di Francesca BECONCINI
Francesca Beconcini, nata a La Spezia, ha esercitato la professione forense. Ha collaborato con ambientalisti ed associazioni ambientaliste. Da lungo tempo si dedica allo studio dell’ermetismo e dell’Alchimia. Negli ultimi anni ha approfondito la ricerca della simbologia alchemica nelle opere d’arte. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art.
“Egli stesso, desiderando che il mondo superiore non restasse più inerte, decise di riempirlo di spirito (pneuma), in modo che, sin nei dettagli, la creazione non risultasse immobile e inattiva; si fece artigiano di questo disegno e usò sostanze sacre per la realizzazione della sua opera. Dopo aver tratto da se stesso spirito (pneuma) sufficiente e averlo mescolato con sapienza al fuoco, lo amalgamò con alcune altre sostanze sconosciute; fuse in un tutto unico questi elementi, accompagnandosi con alcuni incantesimi segreti, agitò bene il miscuglio finché sulla sua superficie brillò e sorrise una sostanza più sottile, più pura e più diafana di quelle da cui proveniva: era trasparente e solo l’artefice la vedeva. E, giacché non si scioglieva, quando veniva sottoposta all’azione del fuoco, perché da lui proveniva, né si raffreddava, dopo essere stata portata a termine, perché traeva origine dallo spirito (pneuma), ma aveva una forma propria e particolare, che traeva la propria costituzione tipica e peculiare dalla miscela di cui era formata, dio la chiamò Animazione (Psýchosis), dal nome più propizio e dall’energia conseguente a quel nome. Da questa crosta rappresa dio fece nascere le anime, moltissime ma nel numero necessario, regolando la loro fioritura da quel miscuglio secondo la propria volontà, con ordine e simmetria, con l’esperienza e la ragione necessaria” (Kόre Kόsmou -, 14-16).
Il Kόre Kόsmou, la Pupilla (o Fanciulla) del Cosmo, è un trattato ermetico che è parte dei pensieri raccolti dall’erudito bizantino Stobeo (V sec.), il quale, nel suo Anthologium, riporta 40 discorsi di astrologia, alchimia, teologia. Undici di essi sono estratti del Corpo Ermetico.
Il Kόre Kόsmou, il Corpo Ermetico e l’Asclepio, attribuiti ad Ermete Trismegisto, costituiscono la più nota ed autorevole espressione del sincretismo ermetico dei primi secoli dell’era cristiana. Gnosticismo, neoplatonismo, cristianesimo, ebraismo, orfismo, la teologia egiziana e mediorientale, plasmano il pensiero ermetico dei testi citati che è, essenzialmente, fondato sull’idea di processio, una processione di qualità e virtù dall’alto al basso e viceversa. Il Kόre Kόsmou è una gnosi egiziana in cui convergono elementi platonici ed orfici. Il testo si snoda in un racconto in cui Iside rivela al figlio Horus i misteri della nascita del cosmo e del destino delle anime.
La diffusione dei trattati ermetici, con l’eccezione di qualche teologo cristiano, Clemente Alessandrino, Lattanzio ed Agostino, era avvenuta nel mondo arabo dove, nel periodo medioevale, la ricerca scientifica e sapienziale avevano goduto di condizioni assai più favorevoli di quelle applicate nel mondo cristiano. Nel 832 il califfo al Ma’mùn aveva fondato a Baghdad la “Casa della Sapienza” concepita come fabbrica di traduzione o di adattamento dal siriaco o dal greco in arabo. La dottrina di una filosofia perenne era diffusa tra i mistici neoplatonici arabi secoli prima che nell’Accademia platonica si discutesse di Prisca Theologia.
“Ora mi chiamano il pastore delle gazzelle del deserto, Ora monaco cristiano, Ora seguace di Zoroastro. L’Amato è trino eppur uno: Proprio come quei tre in realtà sono uno solo”. Mohiudin ibn el-Arabi (XII-XIII sec.)
Solo nel Basso Medioevo la Sacra Arte rientra in Europa da Bisanzio ed attraverso i conquistatori musulmani. Marsilio Ficino, richiesto da Cosimo de’ Medici, interrompe la traduzione dei testi platonici per dedicarsi a quella del Corpo Ermetico. Tale era l’entusiasmo con cui i potenti e gli eruditi dell’epoca si accostavano agli studi ermetici, ora per scoprire rivelazioni meravigliose, ora per legittimare il loro potere ed influenza. Il successo dell’ermetismo si diffonde rapidamente in tutte le corti europee dove diviene blasone, segno celebrativo della grandezza della casata.
