtiva, sono stati consegnati al Museo Nazionale Romano perché la “Direzione Generale archeologia, belle arti e paesaggio” del Ministero della cultura possa sottoporli a studi scientifici, per contestualizzarli e restituirli ai territori di provenienza.

Tra i beni rientrati in Italia di provenienza furtiva figurano il “bronzetto di offerente” asportato dal Museo Archeologico di Siena l’11 novembre 1988 e recuperato presso una società antiquaria di New York; i vasi asportati dall’Abbazia delle Tre Fontane di Roma in data 18 dicembre 1985 e recuperati presso il museo di una Università di New York; le teste in marmo provento della rapina a mano armata avvenuta il 18 novembre 1985 ai danni dell’ “Antiquarium” dell’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere.

Tra i beni recuperati – esposti in 11 vetrine nel museo romano – vi sono anche le “monete decadrammi” di Agrigento e Catania, i vasi di “Crustumerium”, commercializzati in vari musei americani ancora prima della scoperta dell’antica città preesistente alla fondazione di Roma ubicata sulla via Salaria e una serie di antefisse etrusche provenienti da un tempio non ancora ispezionato dalla Soprintendenza e inopinatamente violato dai tombaroli.

Fig. 8   Testa votiva in terracotta di produzione etrusco-laziale. IV sec. a.C.

Giulio de MARTINO   Roma  19 Giugno 2022

Scheda

Museo dell’Arte Salvata

Complesso delle Terme di Diocleziano, Aula Ottagona del Planetario. Via Giuseppe Romita, 8 – 00185 Roma

Museo Nazionale Romano

Ministero della Cultura – Direzione generale Musei

NOTA

[1] Vedi: M. PASTORE STOCCHI (a cura di) La nascita del Museo Pio-Clementino e la politica canoviana dei Musei Vaticani. Canova direttore di musei, Atti della I Settimana di Studi Canoviani (Bassano del Grappa 12-15 ottobre 1999), Bassano del Grappa 2004; F. SCRIBA, The Sacralization of the Roman Past in Mussolini’s Italy – Erudition, Aesthetics, and Religion in the Exhibition of Augustus’ Bimillenary in 1937-1938, in “Storia della Storiografia”, n. 30, 1996, pp. 19−29; LUCA SCARLINI, Siviero contro Hitler. La battaglia per l’arte, SKIRA, 2014. Il film: The Monuments Men, Stati Uniti d’America, Germania, 2014, è stato tratto dal libro di ROBERT EDSEL, The Monuments Men: Allied Heroes, Nazi Thieves and the Greatest Treasure Hunt in History, Londra, Preface, 2009. Vedi anche: BIRGIT SCHWARZ, Geniewahn: Hitler und die Kunst, Vienna, Böhlau Verlag, 2011.