A Firenze il “Falstaff” di Verdi; un notevole successo per un evento nel solco della tradizione

di Claudio LISTANTI

E’ andata recentemente in scena al Teatro dell’Opera di Firenze una nuova produzione dl Falstaff di Giuseppe Verdi affidato alla bacchetta di John Eliot Gardiner ed al regista Sven-Eric Bechtolf che ha ottenuto un notevole successo di pubblico.

Assistere ad una recita di Falstaff, per chi come noi ama il teatro d’opera, è sempre un evento di speciale attrazione non solo per i suoi indiscutibili contenuti musicali ma anche per la sua collocazione nell’ambito della produzione verdiana e della Storia del Teatro per Musica che rende l’ascolto di grande fascino e partecipazione.

Fig. 1 Il musicista Giuseppe Verdi in una immagine dell’epoca del Falstaff del fotografo milanese Achille Ferrario

Rappresentato per la prima volta alla Scala di Milano il 9 febbraio del 1893 da un Verdi quasi ottantenne, il Falstaff si può considerare come il testamento artistico del musicista, un’opera che è il giusto coronamento di una lunga carriera a quel momento durata 54 anni, che riservava, comunque, altri piccoli ma importanti sussulti nel campo della musica sacra (gioielli come il Te Deum e lo Stabat Mater), ma che ha chiuso in maniera esemplare il suo percorso di operista. Dopo il grande successo di Otello del 1887 che poteva essere già essere considerata una ottimale conclusione di carriera, da molti parti arrivarono a Verdi diversi incoraggiamenti a continuare nella sua attività. Il musicista non rispose immediatamente a queste proposte, non solo perché in fase di riposo dopo le fatiche che lo condussero al trionfo di Otello ma, anche perché, impegnato nella sua attività di benefattore che all’epoca vedeva la costruzione dell’Ospedale di Villanova sull’Arda, il comune del piacentino nel quale si trova Villa di Sant’Agata, e destinato all’assistenza sanitaria degli abitanti della zona, la cui realizzazione era da lui seguita attivamente. Ma in quegli anni c’era anche una notevole crisi economica che costringeva molti contadini della zona a lavorare in città.

Una persona come lui, molto attenta ai problemi di carattere sociale, cercò di evitare questi inconvenienti, cosa che lo rese molto attivo nell’alleviare le difficoltà della sua gente. Infatti ridusse gli affitti nelle sue fattorie, migliorò il sistema di irrigazione delle sue proprietà per rendere molto più fruttuose le coltivazioni mettendo anche in atto operazioni che consentirono la creazione di nuovi posti di lavoro.

Fig. 2 Una immagine di Arrigo Boito intorno al 1900. Foto di Félix Potin et Cie

Tutte attività, queste, molto impegnative per un uomo della sua età ma che, sicuramente, consentirono una personale riflessione sui nuovi impegni musicali da intraprendere per i quali, oltre a delle considerazioni generiche, non aveva dato segni tangibili di un possibile ritiro.

La scintilla nacque con Arrigo Boito, suo librettista del momento, che aveva contribuito nel 1881 all’importante rifacimento del Simon Boccanegra e, nel 1887, alla creazione di Otello. Boito inviò a Verdi l’abbozzo di un nuovo libretto, questa volta una commedia, ispirata a Le Allegre Comari di Windsor di William Shakespeare, un autore che nella vita di Verdi ha riscosso costantemente la sua attenzione per eventuali ispirazioni di nuove opere. Prima della collaborazione con Boito solo Macbeth trovò la versione in opera, nel 1847, grazie al suo librettista di fiducia di allora, Francesco Maria Piave che ne produsse una riduzione del tutto efficace, ancora oggi molto apprezzata. Con la conoscenza di Boito questa sua attenzione al drammaturgo inglese si rafforzò con grande intensità regalando le due splendide opere della vecchiaia, Otello e, appunto, Falstaff.

La proposta di Boito fu accolta con entusiasmo da Verdi forse anche perché era in cerca di una rivalsa per lo scarso successo avuto con l’opera di carattere buffo del 1839, Un Giorno di Regno, suo secondo lavoro di gioventù che fece considerare a molti una presunta incapacità del musicista a questo particolare genere. Verdi comunque espresse a Boito il timore di non essere più all’altezza di concludere questa ulteriore fatica. Boito, intuendo anche il desiderio del musicista di orientarsi verso l’opera comica, in una sua lettera incoraggiò Verdi con queste parole con cui convinse definitivamente Verdi ad affrontare l’impresa.:

“Lo scrivere un’opera comica non credo l’affaticherebbe. La tragedia fa realmente soffrire chi la scrive, il pensiero subisce una suggestione dolorosa che esalta morbosamente i nervi”.
Fig. 3 La fila davanti alla porta del loggione della Scala all’epoca del Falstaff, in una foto di Arnaldo Ferraguti (Illustrazione Italiana,1893)

L’accordo tra Verdi e Boito per la produzione di questa nuova opera non divenne subito di dominio pubblico. Lo stesso Ricordi ne venne a conoscenza diversi mesi dopo ed il fatto costituì una vera e propria lieta sorpresa per tutto l’ambiente.