Alfonso I d’Este non era solo uomo d’armi: approfondiva anche discipline umanistiche, non disdegnava l’operatività artigianale e forse quella alchemica. I soggetti dei dipinti, commissionati a Tiziano, Giovanni Bellini e Dosso Dossi, restituiscono l’immagine di un conoscitore dell’antichità classica ed ermetica. In Giove che dipinge farfalle la mimesi classica, con gli dei greci protagonisti, vela l’attenzione del committente su argomenti appartenenti alla Tradizione Sapienziale piuttosto che alle vicende del pantheon greco o al gusto per l’allegoria da intrattenimento durante i convivi cortigiani.
L’opera fissa l’eternità del comando divino utilizzando i personaggi di una genesi gnostica, la Kόre Kόsmou. La scena del dipinto è pervasa di lirismo poetico che la sospende in una dimensione iperuranica, nei luoghi degli dei intellegibili ed intellettivi dove si trovano il vero essere, la pianura della verità, il prato (Proclo). Dosso Dossi riserva uno spazio sacro realizzando una composizione leggiadra, enigmatica e ‘volatile’, consona alla Natura degli dei.
La bellezza del dipinto nasconde un rebus che l’ospite del duca Alfonso poteva risolvere solo se aduso agli scritti sapienziali. Farfalla in greco è psyché -ψυχή- che significa anche anima, respiro. Dio, nel Kόre Kόsmou, chiama Animazione –Psýchosis- l’energia, tratta dal proprio Pneuma e mescolata al fuoco e ad altre misteriose sostanze, con cui genera le anime (si veda il periodo iniziale). L’Artefice compie la medesima operazione più volte, per cui la sostanza preparata è progressivamente meno pura della mistura iniziale. Si arriva a sessanta ranghi di anime immortali. Iside descrive, quindi, un’altra operazione demiurgica:
dio, mio signore, avendo mescolato gli altri elementi cogenerati, acqua e terra, e, pronunciate alcune formule segrete, potenti, ma non uguali alle prime, dopo aver mescolato bene il composto e averlo animato con il soffio vivificante, prese la crosta, che aveva ormai assunto il colore e la consistenza voluta e che galleggiava alla superficie, e con essa plasmò i segni zodiacali antropomorfi. Il resto del miscuglio lo diede alle anime che ormai erano avanzate per occupare i posti loro assegnati, a queste anime, chiamate nel territorio degli dèi, nei luoghi vicini agli astri e tra i sacri demoni, disse: Cominciate a creare, figlie, nate dalla mia natura; ricevete i resti della mia opera e ognuna di voi plasmi qualcosa che assomigli alla sua propria natura.
I tre attori dell’Opera, nelle vesti di Zeus, Ermete e Natura, stanno ordinando il cosmo. Non si è consumata ancora la disobbedienza delle anime, la sciagura archetipa.
«Anime, figlie belle del mio pneuma e della mia sollecitudine, voi che ho fatto nascere con le mie mani e che consacro ormai a questo mio mondo ordinato, seguite queste mie parole come leggi e non raggiungete nessun altro luogo eccetto quello determinato per voi con una mia sentenza. Dunque, se rimarrete fisse, il cielo vi attenderà di nuovo e così la costellazione che vi è stata assegnata e i troni pieni di virtù. Ma se farete qualcosa contro la mia volontà, vi giuro per il mio sacro pneuma e per questo miscuglio dal quale io vi ho generate e per queste mie mani creatrici di anime che, in breve tempo, forgerò per voi catene e supplizi. ..Esse (le anime), figlio mio, convinte di aver realizzato qualcosa di eccezionale, cominciavano ad armarsi ormai di una vana e curiosa audacia e non eseguivano gli ordini. Andavano anche al di là degli spazi loro assegnati e delle loro zone e non volevano più rimanere in un solo luogo, anzi erano sempre in movimento; e lo stare ferme in un’unica dimora equivaleva per loro alla morte. Ma queste loro azioni, figlio mio, – disse Ermete, per bocca di Iside – non sfuggivano al signore di tutto e dio, anzi egli cercava una pena e una catena penose da sopportare per loro. Ed ecco, al signore e padrone di tutto parve bene fabbricare l’organismo dell’uomo, perché la stirpe delle anime venisse punita per sempre, imprigionata dentro ad esso.
