A proposito dell’8 Marzo. Donne, pittura e società: una parità non ancora riconosciuta.

di Rita RANDOLFI

Donne, pittura e società: riflessioni sparse.

La visione della serie tv L’amica geniale, tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante,  trasmessa dalla RAI, ed,  in particolare,  una battuta pronunciata da  una delle due protagoniste, mi ha indotto ad elaborare alcune considerazioni circa il  ruolo della donna nella pittura. Lenù, diminutivo di Elena, che ha già all’attivo il successo riscosso con la pubblicazione del primo romanzo,  invitata dal suo interlocutore a leggere  libri che parlano di donne, come Madame Bovary,  afferma con una certa determinazione il suo desiderio di voler scrivere sull’argomento, in quanto nota come le figure femminili  siano sempre state considerate unicamente dal punto di vista degli uomini.

In effetti questo fenomeno si riscontra anche nell’arte figurativa.

L’universo femminile ha sempre e, ovviamente, suscitato l’interesse degli uomini, che tuttavia hanno creato degli stereotipi – l’innocente fanciulla, la moglie, la madre, la prostituta, la femme fatale, ecc. – che in qualche misura hanno condizionato anche le donne, ingabbiandole in una sorta di recita a vita per identificarsi in ruoli pensati dai maschi per piacere ai maschi.

Mi rendo conto che il problema è molto complesso, ma qui voglio  proporre  soltanto alcune brevi riflessioni, che evidenziano come la donna, sia come autrice, sia come soggetto dell’opera sia stata da sempre relegata ai margini della società.

In pittura per secoli  essa viene presentata o come un personaggio mitologico, di cui viene esaltata la bellezza come in Venere, o la gelosia come in Giunone,  caratteristiche  che in un certo senso sono legate allo sguardo dell’uomo, ammirato oppure assente, tanto da scatenare passioni ostili, basti pensare a Medea, o a Elena di Troia, oppure viene raffigurata come una tenera madre, anzi come la madre per eccellenza, la Vergine  che tiene in braccio il suo bambino, o ancora si ricorre alla figura femminile per rappresentare un concetto allegorico, la Carità, la Giustizia fino ad arrivare alla celeberrima Libertà che guida il popolo di Delacroix.

Le artiste spesso non vengono neanche menzionate dai biografi e ancora oggi stentano a trovare un posto nei manuali di storia dell’arte. Si parla quasi esclusivamente di Artemisia Gentileschi, ma più che per il suo valore artistico, per la triste  vicenda personale che la vide vittima dello stupro subito dall’aguzzino Agostino Tassi, o di Frida Kahlo, anche lei proposta quale icona dell’opposizione al capitalismo imperante per quella sua ostinata ostentazione del costume tradizionale messicano e dei baffi, segno della  ribellione alle convenzioni, o di Tamara de Lempicka per le sue trasgressioni.

Certo oggi, per fortuna, stanno uscendo dall’ombra artiste notevoli, a cui proprio lo scorso anno è stata  dedicata un’importante mostra a Milano. Ma le varie Sofonisba Anguissola, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Ginevra Cantofoli, Orsola Maddalena Caccia, e più di recente a Roma l’Architettrice Plautilla Bricci,  che oggi cominciano a trovare il giusto spazio nel panorama culturale della loro epoca, avendo condotto esistenze “normali” senza grandi eventi, hanno dovuto aspettare secoli prima di essere valutate nella giusta ottica, prima che qualche studioso abbia condotto ricerche atte a ripercorrerne le carriere brillanti.

Le nobili potevano occuparsi della miniatura, ritenuta un’arte minore, potevano dipingere ritratti, per i quali spesso erano giudicate per l’abito indossato dall’effigiato, più o meno rispettoso della moda del tempo,  argomento classificato come “frivolo”, più difficilmente se ne coglieva la portata innovativa in senso estetico, formale, tematico. Le donne si formavano in ambito familiare, non potevano frequentare accademie.

