Aggiornamento su Sofonisba Anguissola: i documenti d’archivio confermano le novità sulle date

di Carla ROSSI

Sul numero del 25 aprile di questa rivista, ho pubblicato un articolo in cui rendevo conto di alcune ricerche d’archivio su Sofonisba Anguissola.

(Cfr. https://www.aboutartonline.com/novita-su-sofonisba-dagli-archivi-la-verita-sullanno-di-nascita-e-di-morte-della-pittrice-di-cremona/)

Per un approfondimento della questione, rimandavo ad un ampio saggio che uscirà in inglese nella sezione Updating Herstory del numero 2, Vol. 5 della Rivista Theory and Criticism of Literature & Arts. Viste le reazioni di alcuni storici dell’arte, scettici su questioni paleografiche che costringono ad un responsabile e puntuale aggiornamento degli studi sia su Sofonisba, sia su Van Dyck (che a catena scaturisce da quanto da me esposto in merito alla data, il 12 luglio del 1629, in cui il pittore fiammingo incontrò a Palermo, viva e in buona salute, la novantaseienne pittrice cremonese), mi trovo costretta ad anticipare qui un ulteriore tassello della mia ricerca, affinché anche altri studiosi procedano, su basi fondate e non su congetture o sulla pigra reiterazione di un errore di lettura dei documenti secenteschi, ad un’auspicabile revisione degli studi sui due pittori.

Riassumo brevemente i fatti: il 12 luglio 1629 Antoon Van Dyck rende visita a Palermo a Sofonisba Anguissola e registra questo incontro nel suo Taccuino italiano, oggi custodito presso il British Museum, sotto la segnatura 1957,1214.207.110, dove si legge (fig.1) chiaramente: Rittratto della Signora Sofonisma pittricia, fatto dal vivo in Palermo l’anno 1629, li 12 di Julio: l’età di essa 96.

fig 1

Più di qualsiasi fides vitae, che Sofonisba, per ottenere la pensione, era costretta a produrre, questa testimonianza rende atto dell’esistenza in vita della pittrice nel 1629, come d’altronde già Irene Kühnel-Kunze aveva fatto notare, inascoltata, nel 1962, in Zur Bildniskunst der Sofonisba und Lucia Anguisciola.[1]

Che l’ultima cifra della data annotata da Van Dyck sia evidentemente un nove e non un quattro potrà essere confermato da qualsiasi paleografo,[2] ma rimando all’articolo del 25 aprile per un raffronto immediato tra le due cifre scritte dal fiammingo.

Concludevo il mio intervento menzionando un documento di cui diede notizia Herbert Cook, nel 1915, in More Portaits by Sofonisba Anguissola. Secondo il baronetto inglese il documento da lui reperito a Palermo, nei registri della Parrocchia di Santa Croce, sarebbe l’atto di morte della pittrice, datato 1625 e reciterebbe:

Anno Domini millesimo sexcentessimo vigesimo quinto 1625 die decima sexta Novembris fu sepolta nella Chiesa di S. Giorgio dei Genovesi la Signora Sifonisma Lomellini.

Questa trascrizione è stata reiterata per oltre un secolo da tutti coloro che si sono occupati della pittrice cremonese. Il 25 aprile facevo notare come Cook sciolga in latino la data, lasciando però quasi intendere che la stessa appaia esattamente in questo modo nel documento originale, cosa che non è affatto vera: in nessun registro (l’ho già scritto, ma tengo a ribadirlo qui), l’anno è riportato nella forma trascritta dal baronetto inglese, commettendo anche un errore di ortografia latina (sexcentessimo anziché sexcentesimo); ancora maggiormente sorprende che nella data del documento citato, al contrario di quanto accade negli stessi anni per tutti i documenti siciliani, non sia fatta menzione di alcuna indictione (à partu Virginis).

Ora, il 25 aprile lasciavo volutamente in sospeso la questione del ritrovamento di quel presunto “atto di morte” che compare nel Liber Mortuorum della parrocchia di Santa Croce di Palermo (ASDPa, Archivio Storico Parrocchia Santa Croce, n. 3772, c. 3) e contiene le indicazioni delle sepolture, rimandando per l’approfondimento all’articolo sulla rivista TCLA.

Evidentemente  non viviamo più in un’epoca in cui si possa dare un appuntamento ai propri lettori: siamo diventati avidi consumatori di dati, che raramente rielaboriamo.

