Una storia di famiglia. Tra inganni, ambizioni e raggiri le vicende e il declino di una dinastia che ha segnato la storia.

di Idalberto FEI

Pubblichiamo con piacere questo contributo di Idalberto Fei già apparso in Tra vecchio e nuovo mondo. Le sete dipinte di Palazzo Barberini. Studi e restauro, a cura di Paola  Nicita e Carla Zaccheo, per i tipi di Gangemi editore, in occasione del restauro delle quattro soprapporte ovali e del pannello del Salotto delle sete, dell’appartamento settecentesco di Palazzo Barberini, di cui l’autore ripercorre la “storia di Famiglia”. Ringraziamo l’Editore Gangemi e l’autore per aver concesso ad About Art la riproposizione dell’importante saggio.

Nel 1722 muore il principe Barberini, Urbano III. Lascia la moglie Teresa, una figlia, un figlio illegittimo, una situazione finanziaria disastrosa, di sicuro non lascia alcun rimpianto. Ora la guida della famiglia passa a suo fratello, il cardinal Francesco, che dovrà fare di tutto per porre riparo al disastro; ha un solo asso nella manica: sua nipote Cornelia Costanza, una carta che intende giocare nel migliore dei modi. Peccato che al momento lei sia solo una bambina di sei anni.

Un uomo da non rimpiangere

Urbano VIII (1664 – 1722)

Urbano III (1664-1722) è stato un uomo insopportabile. Aggressivo e violento al punto che la seconda moglie, donna Felice Ventimiglia Pignatelli Aragona, temendo di essere da lui avvelenata, si rifugia in convento; il marito non si arrende, cerca di rapirla, non ci riesce perché il custode che ha corrotto lo tradisce, viene condannato all’esilio. Sembra la trama di un vecchio romanzo di cappa e spada ma i documenti dell’epoca parlano chiaro, a confermare che la realtà supera la fantasia, come rispondeva Luigi Pirandello a chi gli rimproverava di mettere in scena storie improbabili.

Martedì 19 luglio 1706. Per la dissolutezza della vita del prencipe di Pellestrina erano nati tra esso e la principessa sua moglie, donna Felice Ventimiglia, grossezze e dissapori, massime che, essendo estremamente invaghito della Cesarini, vedova di un principe napoletano che sta hora nel monastero de Sette Dolori, era entratoto nella principessa il timore d’essere avvelenata dal marito, onde haveva fatto istanza a palazzo di entrare in monastero. Credé il prencipe che la principessa fosse sollecitata a tale risoluzione dal Monsignor Ventimiglia suo zio e pertanto, onde havergli proibito l’accesso al palazzo e piattonato un suo lacché, havea fatto venire buona quantità dé suoi vassalli con arme et essendosi posto di mezzo per riconciliarli il cardinale Del Giudice, né trovandosi taglio per havere il principe mancato a quello havea promesso, né permettendo alla moglie d’entrare in monastero alli replicati ordini di palazzo, onde gli è stata hoggi, d’ordine di S. Beatitudine, intimato in casa l’arresto sotto la pena di 30.000 scudi e la notte precedente vi fu nel palazzo una gran turba di sbirri e soldati. [1]

Due settimane più tardi la principessa Felice Ventimiglia riesce a rifugiarsi in convento [2]. Ma qualche mese dopo, il giorno dell’Epifania, il principe decide di ricorrere alle maniere forti. Corrompe il guardiano del convento, assolda un gruppo di soldati e:

Venerdì 6 Gennaro 1708. Festa della epifania. Haveva il prencipe di Pellestrina concertato di voler entrare con mano armata nel monastero di S. Lucia in Selci a ritoglierne la principessa sua moglie e con minacce haveva fatto promettersi dal fattore di avere la chiave del parlatorio; ma havendo questo rivelato il tutto à superiori, fu assicurato la notte il monastero con porvi all’intorno grossa guardia di sbirri. Di li a pochi giorni il fattore fu malamente bastonato, benché si procurasse di celare il fatto attribuendosi le percosse a caduta per le scale. Essendo il tutto pervenuto alla notizia di S. Beatitudine (= papa Clemente XI) aggiuntevi anco alcune parole sprezzanti dette dal suddetto prencipe, S. Santità hoggi gli fece intimare lo sfratto in tre giorni da tutto lo Stato ecclesiastico.[3]

Il fratello cardinal Francesco chiede e ottiene che sia mitigata la pena:

Martedì 10 gennaro 1708. Alle preghiere del cardinale Barberini è stato moderato l’esilio al prencipe di Pellestrina, restringendosi l’assenza solamente da Roma. [4]
Lunedì 16 gennaro 1708. Per obedire alli comandi di S. Santità, la notte precedente il prencipe di Pellestrina Barbarini partì di Roma alla volta di Lucca, di dove poi credesi passerà a Venezia, e nell’atto del partire si portò all’ambasciatore di Spagna ad attestargli la sua inalterabile costanza nel partito del re Filippo V.[5]

Quanto al disastro finanziario che Urbano riesce a lasciare dietro di sé, per avere un’idea del vertiginoso livello dei suoi debiti, basta rileggere l’inizio della Relatione della comparsa della Serenata fatta fare dall’Ecc.mo Sig.Principe di Palestrina la sera della Domenica 24 agosto 1704 alla Sig.ra Ambasciatrice di Spagna. Il resoconto della colossale festa che il principe organizzò con centinaia di mimi, comparse, cantatrici, musici, cavalli e carrozze trasformate in gondole ha un inizio quasi fiabesco:

Alle 2 hore della notte uscì dal palazzo Barberino il treno magnifico di questa serenata in questa forma…[6]