L’adattamento approntato da Arrigo Boito della commedia Le Allegre Comari di Windsor di William Shakespeare è di straordinario spessore poetico; il musicologo Charles Osborne nella sua Guida Critica alle opere di Verdi sostiene che il poeta compì “… un miracolo di rattoppo sul quel polpettone macchinoso che sono The Merry Wives of Windsor”. La commedia di Shakespeare, nella quale il personaggio di Falstaff è ricavato dal suo Enrico IV, è nel complesso un po’ melensa e dispersiva nell’intreccio. Boito lo ridusse in modo radicale. I personaggi dai 22 dell’originale divengono 10, gli atti da cinque a tre così come le burle patite da Falstaff passano da tre a due con l’eliminazione di quella del bastonamento, restando attive quella del cesto della biancheria, episodio baricentrico dell’opera di Verdi, e quella finale ambientata nel bosco con i folletti cha assalgono Falstaff. Nel contempo prese anche spunto dal precedente Enrico IV nel quale agisce, ma come parte di secondo piano, il personaggio di Falstaff. L’operazione letteraria di Boito dona coerenza a tutta la trama, la rende scorrevole, piacevole e veloce adatta ad accogliere la parte musicale che Verdi aveva già in testa da tempo, grazie anche ad una struttura teatrale simmetrica con tre atti ognuno dei quali di pari durate e diviso in due scene per un totale di sei.

Fig. 4 Il direttore John Eliott Gardiner durante un concerto al Maggio Musicale Fiorentino © Michele Monasta. Maggio Musicale Fiorentino

Per quanto riguarda la parte musicale Verdi concepì una partitura del tutto geniale. Il successo ottenuto lo ripagò, certo, del giovanile Un Giorno di Regno e del suo scarso successo che, però, è anche da attribuire al fatto che il genere opera buffa, in quel lontano 1839, si stava affievolendo per la mancanza di un apprezzabile rinnovo nello stile. Ed è proprio da considerare sotto questo aspetto la genialità di quest’opera. Con essa Verdi trovò quel rinnovo necessario al genere comico prima citato riuscendo, con la musica e con la parte vocale, a dare all’insieme i caratteri della commedia, soprattutto a rendere la trama coesa, scorrevole, comprensibile e coinvolgente. I caratteri innovativi più importanti sono da ricercare soprattutto nella linea di canto che Verdi realizza raggiungendo quel ‘declamato melodico’ che in questo caso è pienamente realizzato, dopo le varie sperimentazioni che si sono succedute per tutta la sua produzione a partire dalla propria giovinezza. Qui i ‘pezzi chiusi’ sono del tutto assenti e lo sviluppo della trama si realizza pienamente con il fluire della comprensione del testo. Un modo di cantare che non esclude la melodia, resa essenziale, forse scarna, ma ricca di spunti melodici; i cantanti sono messi in una condizione di parità tra loro con linee vocali impegnative per tutti ma differenziate solo quantitativamente per i diversi personaggi.

Fig. 5 Nicola Alaimo (Falstaff) e Sara Mingardo (Quickly) © Michele Monasta. Maggio Musicale Fiorentino

Molti critici del XX secolo, giudicarono quest’opera come la chiave che aprì la porta al ‘900 musicale per i suoi incontrovertibili elementi di innovazione. Siamo anche in presenza di raffinatissima orchestrazione che sottolinea con continuità l’evoluzione dell’azione, presentando degli elementi ‘onomatopeici’ descrittivi di certe situazioni come il tintinnio delle monete offerte da Ford a Falstaff. La compagnia di canto è spesso di divisa in blocchi, uomini e donne, seguaci di Ford e seguaci di Falstaff favorendo, in un certo senso, la collettività dell’esecuzione. La cura di Verdi per questa opera fu estrema. Interruppe la composizione dopo due atti e mezzo per procedere all’orchestrazione, cosa inusuale in Verdi, per il timore di dimenticare idee strumentali immaginate. Ma quello che più colpisce è l’annotazione che Verdi scrisse nella partitura quando inviò a Ricordi quella del terzo atto:

“Tutto è finito! / Va, va vecchio John / Cammina per la tua via / Fin che tu puoi / Divertente tipo di briccone / Eternamente vero sotto / Maschera diversa in ogni / Tempo, in ogni luogo! / Va, va, / Cammina, cammina / Addio”.

Queste toccanti parole sono il suo congedo dal Teatro e dalla Musica, le arti che più amava, ma anche il suo testamento artistico che ci ricorda l’importante suo lascito per le nostre personali sensibilità. Sono parole che offrono anche un chiave di lettura del Falstaff, soprattutto per la giocosità della trama che il musicista osserva da lontano, non senza una vena di malinconia per il tempo passato, regalandoci però una speranza per il futuro che espressa dal matrimonio trai due personaggi più giovani, Nannetta e Fenton, i soli due ad avere un accenno di aria per ciascuno, un omaggio al passato ma anche un fascio di luce che illumina, e ci dona, speranza per il futuro.