Ermete, dopo aver provvisto gli uomini di sapienza, temperanza, persuasione e verità, accingendosi a fabbricare l’organismo dell’uomo, chiede alle anime il resto del miscuglio che le stesse avevano utilizzato per creare. Avendolo trovato tutto secco, il Demiurgo ricorre a una
quantità d’acqua di gran lunga superiore al necessario in rapporto al miscuglio, in modo da rinnovare la consistenza della materia, perché l’oggetto modellato fosse snervato del tutto, debole e impotente e oltre a essere dotato d’intelligenza, non avesse anche il vantaggio di essere carico di potenza.
Ermete, chiamato dall’artefice di tutto, ‘Anima della mia anima e santo intelletto del mio intelletto’, è l’emanazione più vicina al signore del cosmo.
Continua era l’angoscia e inenarrabile la ricerca di dio: finché l’artefice di tutto continuava a non volere, l’ignoranza invadeva ogni cosa. Quando invece decise di mostrarsi tale quale è, ispirò negli esseri divini desideri d’amore e donò alle loro intelligenze la luce che in abbondanza aveva in petto, perché prima di tutto volessero cercare, poi desiderassero trovare, infine potessero riuscire. Questo, Horus, figlio mio meraviglioso, sarebbe potuto avvenire non tra i mortali, perché ancora non esistevano, ma in un’anima, che avesse un legame di affinità con i misteri del cielo: questa era l’anima di Ermete, il quale ha tutto conosciuto. Egli vide il tutto e, avendo visto, comprese e, avendo compreso, fu in grado di svelare e mostrare: scrisse quello che aveva conosciuto e, dopo averlo scritto, lo nascose. Preferì infatti tenere un rigoroso silenzio sulla maggior parte di questi misteri piuttosto che rivelarli, perché ogni epoca, venuta alla luce successivamente al cosmo, li cercasse’.
Una dottrina segreta di cui Ermete è autore e custode e che la sacerdotessa Iside, nell’iniziazione del figlio Horus, narra di averla ricevuta attraverso il suo antenato Kamephis.
Sta attento, Horus, figlio mio, perché tu ora ascolti la dottrina segreta che il mio antenato Kamephis udì da Ermete, l’archivista che annota tutti i fatti, e poi dal progenitore di noi tutti Kamephis la udii io, quando mi onorò del dono del Nero Perfetto, e adesso tu l’ascolti da me.
Un insegnamento iniziatico che trova nel nero perfetto il suggello del suo compimento e nel silenzio la protezione dei sacri misteri. Ermete è il mediatore della nascita e del mantenimento del cosmo; per le anime imprigionate negli uomini, diviene salvatore attraverso la trasmissione dei sacri libri, così come ne è carceriere grazie a uno strumento segreto, la Necessità. Accanto a Hermes, a destra della composizione, è una donna ubertosa, riccamente vestita ed adornata di ghirlande di fiori come la Primavera. E’ Natura, la prima materia del cosmo, φύσις-physis, il suo principio e forma.
Era durato abbastanza il periodo dell’inattività e del nascondimento; la natura, figlio mio, restava sterile, finché quelli che già avevano avuto l’ordine di fare il giro del cielo, avvicinatisi a dio, re di tutte le cose, gli annunciarono che gli esseri restavano inoperosi, che bisognava dare ordine a tutte le cose e che questo non era compito di nessun altro se non suo. Dicevano: «Ti supplichiamo, considera ciò che adesso esiste e che cosa ancora serve per il futuro». Quando dissero queste parole, dio sorrise e affermò: «Che la Natura sia», e dalla sua voce scaturì un essere femminile di grande bellezza, e appena la videro, gli dèi si riempirono di meraviglia e dio, pre-padre, la onorò del nome di Natura (Physis) e le ordinò di essere feconda. Guardando l’atmosfera intorno disse anche questo: «Il cielo e l’aria e l’etere siano pieni di tutte le cose». Così disse dio e così fu. La Natura (Physis), dopo aver parlato a se stessa, seppe che non doveva disobbedire all’ordine del padre.