Ma contiene anche commenti che di fiabesco hanno ben poco:

…il principe di Pellestrina Barberini, che, quantunque carico di debiti, havendo hora presa qualche somma considerevole ad interesse, la cominciava a impiegare in simili vanità.[7]

Al momento della morte Urbano (1664-1722) deve al fratello 33.000 scudi che gli sono serviti per le spese del suo terzo matrimonio, quello con Teresa Boncompagni e per varie necessità; non fa certo parola della sua passione per il gioco d’azzardo né delle …tante partite di fettuccia, Galloni d’oro, Merletti, Drappi…dati a lacché, à Donne di poca buona fama…[8]. Come gli aveva rimproverato sua madre Olimpia Giustiniani, Urbano si era comportato come un nemico della sua casa: D più p Casa oppera come fosse roba dei Suoi Nemici.[9]

Il Cardinal Francesco (1662-1738)

Cardinale Francesco jr (1662 – 1738)

Il maggiorascato è un istituto di diritto successorio nato in Spagna e poi diffuso dal XVI secolo in tutta Europa allo scopo di mantenere integro un patrimonio e trasmetterlo nell’ambito della stessa famiglia dall’ultimo possessore al parente più prossimo.

E il parente più prossimo di Urbano III è il cardinal Francesco, il fratello maggiore.

Tutela e collocamento nel Mon.ro delle Barberine di Cornelia Costanza Barberini. Dal mese di Settembre 1722 al 18 Maggio 1728. Istanza fatta dal Sig. Card.le Franc.° Barberini l’anno 1722[10]

In occasione della morte del Principe Urbano Barberini havendo trattato con amicabile aggiustamento con la Sig.ra Teresa Boncompagni Barberini, moglie del d.° Urbano e il card. Barberini Suo Cognato, abilitato alla successione del Fedecommisso Barberini per Breve della S. Mem. Di Clemente XI, dal Sig. Card. Acquaviva Ministro di Filippo V Re della Spagna il quale haueva deputato Mons. Battelli. Il Sig. Card. Barberini insisteva sempre appo li suoi Mediatori che egli vi sarebbe obligato al Mantenimento della Cognata e della Nipote, e di nella forma che si richiedeva purché da quella si promettesse che passato l’Anno Santo havesse messa nel Monastero delle Barberine la Sig.ra Cornelia Costanza sua figlia e nipote.[11]

Dunque il cardinale accetta questa pesante eredità e garantisce l’obbligo di mantenere la cognata Teresa Boncompagni e la nipote Cornelia Costanza,[12] impegno ribadito in un accordo informale e amichevole stretto in quello stesso anno tra la madre, Teresa Boncompagni Ludovisi e il cardinale, che abitavano a Palazzo Barberini.[13] L’accordo prevedeva che il cardinale avrebbe condiviso lo spazio abitativo di famiglia, l’appartamento verde e i mezzanini nobili di sopra,[14] e che avrebbe garantito il mantenimento delle due principesse e quelle della loro “famiglia” contribuendo alla dignità del loro rango versando 4000 scudi l’anno. E avrebbe messo a disposizione anche delle carrozze – avranno una parte importante in questa storia – vale a dire per Teresa un calesse aperto a quattro ruote e due sedili, un frullone torchino dorato rivestito di velluto torchino con sue bandinelle di damasco e Cielo parimente torchino con cuscini di velluto e seditore del cocchiere e invece per Cornelia una Berlina di velluto torchino verniciata bianca con suoi cristalli e suoi cuscini.[15]

In pegno, però, chiedeva che allo scadere dell’Anno Santo 1725 la bambina dovesse entrare nel convento carmelitano delle Barberine, luogo istituzionale scelto per darle un’istruzione confacente al casato di provenienza, in attesa che venisse preparato il futuro, inevitabile, matrimonio. Il negoziato tra Teresa Boncompagni e il cardinale venne approvato anche dall’imperatore Carlo VI che, tuttavia, stabilì che l’amministrazione complessiva dell’eredità dovesse rimanere nelle mani di Francesco.

Carlo VI oltre a essere Imperatore del Sacro Romano Impero era anche Re di Napoli: dunque i feudi spagnoli dell’Italia meridionale che Cornelia avrebbe un giorno ereditato cadevano sotto la sua giurisdizione.La condizione posta da Francesco è però senza appello:

 … purché da quella si promettesse che passato l’Anno Santo havesse messa nel Monastero delle Barberine la Sig.ra Cornelia Costanza sua figlia e nipote.[16]

Una clausola molto importante per lui che sperava di trovare nella bambina la soluzione dei suoi problemi finanziari. Figura del tutto diversa da quella del fratello, il cardinale è stato fin troppo maltrattato da contemporanei e studiosi. Non è un caso che nei conclavi ai quali partecipò nella sua lunga vita, ben cinque, ricevette ben pochi voti. Fu accusato di avarizia eppure fece costruire a sue spese chiese e istituti religiosi e nel suo testamento ne raccomandò restauro e corretta manutenzione.[17]

La verità è che Francesco fu per tutta la vita dominato da una vera e propria ossessione: la casa. Doveva ricostruire la casata, restituirle l’antico splendore e il grande prestigio delle origini, quello dei tempi di Urbano VIII (1568-1644) il padre fondatore della dinastia; doveva porre riparo ai forse irreparabili danni del fratello, anche a costo di apparire grottesco, talvolta patetico, di rischiare prestigio e carriera, di sembrare più spietato di quanto in realtà non fosse. Perché il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, cioè nei ricordi vitali … scrive Tomasi di Lampedusa.[18] È vero, la casa non è solo questione di denaro; certo, è un’impresa finanziaria, ma è anche una dinastia, un’eredità storica legata a certi feudi particolari, palazzi e opere d’arte, un gruppo familiare intrecciato in modo inestricabile ad altri, un’identità, un modo per avere un posto nel Gran Teatro del Mondo: e non può che essere uno scranno in prima fila.