Questa situazione si protrae fino a tutto il Settecento e  l’Ottocento.

Faustina Bracci, eccellente ritrattista  miniaturista, non riscuote lo stesso plauso dei fratelli, Virginio architetto, Alessandro scultore e Filippo pittore. E ancora nel secolo successivo  i primi pittori che spezzano con la tradizione,  gli impressionisti, che pur accolgono nel loro gruppo Berthe Morisot, non riescono   a concepire  le donne fuori dell’ambito domestico, come   le Stiratrici di Degas, e se svolgono altre attività,  o sono illecite come la  prostituzione  o sono mansioni a servizio dello svago degli uomini. Le ballerine di Degas servono per far divertire un pubblico borghese costituito anche da donne, ma che vanno a teatro per essere notate, oltre che per assistere agli spettacoli, come si vede in La loggia di Mary Cassatt del 1879 o le Giovani donne nel palco del 1882 (fig. 1).

1) M. Cassatt, Giovani donne nel palco, Washington, National Gallery

Le signorine ben vestite che si riparano con l’ombrellino di Monet, o le figlie di Renoir intente a leggere o a suonare il pianoforte rivelano un immaginario maschile in cui le donne si occupano di faccende futili,  come era giudicata allora la moda,  o creative come la musica, ma  solo per soddisfare un piacere da gustarsi nell’intimità delle quattro mura di una casa.

Il non etichettabile Manet dipinge in Angolo di un caffè concerto (fig. 2) una cameriera che sta portando un boccale di birra ad un tavolo dove è seduto un operaio, che si concede una pausa dalla sua occupazione, godendo di uno spettacolo di danza.

2) E. Manet, Angolo di un caffè concerto, Londra, National Gallery

La cameriera e la ballerina, che si vede sullo sfondo del quadro,  dunque,  servono per il relax dell’uomo, l’unico che pare aver lavorato, come se la dura disciplina della danza o il servizio in un locale non implicassero la stessa fatica.

Interessante, a tal proposito, lo studio condotto da Linda Nochlin sui dipinti della Morisot.

La pittrice, borghese, può dedicarsi al suo lavoro soltanto perché la sua condizione sociale le  consente di stipendiare una balia, Angela, che al suo posto, allatti la figlia Julie Manet (figg. 3, 4).

3) B. Morisot, La nutrice Angela che allatta Julie Manet, collezione privata
4) B. Morisot, Julie e la nutrice, Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek

Ma il dramma interiore,   quanto mai attuale,  che la lacera  è proprio questo: l’impossibilità di essere una mamma in carriera.

Dunque Berthe è consapevole che  o sceglie di prendersi cura della prole o dipinge.

Le due attività le appaiono come inconciliabili e dunque lei, in quanto  donna,  è costretta a lottare perché la  pittura sia considerata  la sua professione,  e non un’attività ricreativa da svolgere nel tempo libero.

E  allora ritrae la nutrice,  il marito, Eugene, fratello di Manet (fig. 5),

5) B. Morisot, Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival, Parigi, Musée Marmottan

qualche amica (fig. 6) come se in loro vedesse se stessa riflessa, come se proiettasse sui personaggi  i suoi sentimenti di madre frustrata, che non riesce a dedicarsi a tempo pieno né alla figlia né all’arte.

6) B. Morisot, Giovane donna e bambina su un’isola, Annapolis, Maryland, USA, Maryland State Art Collection,

Purtroppo ancora oggi questo dilemma accompagna le scelte delle giovani, specie quelle meno abbienti, e  la mancata elezione di una “presidentessa” della Repubblica  la dice lunga sullo stato reale dell’emancipazione femminile.

Il tema della maternità viene riproposto dalla Cassatt, americana naturalizzata francese, che per far intendere quanto  sia importante per una mamma e per il suo bambino essere insieme, esegue uno dei quadri più commoventi dedicato a questo soggetto,  intitolato semplicemente   Madre e Bambino i cui volti dei protagonisti sono fusi in un abbraccio simbiotico che trasuda una tenerezza infinita (figg. 7, 8).

