A 50 anni dalla scomparsa, l’eredità di Picasso e le controverse opinioni. Una collettiva a Roma.

di Carla GUIDI

La borgo Pio Art Gallery, in via degli Ombrellari 1/2/3 Roma, ospiterà dal 15 al 22 aprile 2023 una mostra collettiva dedicata al maestro che ha fortemente dominato il panorama dell’arte del ‘900, in linea con le molte celebrazioni a Roma e nel mondo.

Una mostra commemorativa ma anche un’occasione, che alcuni artisti, in qualche modo grati alla sua eredità, hanno deciso di cogliere per discutere sulle molte opinioni ed anche le polemiche che hanno seguito la fama del maestro, in vita e dopo la sua morte avvenuta l’8 aprile 1973 a Mougins, in Francia. Gli artisti in mostra sono: Simona Bencivenga, Chiara Boccassini, Dario Dabbeni, Anna Di Fusco, Paolo Pardi, Mauro Russo, Tiziana Santini, Luisa Valeriani, ma sono in programma anche due eventi.

All’inaugurazione il 15 aprile 2023 dalle ore 17,00 il prof Mauro Russo, (artista egli stesso) parlerà estesamente della vita e dell’opera di Pablo Picasso e delle innovazioni, vere e proprie rivoluzioni da lui apportate alla storia dell’arte del ‘900. Durante la serata del vernissage verrà anche presentato un capo d’abbigliamento ideato dallo stilista delle celebrità Josè Lombardi dalla “Maison Lombardi Haute Couture” dipinto a mano dall’artista Paolo Pardi.

Il secondo evento il 21 aprile dalle ore 18, fa parte di RAW ART NIGHT – LE NOTTI DELL’ARTE CONTEMPORANEA.

Chi scrive è stata coinvolta dalla Galleria, in qualità di relatrice, nell’esame e nella lettura di un libro del 1973, ripubblicato ad alcuni mesi dalla scomparsa di Picasso e darà inizio alle testimonianze dei presenti. Si tratta degli – Scritti di Picasso, a cura di Mario De Micheli (Feltrinelli UE 676 giugno 1973). L’attrice Simona Verrusio ne leggerà alcuni brani.

Si tratta di un libro interessante, una raccolta di appunti raccolti dalle sue annotazioni o da frasi riportate a testimonianza da amici e conoscenti dell’artista stesso, ma anche di suoi commenti, poesie e una commedia “Il desiderio preso per la coda”, scritture che ci rivelano qualcosa di lui, come riscontro o contrappunto al suo linguaggio visivo. Mario De Micheli si esprime così a riguardo:

Nel caso di Picasso questo senso dell’identità si denuncia in ogni frase con prepotenza. Brillante, fantasioso, plastico, Picasso si esprime nelle sue battute, nelle sue risposte, nei suoi giudizi fulminanti, con una libertà totale, senza freni o inibizioni. Non c’è mai nulla di astratto, di “teorico”, di pedante in quello che dice e in come lo dice. Si capisce che ogni sua frase, ogni sua parola, nasce sempre dalla verità della sua esperienza umana e creativa insieme, ha una radice nel suo essere, nel suo fare, nel suo vivere. Questa è la ragione  per cui i suoi giudizi, che spesso prendono un tono caustico, ironico, dissacratorio, hanno sempre, anche nella loro formulazione, qualcosa di pungente, di stimolante. (…) Basta leggere i suoi giudizi sugli antichi nelle conversazioni con Kahnweiler per rendersene conto, giudizi “ingiusti” cattivi, denigratori che hanno già mandato in bestia mezzo mondo, ma che nel fondo toccano assai spesso improvvise verità, definiscono una particolarità, un carattere, la fisionomia singolare di un artista con stupefacente efficacia”.  (pag 9)

Questo argomento ci porterebbe ad un lungo elenco di fatti storici e di libri pubblicati sull’artista, ma per sintetizzare a quanto viene riportato da De Micheli, l’inizio della sua attività letteraria viene restituita dalla testimonianza di Jaime Sabartés come un’attività segreta e solo nel ’39 Picasso si innamorò dell’idea di pubblicare un volume che raccogliesse i suoi scritti. Viene riportato anche il problema da lui sentito di come scrivere i suoi versi o le sue prose poetiche che, da principio, aveva cominciato a scrivere separando i versi o le frasi con delle lineette più lunghe o meno lunghe a seconda delle pause: ben presto eliminò sia le lineette che la punteggiatura e pensò di scrivere le parole tutte di seguito, l’una attaccata all’altra. Poi abbandonò anche questa idea che avrebbe dato illeggibilità al testo, ma la ragione di tutto il rovello va ricercata nel fatto che Picasso credeva al metodo surrealista dell’automatismo, pur negando di essere surrealista.