Barberini, Colonna e Frangipane sposano oggi e pagano dimane, recita un vecchio proverbio. Perché certo la crisi economica e l’inflazione dell’ultimo Seicento non riguardano solo questa famiglia e ognuno corre ai ripari come può. Rispetto agli altri strati della società l’aristocrazia ha l’obbligo di mantenersi grande, all’altezza del suo nome e orgoglio, e dunque, anche se appare paradossale, nonostante la crisi deve spendere nel costruire o restaurare palazzi, farsi mecenate di artisti, acquisire nuovi terreni. Possono apparire spese insensate e superflue, ma sono anche investimenti al fine di matrimoni vantaggiosi, maggior credito per eventuali prestatori, magari per diventare papabili al prossimo Concilio e riuscire ad avere un pontefice in famiglia.

Guai a essere uno sbandato come Raffaello Barberini, un antenato di cui si sono persi il nome e il ritratto, che viene ricordato di rado, a voce bassa e sempre con un sorriso di sufficienza.[19] Dunque il cardinal Francesco vuol tenere Cornelia Costanza da subito sotto il suo controllo perché solo un matrimonio con una casata ricca e potente potrà risollevare le sorti di casa Barberini. Peccato che alla morte del padre Cornelia (1716-1797) abbia solo sei anni, però è l’unica figlia del fratello Urbano e dunque sarà un giorno l’ultima erede del maggiorasco Barberini: l’erede della casa.

Teresa Boncompagni (1692-1744)

Teresa Boncompagni Ludovisi (1692 – 1744)

E peccato anche che la bambina abbia una madre energica, disposta a difendere la figlia ad ogni costo, sia per affetto che per interesse. Teresa Boncompagni Ludovisi è una donna energica, poco ha preso dei molli principi di Piombino suoi genitori, ed è ben decisa a difendere se stessa e la figlia, da tutti i punti di vista. In lei parlano l’intelligenza affettiva di madre di una bambina, le conversazioni, il carnevale, il teatro, come dimostrano i conti per l’uso dei palchetti al Teatro delle Dame e ai teatri Valle e Capranica. Ma soprattutto vive la necessità di garantire a sé stessa e alla figlia l’amministrazione dei Beni del Regno di Napoli come tutrice e Curatrice, beni ereditati dal marito Urbano e accorpati invece dal cardinale nel fedecommesso Barberini da lui interamente gestito: di questi Teresa vuole il controllo esclusivo, un’indipendenza economica per se stessa e per la figlia al fine di garantirle un matrimonio di sua libera scelta, come scrive nel suo Memoriale.

Ecco dunque che mettere in atto la sistemazione di Cornelia Costanza nel monastero dell’Incarnazione detto delle Barberine – monastero di clausura del quale il cardinale è protettore, collocato al Quirinale lungo la via Pia – risulta quasi subito un grande problema. Teresa non è d’accordo e in modo inaspettato e ‘moderno’ per l’epoca fa presente che la bambina è troppo piccola per essere allontanata dalla madre. E poi, come i documenti consultati dimostrano, è lei a prendersi cura dell’istruzione della figlia.

Ma il cardinal Francesco considera le pretese della madre stravaganti e indiscrete. Per lui – che scrive tanto e a tutti – contano la Casa, l’impresa familiare, il patrimonio, gli amati feudi: lui è Intento a risarcire le Piaghe con la prospettiva di far risorgere la Casa Barberini nel primo essere, dunque insiste convinto di essere nel giusto con il desiderio del controllo sul futuro della nipote, unica erede di un patrimonio che lui stesso, in prima persona, sta cercando anima e corpo di rimettere a posto.

In teoria Francesco non è il solo a combattere questa battaglia. Sua madre Olimpia Giustiniani dichiara di avere lo stesso intento: del resto quando nel 1653 ha sposato Maffeo Barberini (1631–1686) …è noto à tutto il Mondo p havere con esso ristabilita la Casa Barberini[20]

Dunque a parole si dice disposta a salvare la casa una seconda volta, però nei fatti crea ancora più problemi al figlio devoto, che ogni giorno le fa visita e che cerca invano di contenere le materne spese e di convincerla a tenere un minimo di contabilità; niente da fare, lei si lamenta che:

…si Sarebbe ridotta ad andare à piedi, come la Moglie di un Mercante, e perché non valendosi ne di Coputisti, ne di Mri di Casa, essendo che il Sig:Card. Franc.o Suo Figlio Sapeva le disattenze, che usava in governarsi, mentre mette li Denari nella Borsa, e ce ne spende, senza tener libro, ne di dare, ne di havere, ne di altro et un Staffiere, et un Cameriere regolano tutta la Sua Aziende, che solo Dio sa come ne è male servita.[21]

L’implacabile Francesco

Solo nella sua missione, il cardinale prosegue per la sua strada: il controllo di Cornelia Costanza. Per ottenerlo fa pressione sempre più forte in Vaticano tanto che Mons. Battelli persuadeva il d.° Sig. Card. di non insistere p. la Sua istanza perché era così giusta che anche senza l’obligo della Madre in ogni tempo l’Haurebbe ottenuto.[22]

Implacabile, si rivolge al pontefice, a sua volta interessato alla questione per via del fidecommesso dei feudi Barberini nel territorio della Santa Sede.

