Paul Jenkins, l’arte della metafisica e della concretezza nella ricerca del “tutto”

di Marco VINETTI

Marco Vinetti (Brescia, 1975) si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi dal titolo “50 anni d’Arte Sacra in Italia – la rappresentazione religiosa dal dopoguerra ai nostri giorni”, col massimo dei voti. Tra i suoi docenti spiccano i nomi di Aricò, Del Guercio, Sanesi, Ballo, Molino, La Pietra, Cheli. Nel 1995 siede nel CdA dell’Unione Cattolica Artisti Italiani (UCAI), Sezione di Brescia, di cui sarà Presidente per il biennio 2000\2002. Dal 2000 intraprende una lunga collaborazione con la più grande realtà italiana attiva nelle vendite di opere d’arte attraverso il mezzo televisivo, Telemarket spa, con oltre 1800 le dirette curate riguardanti in particolare il comparto d’Arte Moderna e Contemporanea, ma anche Dipinti Antichi, Dipinti del XIX secolo e Fotografia Contemporanea. Ha curato rassegne e presentato numerosi artisti in ambito nazionale ed internazionale. E’ autore di recensioni e monografie d’arte, talvolta in collaborazione con altri stimati storici dell’Arte italiani. E’ tra i fondatori di Vimarte,  nuova realtà nella vendita di opere d’arte in televisione. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art

Paul Jenkins, la sublimazione del colore.

Paul Jenkins

Liquido. Termine più che mai subdolamente radicato nella società contemporanea; viviamo inconsciamente accerchiati da dati in forma liquida, da connessioni liquide, da musica liquida, da interazioni e – quel che è peggio –  da relazioni liquide. Quel liquido che è antitesi del concreto. Quel liquido che è niente nel tutto.

I tempi che stiamo ansiosamente e drammaticamente vivendo paiono acuire ulteriormente questo stato e, l’Arte, nella sua quasi infallibile capacità premonitrice, da lontano ha saputo intuire questa tensione. I primi costruttivi scricchiolii emergeranno nel passaggio storico tra impressionismo e pointillisme; tra la Francia della fine del XIX secolo e gli albori del XX, tra la definizione di spazi convenzionali ammorbati da sinuose pennellate pastello di Claude Monet, alla determinazione dei micro volumi circolari di Paul Signac.

Il secolo XX si aprirà così con il tema sotto cutaneo del cambiamento, che lo tormenterà per tutto il suo angoscioso cammino cronologico. Rivoluzioni sociali, antropologiche, industriali. Conflitti. Distruzioni che, infine, sapranno generare rinascite. In particolar modo nell’arte, ed ancor più dettagliatamente in quella definibile aniconica.

Nell’eterna lotta tra il bene (eikonographía) ed il male, due monozigotici continenti come l’Europa e l’America intraprenderanno percorsi differenti ma paralleli, capaci di generare quel Big Bang creatore sul quale oggi poniamo le fondamenta dell’estetica relazionale. Più schematicamente l’America genererà interpreti che, eterogenei ed ordinatamente mal organizzati, vivranno, negli anni dei Conflitti, guerre non loro e drammi non condivisi. Terreno fertile per la determinazione dell’impalpabile, quanto straordinariamente efficace, Espressionismo Astratto.

Willem de Kooning, e Jackson Pollock contemplatori del gesto; Mark Rothko, Barnett Newman contemplatori del contemplativo stesso. Fronte diverso quello Europeo, dove la concretezza geografica della distruzione pose accentazione più marcata all’enfasi dell’anima, e dove emergeranno gli spiriti di Jean Dubuffet in Francia, Antoni Tápies in Spagna ed Alberto Burri in Italia.

Ed è in questo terreno di scontro che muove i suoi passi – dapprima negli State e successivamente nel Vecchio Continente, la dinamica visione di Paul Jenkins.

Jenkins tenterà l’ardua impresa di fondere i due mondi (quello Amicano e quello Europeo, quello del volume e del colore, quello dell’azione e quello del pensiero), condensando nella sua ricerca i vizi e le virtù di una duplice pietra grezza; capace di prendere vita dalle sue dapprima vigorose e materiche pennellate, successivamente sublimando la ricerca in nome della sintesi cromatica che lo condurrà a misurarsi (nel corpo e nello spirito) con la superfice liquida della sublimazione stessa.

Teleri immacolati, ricoperti da quel simbolico e fortemente fenomenologico zinco, sui quali danzano impalpabilmente le sue “Phenomena” e prendono vita le sue aurore boreali. Jenkins impersonerà uno spazio informalmente metafisico ed altrettanto capace di attrarre la concretezza non onirica delle tendenze autoctone. Riuscendo laddove molti fallirono o – meglio – cercando perennemente la forma liquida del colore, della superfice, del volume. mirando dunque al tutto, e trovandolo nel percorso che caratterizzò la sua inquieta ma intelligente e colta ricerca dell’assoluto. Della sublimazione del colore stesso vissuto non più come parte del tutto ma esso stesso – probabilmente per la prima volta nel secolo – il tutto.

Paul Jenkins (Kansas City, Missouri, 1923 –  Manhattan, New York 2012).  frequenterà l’Art Students League di New York tra la fine degli anni ’40 e gli inizi degli anni ’50 del secolo. Studierà a stretto contatto con Yasuo Kuniyoshi e Morris Kantor. Nel 1954, conobbe l’Italia, la Sicilia e Taormina. Si trasferì a Parigi dove inaugurò presso lo Studio Paul Facchetti la sua prima mostra personale. L’anno seguente, nel 1955, esporrà a Seattle alla Zoe Dusanne Gallery e dove il Seattle Museum fu il primo museo istituzionale ad acquisire le sue opere. Nel 1956 inaugurà la sua prima mostra personale a New York presso la prestigiosa Martha Jackson Gallery; in tale occasione il Whitney Museum of American Art acquistò un suo importante dipinto.

Nel 1959, dopo la serie di opere “Eyes of the Dove”, iniziò a denominare le sue tele “Phenomena e dall’uso di oli e smalti passò gradualmente all’uso dei colori acrilici. Durante gli anni sessanta compì alcuni viaggi in Europa, Russia, India e in Giappone dove lavorò con Jiro Yoshihara e il gruppo Gutai ad Osaka. Nel 1964 venne girato il film documentario “The Ivory Knife: Paul Jenkins at Work”, vincitore del Golden Eagle Award al Festival del cinema di Venezia nel 1966 e proiettato a New York presso il Museum of Modern Art. Nel 1983 fu nominato Commandeur des Arts et Lettres de la Republique de France.

Jenkins è oggi considerato uno tra i più importanti artisti del dopoguerra, le sue opere sono presenti nelle collezioni dei maggiori musei del mondo, tra i quali la Tate Gallery di Londra; il Museum of Modern Art, il Whitney e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York; il Centre Georges Pompidou e il Musée National d’Art Moderne di Parigi; lo Stedelijk Museum di Amster-dam e il National Museum of Western Art di Tokio.

Marco VINETTI   Brescia 13 dicembre 2020