Una cosa però è certa, che la frequentazione dei surrealisti lo spinge ad una nuova libertà d’espressione, a una maniera più immediata e diretta di collegare segno e colore all’impeto del sangue, ai sovvertimenti profondi dell’essere. (…) In genere, leggendo i testi di Picasso, bisogna da prima soffermarsi su alcune parole, su alcune immagini, magari isolandole dal contesto: sono quelle parole e quelle immagini che costituiscono la struttura centrale del testo, attorno alla quale si raggruppano poi le altre parti. Questo modo di avvicinare le poesie di Picasso consente d’avere un certo orientamento iniziale, che ad una seconda e terza lettura si arricchisce, assimilando altri elementi, rendendoli evidenti.  (pp 20/23)

Prosegue ancora De Micheli riguardo ai testi delle commedie di Picasso, per esempio il testo della commedia – Il desiderio preso per la coda – riportato nel libro. Una commedia grottesca e dell’assurdo, di traboccante foga verbale che acquista la sua vera dimensione solo sapendo che è stata scritta in quattro giorni nel 1941 e che rievoca, per simboli ed allusioni, il primo periodo della guerra, quando ogni oggetto ed ogni situazione diveniva assurdo per crudeltà e sofferenza umana.

Allora anche il gioco sfrenato di Picasso diventa meno arbitrario e ad un tratto una parola, una battuta acquistano un particolare rilievo, come quella, ad esempio, bellissima, pronunciata da Piedone nella scena che conclude l’ultimo atto: “Accendiamo tutte le lanterne. Lanciamo con tutte le nostre forze i voli delle colombe contro le pallottole e chiudiamo a doppia mandata le case demolite dalle bombe.” (pag 26)
4 Mauro Russo, Gli amanti, Olio su tela cm 100×88

E’ nota infine la posizione di Picasso rispetto all’arte astratta e, come dice sempre De Micheli, non sarebbe difficile trovare molte sue affermazioni antitetiche tra loro, contraddizioni non diverse da quelle che appaiono nelle sue opere. Picasso non è certamente un pittore che ha trovato e mantiene una formula costituita, ripetendola all’infinito, ma c’è qualcosa che mantiene costante la sua poetica …

Egli mantiene di fronte alle cose una disponibilità assoluta, accetta la presenza delle cose, si offre al loro urto, ne avverte e ne vive emozionalmente la concretezza e soprattutto si rifiuta di mettere alle cose la camicia di forza di una convenzione formale, preesistente all’emozione, agli umori, al dramma o alla felicità che il rapporto con le cose gli ha provocato nel petto. (…)Questo atteggiamento nei confronti della realtà e quindi nei confronti dell’espressione figurativa, costituisce quella che si potrebbe chiamare la “costante picassiana” la coerenza nell’apparente incoerenza, l’unità nelle contraddizioni, ed è l’elemento di fondo della sua poetica a cui è riconducibile tutta la sua creazione. (pp 10/11)
5 Anna Di Fusco Monotipo 50 x70

Questo rapporto con la realtà, gli altri, gli oggetti e i sentimenti della vita si esprimeva soprattutto nelle sue narrazioni visuali “autobiografiche” come è noto, espresse infine anche con un nuovo percorso che tutti i testi di Storia dell’Arte identificano con il quadro Les Demoiselles d’Avignon, uno dei più celebri dipinti di Pablo Picasso, considerato il manifesto del Cubismo, realizzato ad olio su tela tra la fine del 1906 e il luglio del 1907.

Tuttavia non è troppo noto un passaggio che ci rivela in Picasso un aspetto magico e visionario, che senza dubbio ha contribuito a renderlo famoso anche presso un pubblico eterogeneo, poiché l’artista ha la capacità di pescare nelle profondità inconsce comuni all’intera umanità ed ha a che vedere, a mio parere, con la tesi di fondo del volume di Horst BredekampImmagini che ci guardano – (Cortina editore 2015). La forza intrinseca di un’opera – l’enargeia (in greco antico ἐνάργεια) di cui parla il citato Aristotele nella Retorica – ha la capacità di legare a sé lo spettatore, arrivando perfino a togliergli la libertà e Bredekamp sostiene nella sua teoria dell’atto iconico:

“mentre la lingua parlata è propria dell’uomo, le immagini gli vengono incontro sotto il segno di una corporeità aliena: esse non possono venire ricondotte pienamente a quella dimensione umana cui devono la propria realizzazione, né sul piano emotivo né mediante azzardi linguistici. Una volta prodotte, diventano autonome e incutono ammirazione e paura, sono cioè oggetti capaci di suscitare sensazioni fortissime”.
6 Dario Dabbeni, Oltre, Tecnica mista e tessuto- cm 130×205

Per confermare questa ipotesi, riportiamo quindi una conversazione avuta con l’amico, artista come lui, André Malraux, a proposito dell’influsso dell’Art nègre sulla sua opera e della nascita delle Demoiselles d’Avignon:

«Le maschere, non erano sculture come le altre, non lo erano affatto. Erano cose magiche… I negri, erano intercessori (mi ricordo la parola francese da allora). Contro tutto: contro gli spiriti sconosciuti, minacciosi. Guardavo tutti quei feticci. E ho capito. Anch’io sono contro tutto. Anch’io penso che siamo circondati da forze sconosciute, nemiche. Il Tutto! Non i dettagli: le donne, i bambini, gli animali, il tabacco, il gioco…ma il Tutto! ho capito a cosa servivano ai negri le loro sculture. […] tutti i feticci avevano la stessa funzione. Erano armi. Per aiutare la gente a non obbedire più agli spiriti, per diventare indipendenti e erano utensili. Se noi saremo capaci di dare una forma agli spiriti diventeremo indipendenti. Gli spiriti, l’inconscio (di cui si parla tanto), le emozioni: è sempre la stessa cosa. Ho capito allora perché ero pittore. […] Les Demoiselles d’Avignon sono nate probabilmente quel giorno, ma non a causa delle forme: ma perché quella è stata la mia prima tela di esorcismo, proprio così!».

Dialogo scritto da André Malraux nel suo libro Il cranio di ossidiana  (Abscondita, 2001) e riportato da Claudia Beltramo Ceppi in  http://www.arteecarte.it/primo/articolo.php?nn=1598

7 Luisa Valeriani, Pensieri, tecnica mista cm 50×60

Tornando a pochi giorni fa, si può ancora leggere sul web un articolo di Emanuela Minucci su La Stampa dal titolo – L’Inghilterra processa Picasso: “Il suo odio per le donne può oscurare Guernica”. A 50 anni dalla morte del genio spagnolo in Gran Bretagna esplode la polemica: un artista narcisista, sociopatico e violento non può essere solo celebrato –

che riporta un commento ad un articolo pubblicato su Il Guardian – https://www.lastampa.it/cultura/2023/04/11/news/linghilterra_processa_picasso_il_suo_odio_per_le_donne_puo_oscurare_guernica-12747844/

Secondo il tabloid inglese questo anniversario – scandito da un fiorire di celebrazioni, mostre e convegni – dovrebbe invece costituire l’occasione di scandagliare l’uomo Picasso zeppo di difetti intollerabili. L’accusa non resta sul generico, il Guardian li elenca: un mostruoso misogino, notoriamente crudele, usurpatore culturale, «vampiro, sociopatico, narcisista che si è lasciato dietro tradimenti e suicidi». A denunciare questi giganteschi difetti è il critico del quotidiano inglese, Adrian Searle. Quindi apre ufficialmente il dibattito che certamente non resterà confinato oltre Manica. Chiedendo a esperti, critici e altri artisti: l’indicibile trattamento che PIcasso riservava alle donne possono oscurare capolavori come la Guernica?

Personalmente credo non sia corretto valutare eticamente o criticamente le opere di un artista dai suoi comportamenti privati che andrebbero comunque confrontati attraverso altri parametri storici e sociologici, inoltre ad una distanza tale e addirittura post-mortem degli interessati. Ma oggi ci stiamo abituando troppo agli sconfinamenti tipici dei social e ad ogni rimescolamento e sollecitazione che induca emozione a basso prezzo, confrontando indebitamente i percorsi simbolici dei linguaggi artistici con le nevrosi personali delle quali gli artisti possono essere afflitti, soprattutto in una società malata e soprattutto non ancora guarita dal vizio della guerra, ancora della stessa natura di quella che ha creato Guernica.

  • “È lei che ha fatto questo orrore?”, “No, è opera vostra”. Si dice che siano queste le parole scambiate tra l’ambasciatore tedesco Otto Abetz e Picasso, durante una visita presso lo studio dell’artista.

Carla GUIDI Roma 13 Aprile 2023