Persistendo sempre il Sig.re Card.le Franc.° Barberini nel desiderio di vedere collocata nel Mon.ro delle Barberine la Sig.ra d. Cornelia Costanza sua nipote verso la metà dell’Anno Santo 1725 ne espose a P.S. Benedetto XIII (= Orsini-Gravina, 1724-1730) la supplica che mediante il Sig. Cardinale Paolucci Seg.rio di Stato gliene diede la permissione et altra dal Sig.re Card.le Coscia Seg.rio del Memoriale di Sua Santità di cui era favorito. [23]

Così Francesco, tramite il cardinale Fabrizio Paolucci, alla metà del 1725, ottiene dal Pontefice il consenso a patto che l’ingresso nel convento avvenga senza strepito. Lo stesso prudente atteggiamento suggerisce la corte di Vienna attraverso il card. Cienfuegos che introdusse

trattato di aggiustamento tra la Sig.ra Principessa e il Sig. Cardinale Barberini per evitarsi lo sconcerto che havrebbe potuto apportare il doversi usare qualche violenza nel mettere in Monastero la Nipote.[24]

Ora Francesco si sente più sicuro, così:

Procurò il Sud° Cardinale poter ottenere senza Ragiro né violenza e si sarebbe contentato di collocare la Nipote del Monastero di S. Domenico e Sisto dove si trouava Suor Anna Costanza Caetani parimente Sua Nepote.

Queste dichiarazioni ufficiali non bastano al cardinal Barberini, vuole ricorrere anche a vie traverse, ragiro e violenze appunto. E qui commette un errore. Cerca di comprare la cameriera della nipote, promettendole addirittura un vitalizio di dieci scudi d’oro al mese. La donna non sta in sé dalla gioia, non riesce a tenere il segreto, non lo rivela al marito, un ciabattino un povero scarpinello e soldato di Castel Sant’Angelo, ma – sembra – all’amante, che però è il prete di fiducia di donna Teresa. Che appena lo sa corre ai ripari.

Inoltre procurò di guadagnare la damigella che serviva la nipote, quale chiamarsi Angela, ma in Casa facevasi chiamare Anna Maria per fini suoi particolari. Per più facilmente indurre la suddetta donna a portargli nel suo appartamento la Nipote, il cardinale promise 10 scudi al mese per la vita. Ma circolò voce che la suddetta Angela amoreggiava con un Prete chiamato Nicola, Cappellano e Confidente della Principessa Teresa e si suppose che gli confidasse il Segreto come una gran fortuna da lei incontrata. Fosse però questa o altra causa, la verità si è che scoperto dalla Madre il desiderio del Sig. Cardinale, mise il guardia tutti li serri, Catinacci e dupplicato Serraturi alle Porte usando allora infinite cautele per impedire l’intento tramato dal Sig. Card. Suo Cognato.[25]
Francesco non demorde e il 19 settembre del 1725 scrive al pontefice ribadendo che Cornelia Costanza deve essere l’erede di tutti li Beni fide.rij della Casa e che Ben conoscendo il Sig. Cardinale che le di lui trame erano giuste, adeguate e necessarie, non vi perdé d’animo per il decoroso sostentamento della di lui Casa, chiede nuovamente l’appoggio del cardinale Cienfuegos, ministro dell’imperatore Carlo VI a Roma perché si rinnovasse l’ordine con maggior vigore acciò si collocasse in monastero suddetta sua nipote. [26]

Né si ferma qui. Comincia la ricerca del futuro sposo.

Un fidanzato per Cornelia

Il primo candidato è il nipote Federico, figlio di sua sorella Camilla (1660 – 1740) e di Carlo Borromeo (1657 – 1740). L’opposizione di Teresa è immediata, lei ha messo gli occhi su qualcun altro, ma il cardinale reagisce accusandola di fargli entrare a genio il Sig. Paolo Borghese quarto figlio del Sig. Principe che dalla Madre veniva fomentato e che egli non poteva impedirne la frequente e continua conversazione.[27]

Come se non bastasse, Francesco scrive anche un secondo Memoriale da inviare, tramite il cardinale spagnolo Alvaro Cienfuegos, all’imperatore Carlo VI in cui dichiara che

La Madre di detta Povera Pupilla gli si è fortemente opposta volendola ritenere presso di Sé per collocarla in matrimonio con chi più gli aggrada senza riflettere alle convenienze della mia Casa, alle soddisfazioni degli altri Parenti et al debito ben preciso di uniformarsi à voleri ed à supremi comandi della Maestà Vostra Cristianissima. Mentre avendo la detta mia nipote compiuto l’anno decimo di Sua Età e prossima alla pubertà, restando libera e praticando con chi più gli piace, tra pochi mesi si corre il pericolo di sentirla sposata con Cavaliere, contro tutte le Massime antiche e Moderne del miei Maggiori.[28]

In verità sembra che questo Paolo Borghese (1704-1792) avesse le sue qualità se è vero che:

fu dato in cura ad ottimi precettori, che lo erudissero nelle lettere. Volle poi coltivare per genio anche il disegno; dilettandosi sommamente di quanto apparteneva ad arti belle… [29]

Ma il cardinale scrive chiaramente che sposare un semplice Cavaliere squattrinato sarebbe veramente troppo. Quello che invece non dice in modo ufficiale è che comincia a declinare la fiducia nel suo candidato: il ventenne Federico Borromeo è troppo interessato ai vestiti, ai teatri, e spende con troppa leggerezza. La vicenda si chiude con una lettera del cardinale alla sorella Camilla, datata 16 maggio 1726, con la quale si scioglie l’accordo perché il giovane è un secondo Urbano.