Ho ricevuto insistenti comunicazioni anche in toni poco consoni ad un dialogo collaborativo, relative ad un mio presunto errore nella consultazione delle carte siciliane. C’è stato chi, senza averlo letto nella sua interezza, ha tenuto a dirmi che il mio studio sarebbe superficiale, perché non terrebbe conto del fatto che Van Dyck nel 1629 (nonostante l’evidenza) non si trovava a Palermo, ma ad Anversa, perché così vuole la vulgata sul pittore.

Ebbene, a volte mettere da parte la supponenza di correggere i lavori altrui, senza averli letti e senza aver compiuto, con la debita umiltà, una puntuale verifica dei dati a disposizione, sarebbe auspicabile anche da parte degli avidi “utenti della rete”, pronti ad esprimersi senza cognizione di causa su argomenti che conoscono solo marginalmente.

Nell’accennare alla dubbia trascrizione del presunto atto di morte della pittrice da parte di Cook non ho volutamente fornito la foto e la trascrizione esatta del documento, alludendo, invece, et pour cause, ai Registri Battesimali di Santa Croce (di cui in Cattedrale si conservavano delle copie).

Come ho accennato nel precedente articolo, il documento originale cui si riferisce Cook, differisce notevolmente da quello da lui trascritto, in quanto:

  • non riporta al suo interno l’indicazione in latino dell’anno
  • non vi si riscontra un uso arbitrario di latino e italiano frammisti
  • nella carta in cui è trascritto appare, come consuetudine, l’indicazione dell’indizione (cfr. fig. 2, con l’annotazione della prima sepoltura della c. 3: Adì 9, da leggersi nono, data la presenza del punto – invito a notare come è scritto il numero! – di novembre 9, da leggersi nona, indizione 1625)
fig. 2. ASDPa, Archivio Storico Parrocchia Santa Croce, n. 3772, c. 3

A scanso di equivoci sul fatto che l’ultima cifra della data sia un cinque, riproduco la copia fotografica del libro aperto, con i fogli 2 e 3 giustapposti (fig. 3)

fig 3

Poco più in basso, sempre a c. 3, alla data del 16 novembre si legge (fig. 4):

fu sep[ol]ta nella chiesa di S. Giorgio delli Genovisi la sign[or]a Sifonisma Lo Millino

fig 4

Ora, l’indicazione di questa sepoltura può considerarsi dirimente per affermare che Sofonisba passò a miglior vita nel 1625? Come è possibile che Van Dyck abbia incontrato, viva e in buona salute, la pittrice il 12 luglio del 1629? Bisogna ipotizzare che Van Dyck abbia annotato una data scorretta nel proprio taccuino e di conseguenza, come purtroppo è stato fatto da molti storici dell’arte, che Sofonisba, a causa della vecchiaia, non ricordasse più la propria età e avesse riferito a Van Dyck di avere 96 anni, invece di 92? E come mai sotto la lastra in marmo policromo con l’epigrafe latina fatta sistemare nel 1632 dal secondo marito di Sofonisba, Orazio Lomellini,[3] nella navata destra della Chiesa di San Giorgio dei Genovesi, di fronte alla Cappella di San Luca, non vi è alcuna tomba?[4]

E ancora, se la pittrice era realmente stata sepolta, il 16 novembre del 1625, nella Chiesa dei Genovesi, fatta erigere tra il 1575 e il 1596 nella parte più esterna del quartiere della Loggia, che motivo ebbe il Lomellini, a soli sette anni di distanza dalla presunta morte dell’amata moglie, di far apporre in suo ricordo la lastra commemorativa, invece di far cantare una messa per la sua anima, come era costume all’epoca?

La risposta a tutte queste domande è piuttosto banale: Sofonisba non ebbe figli, ma mantenne contatti cordiali con i lontani nipoti di Cremona (ricordano le fonti che una figlia di Europa Anguissola, Bianca, mantenne rapporti epistolari con la zia) e soprattutto con Giulio, figlio naturale di Orazio Lomellini, che appare in varia veste in numerosi atti della matrigna, in onore della quale fece battezzare col nome di Sofonisba la sua unica figlia femmina (il nome figura con la solita alternanza di occlusiva bilabiale sonora -b- con nasale bilabiale sonora -m-).