7) M. Cassatt, L’abbraccio della buonanotte, collezione privata
8) M. Cassatt, Carezza materna, Boston, Museum of Fine Arts

L’importanza che la pittrice conferisce al gesto, accorciando, e talvolta annullando,  le distanze tra madre e figlio, apre nuove prospettive all’indagine sulla psiche sia della mamma che del bambino, la cui serenità, come dichiarato da Freud,  e da Jung dipende da questo rapporto. Successivamente l’artista ritrarrà anche la madre, anziana,  intenta a leggere in solitudine, come ribadire il ruolo sociale della donna, punto di riferimento imprescindibile per i figli  e,  soprattutto,  le figlie ormai adulte. In effetti sia la Cassatt che la Morisot si concentrano soprattutto sul rapporto madri figlie, mentre Freud aveva studiato in particolare quello tra mamme e figli maschi, elaborando il concetto del complesso di Edipo.

Come mai, ci chiediamo insieme a Linda Nochlin e a Griselda Pollock che  hanno scritto saggi memorabili su queste due artiste, la pennellata sfrangiata della Morisot, che confonde il soggetto con l’ambiente circostante,  non è stata valutata come rivoluzionaria al pari di quella di Van Gogh?  Come mai l’importanza conferita al gesto nella pittura della Cassatt e il suo utilizzo dei pastelli sulla superficie bidimensionale del quadro non ha riscosso la stessa attenzione delle sperimentazioni dei suoi colleghi uomini? Come mai ancora una volta invece di cogliere la genialità delle indagini psicologiche delle due pittrici, vengono spesso menzionate soltanto perché l’una la musa e modella del cognato Manet e l’altra in quanto amante di Degas?

Purtroppo ciò che per una donna era ed è  fondamentale, la maternità,  è stato considerato una debolezza e bollato come  non importante, ma solo perché visto con gli occhi degli uomini.

Oggi, pur ammettendo che si è percorsa tanta strada, ancora le donne subiscono ingiustizie e violenze, di cui la cronaca ci informa quasi giornalmente,  ancora devono lottare, sgomitare e dimostrare di essere più brave, più intelligenti, più competenti degli uomini, ancora vengono giudicate prima  che per la preparazione e le capacità lavorative, per la bellezza. Ma le artiste impressioniste non hanno mai dipinto donne nude, come i loro colleghi uomini, non hanno mai ritenuto il corpo femminile un oggetto da indagare, da svilire, da desiderare quasi fosse un’allettante mercanzia. Si sono concentrate invece su temi universali come il lavoro, le relazioni sociali, la vita borghese, utilizzando tecniche, inquadrature decisamente innovative.

Spiace constatare che  ci sono film, video-clip, pubblicità che ricorrono ad un linguaggio che definire poco rispettoso nei confronti dell’universo femminile è un eufemismo, testi di canzoni trap. che incitano allo stupro,  e in nome di una pseudo libertà si lasciano circolare tranquillamente, mentre ragazzini ignari del vero significato, le canticchiano sotto la doccia.

Siamo sicuri che la situazione descritta da Elena Ferrante sia diversa dalla nostra ? Siamo sicuri che la società fornisca le stesse opportunità alle donne, senza che debbano rinunciare alla possibilità di generare la vita?

Forse le donne dovrebbero smettere di voler somigliare agli uomini, di voler piacere agli uomini,  e difendere la loro meravigliosa diversità, l’istinto alla maternità, alla cura, alla protezione dell’essere umano, quell’istinto così naturale e così misterioso e ricco d’amore, che, se coltivato, potrebbe arrestare  qualsiasi tipo di violenza.

Ma occorrerebbe cambiare davvero mentalità, distruggere  stereotipi ormai stantii e affidarsi anche alla cultura per veicolare nuovi e rivoluzionari messaggi.

Rita RANDOLFI  Roma 6 Marzo 2022