Proprio quello che non ci vuole.

Un colpo di scena

Chiunque sia il futuro marito, conditio sine qua non è che Cornelia Costanza venga messa in convento. Il cardinale perde la pazienza e passa all’attacco. Ed è così che nel Diario della Ss: ma Incarnazione delle Barberine, sotto la data “sabato 22 febraro 1727” leggiamo:

Il nostro em.mo protettore di notte verso le due ore condusse la sua sig.ra nepote D. Cornelia Barberini per lasciarla qui in educazione con una donna per suo servizio, quale come padrona vi dimora dove senza essere precorso il capitolo delle vocali, veste come se fosse in sua casa e qualche più libertà che non hanno le nostre attuali educande non essendo in effetto questa entrata in educazione come le altre ma ritiratasi in monastero suo, e perciò non gli si richiede quello a che non è obligata; sta bene con sugettione e dipendenza delle custode e conversa con tutte l’altre educande senza altra distinzione.

Insomma, che cosa è successo? Per saperne di più dobbiamo leggere la Memoria scritta da Teresa dove racconta che, di ritorno da una festa di Carnevale:

ad un’ora di notte tornava a casa la Sig.ra Cornelia Costanza con due damigelle della Madre che l’accompagnavano sin sopra la porticella vicino al giardino. Quando fu vicino alla Porta uscì il Sig. Card. con il Mons. Cervini e li suoi due Religiosi et il Sig. Abb. Giannini oltre sei servitori con le torcie et altri della Famiglia di S. Em. che si trovarono in dalla parte dell’Ovato (= la sala Ovale) che risponde sopra il Ponte, ordinando subito al Cocchiere che fermasse subito il Frullone. Il Cardinale procurava prenderla con le maggiori piacevolezze possibili. Si accostò il Sig. Cardinale alla portiera che aperta cominciò a fare cortesia alla Nipote». Ma innervosito per le urla delle donne, il cardinale cominciò ad alzare la voce e a prendere per un braccio le donne e gettarle dalla carrozza e poi abbracciata la nipote, postarla in terra gli consegnò una borsa di monete nuove che pigliavala ben volentieri benché si mostrasse disgustata. Chiamava che voleva seco la sua damigella Marianna la quale non si trovava in carrozza e pregava il padre Confessore che non l’abbandonasse.[30]

È da notare che nel linguaggio dell’epoca “ disgustata” sta per “ dispiaciuta”. In ogni modo Cornelia, per quanto ancora bambina, ha capito come gira il mondo e la borsa di monete nuove la prende.

La notizia del rapimento fa grande clamore e anche Valesio nel suo Diario di Roma conferma la notizia:

[…] si fece trovare sul portone del palazzo con monsignor Cervini, deputato dé monasteri, e detto alla nipote di volerla condurre ad una comedia, la portò al monastero vicino delle Barberine dove la racchiuse benché con ripugnanza della fanciulla e dell’aia e con sommo dispiacere della madre …

Un cardinale all’inferno

Ma non sono soltanto le due donne a soffrire di questa situazione. Il 1 marzo 1727 il cardinale scrive alla sorella Camilla Barberini Borromeo:

Se veramente doppo la morte del Principe nostro Fratello Io sono stato sempre in Purgatorio per la Bestialità del Bastardo preteso suo figlio, e continui tormenti che mi ha dato nostra Cognata (…) doppo che ho messo in Monastero delle Barberini nostra Nipote vi assicuro sorella mia che ho esperimentato un vero inferno.[31]

Il bastardo è Maffeo Callisto (1688 -?) figlio illegittimo di Urbano; benché legittimato dal padre poco prima di morire e insignito del titolo di marchese di Corese, il cardinale non volle mai riconoscerlo. Curiosamente, sarà invece la matrigna Teresa a lasciargli mobili e gioielli.[32]

Quanto alla sorella, Francesco le sarà sempre affezionato e la ricorderà nel testamento:

Alla Sig.ra, e se non si trovasse nell D.a Camilla Barberini Borromei, mia stimatiss.ma sorella, lascio un’Orologio d’Oro a repetitione,e se non si trovasse nella mia Eredità, scudi trecento per prezzo così stabilito a d.o Orologio, che spero gradirà in contrasegno del grande affetto Fraterno,che gli hò portato in vita.[33]

Le tribolazioni dei tre protagonisti di questa storia continuano. Il 2 marzo di quello stesso anno 1727 Teresa Boncompagni si rivolge nuovamente al Papa, con l’appoggio dei cardinali Coscia e Corsini, per fare uscire Cornelia Costanza da quel monastero. O quanto meno, se questo non fosse possibile di trasportare la figliuola in altro monastero dove sarebbe entrata ancor essa. [34]

Venuto a sapere la richiesta, il card. Francesco denuncia la Fraude che si copriva con la suddetta Supplica dalla Seg.ria di Stato, ma nel frattempo Benedetto XIII fece dare ordine al Sig. Card. Marefoschi Vicario perché facesse dare esecuzione a quanto bramava la Sig. Princ. Teresa. Francesco non si perde d’animo, indossa la sopravveste liturgica e in compagnia del caudatario, al calar della notte su una carrozza dalle tendine chiuse e con Mons. Abbate Giannini e d. Giuseppe Brunori Caudario

senza altra corte, con il Rocchetto e bandinelle chiuse verso mezza hora di notte dal Papa salì à dirittura nella camera dove dorme Sua Santità et introdotto supplicò primieramente di essere ascoltato da Sua Beat. Con l’assistenza del Sig. Card.le Seg.rio di Stato. Tralasciando qui di trascrivere ciò che potesse dire un huomo trafitto e che le male rappresentanze fattosi a suo danno si vedeva prossimo all’esterminio di tutta la sua Casa.