Presso l’Archivio di Stato di Palermo si conserva, tra gli altri, un documento notarile sottoscritto da Giulio Lomellini, datato 31 gennaio 1624 (un anno prima della registrazione della sepoltura), che così recita:[5]

quam […] pater et legitimus administrator Hettoris, Horatii, Julii Cesaris et Sofonisme Lomellino, eius filiorum.

Giulio Lomellini, come d’altronde tutte le genealogie delle famiglie patrizie genovesi riportano,[6] ebbe quattro figli: Ettore, Orazio, Giulio Cesare e Sofonisba, venuti al mondo nei primi anni del Seicento.

La registrazione della sepoltura presso la Chiesa di San Giorgio dei Genovesi, il 16 novembre del 1625, si riferisce dunque senza ombra di dubbio alla giovane Signora Sofonisba Lomellini, figlia di Giulio e nipote acquisita della pittrice, non alla pittrice stessa. La morte, sopravvenuta nel ‘25, di Sofonisba Lomellini, figlia di Giulio, è riportata anche nel Libro di Secretia di Palermo nel 1627.[7]

Quando le bambine morivano in fasce o nei primi anni di vita, nei mortuari venivano ricordate come “la figlia di”, superata la pubertà senza indicazione di paternità, in più il termine Signora o Domina (in latino) era utilizzato per le donne appartenenti alle classi sociali più elevate (le popolane sono ricordate col semplice nome) e questa consuetudine è riscontrabile anche nel registro di Santa Croce (cfr. fig. 5: carte 1 e 2 del registro per l’anno 1625)

fig. 5

Va qui infine ricordato come la stessa pittrice, negli atti notarili, appaia come Sofonisba Lomelina et Anguissola, nome con cui si firma anche nelle lettere ufficiali, tra cui, ad es. quella del 14 ottobre 1583 inviata a Filippo II di Spagna, conservata presso l’Archivio General de Simancas, Villadolid (fig. 6)

fig 6

Per un approfondimento dell’intera questione rimando dunque i più pazienti lettori all’articolo in stampa per il prossimo numero della rivista Theory and Criticism of Literature & Arts, nella sezione non a caso intitolata Updating Herstory, in cui anche altri colleghi provvedono a render conto dell’aggiornamento dei dati biografici di alcune artiste del passato.

Carla ROSSI Titularprofessorin, Università di Zurigo 9 maggio 2021

NOTE

[1] In Pantheon XX, 1962, pp. 83-96, lettura del documento a p. 84.
[2] Io, che pure lavoro da oltre trent’anni su manoscritti medievali e rinascimentali e su materiale archivistico coevo, ho chiesto conferma a ben dieci colleghi paleografi e tutti hanno confermato che la cifra è indubbiamente un nove, visto che l’usus scribendi del 4 a quell’altezza cronologica è ben diverso.
[3] Sposato in seconde nozze, a Pisa, nel 1579. Orazio fu console della nazione genovese a Palermo dal 1615, già precedentemente membro di spicco della comunità ligure in Sicilia.
[4] Su questo dato, almeno, tutti gli studi e le analisi effettuate in loco concordano: non si tratta di una lapide tombale, poiché sotto di essa non vi è alcun sarcofago. Aggiungo che, come comunicatomi da Marcello Messina, dell’Archivio Diocesano di Palermo: «l’archivio dell’aggregazione laicale, annessa alla chiesa di San Giorgio dei Genovesi, attualmente risulta disperso e sembrerebbe che sia stato trafugato a seguito dei gravi danni che subì il sacro edificio durante i bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale».
[5] ASPa, Notai defunti, stanza I, Francesco Comito 922, c. 363, 31 gennaio 1624, atto del quale, in TCLA, fornirò la riproduzione e la trascrizione completa. Per tutte quelle carte non ancora note agli storici rimando allo stesso articolo.
[6] Cfr., tra le altre, N . Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova, 1825 – 1833, rist. anast. 1971, in particolare vol. III. Carte della famiglia Lomellini si trovano nell’Archivio Pallavicino compreso nel complesso archivistico privato Durazzo Giustiniani di Genova, mentre gli Archivi parrocchiali di riferimento sono: Genova, Parrocchia di Sant’Agnese e Nostra Signoria del Carmine; Parrocchia di San Siro; Parrocchia di San Pietro in Banchi.
[7] Come illustro meglio nell’articolo per TCLA.