Il gesto e la posizione della dea, nel dipinto di Dosso Dossi, sono riconducibili alla sua fedeltà devozionale al signore del cosmo. Ottemperando al comando di Zeus, alla misura che Zeus sta forgiando per il mondo, è essa stessa legge divina. In tale veste, prende il nome di Adrastea e dimora, secondo Platone e Proclo, alla sommità degli dei intellettivi; la ninfa, nutrice di Zeus, ricopre la funzione di causa dell’ordine che abbraccia tutte le leggi divine, dal luogo sopraceleste agli ultimi livelli dell’essere. La stessa gerarchia degli dei è disposta da Adrastea che prende il nome di Ananke, come necessità hypercosmica e di Heimarmène, la fatalità cosmica. Nulla può sfuggire ad essa.
Adrastea è dunque stabilita, come ho detto, in quel luogo, e in modo uniforme domina su tutte le leggi divine, dall’alto fino alle realtà estreme…Il decreto di Adrastea, ebbene, congiunge per l’unica semplicità intellegibile tutte queste leggi, insieme dispensando a tutti questi l’essere e la misura della loro potenza…In Orfeo, d’altronde, si dice anche che Adrastea sorveglia il demiurgo universale e che “avendo afferrato i cimbali di bronzo e il timpano..” li fa risuonare così forte che tutti gli dei si rivolgono ad essa (Proclo, Teologia Platonica).
Ritroviamo la suprema Giustizia degli dei, della natura, della storia, nel testo della Kόre Kόsmou laddove Hermes, dialogando con il demone Momo, la nomina sottolineando il suo carattere di ‘custode’
il padrone di tutte le cose disse infatti che sono io il tesoriere e l’amministratore. Dunque Adrastea, dea dalla vista acuta, sarà incaricata di sorvegliare tutto quanto ed io fabbricherò uno strumento segreto connesso alla dottrina infallibile e inviolabile, per mezzo del quale saranno necessariamente rese schiave tutte le cose della terra, dalla loro nascita fino alla distruzione ultima, uno strumento dotato della stabilità di ciò che è compiuto. Anche tutte le altre cose della terra obbediranno a questo strumento».
Io, riferisce Ermete, dissi ciò a Momo, e lo strumento già si muoveva, Heimarmène, la necessità cosmica che con la sua frusta piega la testa a tutte le creature. André-Jean Festugière e l’alchimista Paolo Lucarelli hanno notato che le descrizioni contenute nella Psychosis-Animazione presentano importanti analogie con il procedimento della Sacra Arte. Il riferimento al Nero Perfetto, di cui fu onorata Iside, di per sé suggerisce il primo, necessario, risultato del lavoro nel laboratorio alchemico.
Notate dunque che, quando il nostro compost comincia ad essere inumidito con la nostra acqua permanente allora comincia a cambiare diventando in tutto simile alla pece fusa, ed è tutto nero come il carbone…Perché dice Ermete, visto il colore nero, state pur certi che avete seguito il sentiero giusto e percorso un buon tratto di strada (Bernardo Trevisano in Fulcanelli MdC).
L’alchimista italiano è andato oltre, approfondendo l’esame dell’operazione cruciale di Zeus con una competenza possibile solo a colui che è immerso nella Dottrina, nell’esperienza alchemica, ed è pertanto in grado di riscontrare la corrispondenza tra i fatti sperimentati ed il mitologema. Lucarelli sorvola il commento sulla parte etica relativa al destino delle anime per concentrarsi sulle sostanze utilizzate ed i risultati ottenuti dal Demiurgo. Essendo la Grande Opera una replica del cosmo, della sua Genesi, come affermano tutti gli autori classici di Alchimia, ha concluso, nel saggio cui si rinvia, che il trattato gnostico ben potrebbe derivare dalla pratica di laboratorio,
un’elaborazione mitopoetica di quella che, in partenza, era comunque un’esperienza, seppure stravolgente e di tale portata da custodire una visione mistica ed un’emozione religiosa.
Le operazioni descritte nel Kόre Kόsmou, spiega Lucarelli, sono riferibili al procedimento che conduce all’ottenimento di un
misteriosissimo risultato, detto dagli iniziati Mercurio dei Filosofi. L’operazione stessa è definita sublimazione. Tutti gli autori sono concordi nel ritenerlo il momento qualificante, culminante, dell’Opera e per questo il più arcano, quello su cui maggiormente si esercita l’ansia di segretezza tipica di questi testi.
Francesca BECONCINI 6 Agosto 2023
BIBLIOGRAFIA di Riferimento