È stata una pessima idea, il Papa perde la pazienza e lo mette bruscamente alla porta:

spazientitosi e non uolendo ascoltare aprì la bussola della Sua Camera e disse ad alta voce “Mi volete fare perdere la Reputazione” replicata altra volta. [35]

Francesco la prende male e mentre si accomiata, inchinandosi col berretto rosso in mano, risponde minaccioso al papa:

Il card. Barberini con Barettino in mano in atto di rivorenza replicò: «Padre Santo Io non supplico di altro che della Giustizia né pretendo altro che una vera e rigorosa giustizia. Poi voltatosi a tutti quelli che erano in Anticamera disse “So ben io la causa che trattiene Sua Santità dal farmi la Giustizia perché quel briccone del Card. Coscia istruito da mia Cognata essendo andato tutto il Carnevale passato alli Palchetti delle Comedie con mia Cognata, ma bensì dico che se non ricevo Giustizia dal Papa ma la saprò fare con le mani mie». [36]

La tregua

Cornelia Costanza rimane nel convento e il 17 settembre 1727 scrive una lettera al cardinale:

Sig. Zio mio caro Ho sentito dalla Mre Priora che V. Em.za sta in qualche agitazione per le solite cose della Sig:M.re à mé dispiace il disturbo di V. Em.za ma l’assicuro che per parte mia, non farò che succeda cosa che le sia di dispiacere, anzi in tutte le cose secondarò la volontà di V. Em. Dovendo fare così p. le mie grandi obbligazioni e miei vantaggi le quali totalmente dipendono da V. Em.za [37].

Il giorno stesso il cardinale le risponde:

Non ho potuto leggere senza intenerirmi le di lei obbliganti caratteri, accertandola che viene da me corrisposta con altrettanto amore paterno, giacché S.D. N. per li suoi inescrutabili Giudicij havendo chiamato a se il Sig.r Prencipe suo Padre e mio fratello mi ha lasciato l’unico maschio superstite della Nostra Casa, devo Io in tutto e per tutto supplire le di lui veci. […] Le ratifico in questo foglio reiteratamente più volte Le ho detto, anche alla presenza della madre Priora, presente e passata, che Io non sarò mai p. violentare la di Lei volontà più p. il Matrimonio di un soggetto che dell’altro, et unicamente correndomi l’obbligatione di renderla bene informata et istrutta, di tutti li Pretensori che vi sono, e che vi potessero essere, mancando in Lei come in tutti li altri di consimile tenera età, quella intima Cognitione di quelle qualità che si richiedono in un Huomo che unisca il timore di Dio sopra ogni cosa, sia ornato di virtù e talenti di vero Cristiano Cavaliere di cui probabilmente si speri e le possa farla restr servita come si deve e continuare seco quella Pace et Unione che puole ottenersi in terra, oltre li vantaggi che parimente possa credersi debba risultarne alli Interessi della nostra Casa. Ne creda mai che possa ciecarmi l’amore, o Partialità che Io abbia p. il contino Federico Borromei, mentre replico e puole esserne pur certa che a suo tempo le farò la Descrittione di lui come di tutti gli altri Pretensori, mettendole in carta li Difetti di Ciascheduno, le buone Qualità, li Vantaggi e li Pregiuditi che da qualcuno potesse riportarne. Resterà poi in sua libertà eleggere chi li sembrerà [migliore?]. Dopo di che Io darò la Mano all’effettuazione con il soggetto degli da me proposti, che averà Ella prescelto. Si contenti confermare questa mia lettera p. testimonio incontrastabile delle mie giuste determinazioni, che potrà servirle per confutare e convincere di Mendace chiunque ardisse asserirle o insinuarle il Contrario.[38]

Giulio Cesare Colonna di Sciarra

Giuilio Cesare Colonna Sciarra (1705 – 1787)

Il cardinale sa che non fidarsi è meglio e fa sorvegliare la nipote da una monaca ascoltatrice che poi riferiva i loro discorsi [ di Cornelia e di Teresa] al cardinale. Allora S. Beatitudine ordinò al vice gerente di vietare sotto pena di scomunica alle monache di ciò fare in avvenire… La Segreteria di Stato si muove anche nei confronti del cardinale intimandogli di non accostarsi al monastero dove sta la nipote. [39]

Ci vuole ben altro per fermarlo e Francesco continua le sue trame matrimoniali: perciò inizia a stringere accordi con Maria Vittoria Salviati, principessa Colonna di Sciarra, che ha un figlio di ventitre anni: si chiama Giulio Cesare (1705-1787), è quinto principe di Carbognano e duca di Bassanello, e al momento si trova in Spagna nella guardia del Corpo di Filippo VI. “Capitoli, Patti e Conventione” vengono curati al massimo perché si tratta di decidere non solo il futuro del patrimonio Barberini ma anche di quello Colonna di Sciarra nel quale confluivano i feudi di Anticoli Corrado, Bassanello, Carbognano e Roviano. Si conviene una comune amministrazione tra i due sposi e vengono stabilite le condizioni per lo sposo che avrebbe dovuto rinunciare al cognome rimanendo aggregato alla famiglia Barberini acquisendo il titolo di principe di Palestrina. Inoltre si stabilisce che Giulio Cesare avrebbe versato un patrimonio di 200.000 scudi che sarebbero serviti per appianare i debiti che gravavano sul maggiorasco. E che il primo figlio maschio avrebbe preso il cognome e il maggiorasco dei Barberini e il secondogenito sarebbe stato erede dei feudi Colonna di Sciarra.[40]