Fig. 6 Simone Piazzola (Ford) e Christian Collia (Dr. Cajus) © Michele Monasta. Maggio Musicale Fiorentino

Il successo del Falstaff, dopo la prima assoluta, fu travolgente e Verdi osannato dallo straripante pubblico che assistette alla recita, un evento straordinario che portò Verdi, la sua musica e le sue opere, anche nel cuore di coloro che si mostrarono scettici verso la sua arte musicale.

L’esecuzione ascoltata presso il Teatro dell’Opera di Firenze, come già accennato, è stata del tutto valida. Innanzi tutto c’è da dire che, finalmente, abbiamo potuto assistere ad uno spettacolo d’opera ambientato all’epoca riportata dal libretto cosa divenuta ormai piuttosto rara visto il personalismo di molti registi incaricati degli allestimenti, spesso protagonisti di improbabili cambi d’epoca, di modernizzazioni e attualizzazioni, il più delle volte incomprensibili.

Fig. 7 Ailyn Pérez nella parte di Alice © Michele Monasta. Maggio Musicale Fiorentino

Per questo nuovo allestimento il regista Sven-Eric Bechtolf ha concepito uno spettacolo di tipo elisabettiano rispettoso dell’originale shakesperiano al quale si abbinava anche un certo stile d’insieme ‘ottocentesco’ omaggio all’epoca di composizione, grazie anche alle scene di Julian Crouch, semplici ma appropriate, agli eleganti e raffinati costumi di Kevin Pollard ai quali si sono aggiunte le efficaci luci di Alex Brok e le, ormai usuali, proiezioni video affidate a Josh Higgason.

Per quanto riguarda la parte musicale è stata affidata alla sapiente bacchetta di John Eliot Gardiner, direttore di grande e comprovata esperienza, eccellente in diversi generi musicali tra i quali anche l’opera lirica.

Fig. 8 Falstaff. Il finale del secondo atto © Michele Monasta. Maggio Musicale Fiorentino

L’esecuzione ha messo in luce una cura approfondita da parte del direttore inglese nel mettere in risalto l’elegante orchestrazione della partitura verdiana, con particolare attenzione non solo all’insieme orchestrale ma anche a tutti quei piccoli ma significativi particolari che la impreziosiscono, mettendone in risalto lo stile e l’eleganza, grazie anche alla buona prova dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Una concertazione che ha anche favorito una fusione ideale con la compagnia di canto che vogliamo citare per intero ma mettendo tutti i componenti sullo stesso piano come vuole lo stile di questa grandissima opera: Nicola Alaimo Falstaff, Simone Piazzola Ford, Matthew Swensen Fenton, Christian Collia Dr. Cajus, Antonio Garés Bardolfo, Gianluca Buratto Pistola, Ailyn Pérez Alice, Francesca Boncompagni Nannetta, Sara MIngardo Quickly e Caterina Piva Meg.

Concludiamo citando la prova del Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretto da Lorenzo Fratini che ha impreziosito il finale con il giusto spessore sonoro a questa pagina musicale che è il perfetto suggello di un capolavoro e del suo significato, la fuga finale “Tutto nel mondo è burla” affidato a tutti gli interpreti; una pagina di grande effetto, una fuga scritta secondo canoni strettamente scolastici i cui elementi (soggetto, risposta, controsoggetto, ecc.) Julian Budden, forse il critico più importante che ha analizzato le opere di Verdi, giudica questi elementi “trattati con audacia e una libertà da innalzarli vertiginosamente rispetto all’accademismo ed al contrappunto dei Conservatori…”  Anche qui, molti a suo tempo, vollero leggere una rivalsa, quella verso il Conservatorio di Milano che rifiutò di accogliere il giovanissimo Verdi. Ma in questo caso, piuttosto, c’è da vedere molto più chiaramente una specie di riflessione del musicista che nella sua piena maturità, ci spiega il personale senso della vita come dimostrano anche le ultime parole che sottolineano la conclusione della commedia “Tutti gabbati…”.

Fig. 9 Falstaff. Scena finale © Michele Monasta. Maggio Musicale Fiorentino

La recita alla quale abbiamo assistito (ci riferiamo a quella del 30 novembre) è terminata con lunghi e reiterati applausi da parte del numeroso pubblico convenuto presso la moderna sala del Teatro dell’Opera di Firenze, chiamando più volte al proscenio tutti gli interpreti, testimonianza di un incondizionato gradimento per lo spettacolo e la proposta teatrale costringendo, anche, Gardiner ad offrire un ‘bis’ che non poteva essere altro che il “Tutti gabbati…” finale.

Claudio LISTANTI  Roma  5 dicembre 2021