Poi i tempi vengono affrettati. Il 17 maggio

Avea preso il cardinale Barberini un breve di dispensa per la nipote che non ha terminato gli 12 anni mancandogli sette mesi, per poter contrarre gli sponsali col primogenito della principessa di Carbognano e perché nella detta dispensa vi è la solita clausola di consensu parentum, la principessa vedova di Pellestrina, madre della detta sposa, fece un nihil transeat negando di volervi prestare il suo consenso e S. Beatitudine si mostra duro in voler dare il breve ciò non ostante, onde in questi giorni il cardinale si è posto in grande agitazione. [41]

Il 19 maggio il cardinale ottiene la licenza papale; e in quello stesso giorno, alle 12 hore [42] celebra il matrimonio per procura, alla presenza di Olimpia Giustiniani, madre del cardinale, e la principessa di Carbognano, madre dello sposo.[43] Il 15 settembre

giunse oggi a Roma, chiamato dal cardinale Barberino, di Spagna il figliuolo primogenito del principe di Carbognano, destinato sposo della nipote e successore della casa Barberini. Egli, dopo aver cenato con la madre e col cardinale, se ne passò per le poste a Subiaco, badia del cardinale, per sfuggire l’aria cattiva della città.[44]

Il 17 dicembre 1728, il pontefice Benedetto XIII

se ne andò improvvisamente al monastero delle monache barberine, dove, fatta chiamare in parlatorio donna Cornelia Barberini che nel dì seguente compiva 12 anni, ne esplorò la volontà se volea per marito il principe giovane di Carbognano. Ella persisté in asserirlo, onde il papa rispose che avrebbe scritto all’imperatore di questa volontà e ciò perché il cardinal Cienfuego gliene avea parlato nella ultima udienza, ricercando che fosse posta in luogo terzo cioè in altro monastero. La madre vi accorse per parlare al papa e intorbidare le cose; ma il papa era già partito.[45]

La domenica 19 dicembre, 4à e ultima dell’Avvento il cardinale Francesco si recò al monastero, fece uscire alle due di notte la giovinetta e nel frattempo, avea fatto giungere da Subiaco lo sposo. Sopraggiungendo la madre di questo cenarono insieme per terminare con questo atto irretrattabile queste tanto contrastate nozze. Finalmente il 23 dicembre, notte scorsa, furono in letto insieme gli due Barberini.[46]

Il seguito della storia viene raccontata sempre dal Valesio che ci informa che nel 1729 il cardinale e i suoi due nipoti sono caduti in disgrazia dell’imperatore che li considera diffidenti E si vede che la cosa si va molto riscaldando.

Domenica 6 marzo. Giornata piovosa. È stato intimato a’sudditi dell’imperatore ed aderenti di non trattare la casa de’ Colonnesi di Carbognano, ed il principe che era in Milano ancor esso, non vedendosi trattato da alcuno, se ne è ripartito.
Lunedì 14 marzo. Partì per Genova la principessa di Carbognano, vedendosi non poter essere qui trattata, stante il divieto dell’imperatore fatto a’suoi sudditi e aderenti.[47]

Nel marzo di quell’anno dunque Cornelia Costanza si rifugia a Genova; Giulio Cesare lascia Milano dove viveva suo padre e torna in Spagna, riprende il suo posto di colonnello di un reggimento; il cardinale viene condannato per la sua condotta dal Sacro Collegio.[48]

Alla fine però tutti, come si conviene ad ogni opera ‘buffa’, verranno perdonati:

Mercoledì 16 agosto 1730. Oggi il cardinale Cienfuego, avendo ricevute lettere dalla Corte, andò a visitare il cardinale Barberino e indi la principessa nipote e il principe, essendo stati restituiti in grazia da S. Maestà cesarea, sperando anche in breve doversegli restituire lo Stato in regno.[49]

Epilogo

Cornelia Costanza Barberini (1716 – 1797)
Giuilio Cesare Colonna Sciarra (1705 – 1787)

Il cardinal Francesco morì alle 9 del mattino il 17 agosto del 1738 all’età di settantacinque anni. Tre giorni prima ci fu un’eclissi di sole, evento che i medici astrologi del tempo non poterono non mettere in relazione con i tre soli apparsi in cielo al momento dell’ascesa al soglio pontificio di Urbano VIII, la gloria della famiglia. Come tutti, anche il cardinal Francesco al momento di salutare questo mondo lasciò delle cose incompiute; il deficit familiare era certamente diminuito ma ammontava alla considerevole cifra di 106.102 scudi e 7% baiocchi; è vero, c’era anche una bell’elenco di debitori, ma da loro era impensabile spremere anche un soldo solo. Comunque era riuscito a salvare la casa ed a consegnarla ai secoli a venire.[50] Lasciava invece una situazione familiare pacificata. Gli sposi vivevano nell’appartamento che aveva fatto preparare per loro a Palazzo, la Reggia del Sole. Cornelia e la madre si erano da tempo riconciliate, incontrandosi per caso a teatro una sera di carnevale:

Nel teatro Capranica ritrovandosi in un palchetto la principessa vedova di Pellestrina, che, veduta la figlia, con cui da più anni non avea trattato, spinta dall’amore materno andò a ritrovarla nel palchetto, la abbracciò e piansero scambievolmente e poi se ne partì.[51]

Nel suo testamento il cardinale ricorda con affetto la cognata (gli sopravviverà di sei anni), le lascia preziose posate d’oro, la raccomanda all’affetto della figlia:

Alla Sig.a Principessa, mia cognata, D.a Teresa Boncompagni Barberini, per la stima, che hò sempre conservata di lei, gli lascio la mia Posata d’oro, cioè Cocchiaro, Forchetta, e Cortello, che si ritrova in Guardarobba, e comprai molti Anni sono co’ miei proprij denari.[52]
In primo luogo raccomando alla Sig.ra Principessa, mia Nipote Erede sud.a continuare, e coltivare sempre più ogni mag.re rispetto, confidenza, e filiale amore verso la Sig.ra Principessa D.a Teresa Barberini Boncopagni sua Madre, assicurandola che oltre ogni legge Divina, et humana, che così richiede, sarà dalla med.a corrisposta con ogni mag.re tenerezza di Amore Materno, e perciò glielo raccomando con tutta l’efficacia del mio animo.[53]

Ma a Cornelia, al di là e al di sopra dell’amore filiale, a Cornelia che è ormai capo della casa, non può che raccomandare con implacabile passione:

Essendomi infinitam.te a cuore, e sopra tutte le mag.ri premure per qualunque Interesse mondano, che si conservi nei miei Posteri il Cognome Barberino puro, e senza mistura alcuna di altra, come viene prescritto nelli Brevi di Urbano VIII, e nelle Disspositioni dei miei Zij, e che parim.ti ritenghino, et usino semplicem.te, e senza altra mistura, lo Stemma della med.a, ad adesso per allora.[54]

Quanto ai protagonisti di questo matrimonio che non si aveva da fare e che si è fatto, gli archivi, a tutt’oggi consultabili solo in parte, non ci raccontano ancora come andò. Certo, abbiamo elenchi di spesa per le continue ristrutturazioni e i restauri infiniti, per le vettovaglie monotone e costose, i cavalli e le molte carrozze, la moltitudine di artigiani, servitori e famigli; sappiamo anche che ogni tre mesi si acquistavano in quantità mazzi di carte, ché questo gioco era la passione della nobiltà romana del tempo. Quale fosse il clima fra i due sposi non sappiamo, ma certo i loro volti, nel Gabinetto dei Ritratti di famiglia, spiccano, fra tanti antenati attoniti e impolverati di noia, per la vivacità dell’espressione, quasi birichina quella di Giulio Cesare, placida e appena sorniona quella di Cornelia Costanza. Di sicuro sappiamo che ebbero molti figli, sette viventi, che lui gestì il patrimonio fino al 1770, quando il bastone del comando passò a lei, a conferma del suo spirito indipendente; se da giovane aveva osato presentarsi in chiesa in pantaloni…

Essendo costume della principessa di Carbognano allorché è in villeggiatura andare in abito da uomo e trattenendosi ora in Albano, il cardinale Pico della Mirandola, che ora ne è vescovo, avea, a tenore degli antichi canoni, vietato che in tale abito fosse ammessa nella chiesa e di più gliene è venuto precetto dalla Segretaria di Stato[55]
… da anziana nel suo testamento interpretò, in maniera un po’ troppo disinvolta per la verità, le regole del maggiorascato facendo nascere tra i figli Urbano e Carlo una vertenza che si concluderà solo nel 1811 con l’intervenuta legislazione napoleonica e l’abolizione dei fedecommessi.[56]

Quanto a noi, giunti alla fine di questa storia di famiglia che sembra inventata e invece è vera, ci viene alla mente una strana fantasia, una domanda stravagante che mai troverà un documento a sua risposta: chissà se Cornelia, osservando quei buoni selvaggi che danzavano nudi e felici intorno al fuoco sulle soavi sete dipinte del suo salotto, chissà che non abbia mai sognato una vita più libera, un’esistenza senza parenti né parrucche, priva di abiti, denaro, etichetta, casate, una terra lontana dove una semplice ariosa capanna poteva comodamente sostituire una fastosa reggia.

Non lo sapremo mai, ma ci piace immaginarlo.Qualche volta può capitare che l’intuizione abbia l’occhio più lungo della realtà.

Qualche volta, non sempre.

Idalberto FEI   Roma  4 Giugno 2023

NOTE

[1]  Francesco Valesio, Diario di Roma, III, p. 85 (Valesio 1977-1979).
[2]  Id., vol. III, p. 863: Domenica 7 agosto 1707. Alle 22 hore la prencipessa Barberini entrò nel monastero di S. Lucia in Selci con due damigelle datele dal zio monsignor Ventimiglia.
[3]  Id, vol. IV, p. 13.
[4]  Id., pp. 15, 19.
[5]  Id., p. 15
[6]  Id., III, pp. 150-156.
[7]  Id., VII
[8]  Castiglione 2000, p. 417
[9]  Id. p. 412
[10] Biblioteca Apostolica Vaticana Archivio Barberini (da ora in poi indicato come BAV Arch. Barb.), Indice II 1329, carte sciolte, ff. 1-30.
[11] Id, ff. 7 r. e v.
[12] Id., Indice II 1329, carte sciolte, ff. 1-30.
[13] Id., 18 novembre 1722, 1329, ff. 34 r, 34 v., 35 r.
[14] Id., 23 novembre 1722, Giustificazioni I, 587, Ruoli di famiglia.
[15] Id., Giustificazioni I, 587, f 51 e f. 52.
[16] Id.
[17] Paviolo 2013, p. 22.
[18] Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (ed. 1964), p. 166
[19] Castiglione 2000, p. 409. Per Raffaello Barberini si veda: M.G. Barberini, I. Fei 1996.
[20] Castiglione 2000, p. 410 e nota 34.
[21] Castiglione 2000, p. 420 e nota 107
[22] BAV, indice II 1329, carte sciolte, ff. 1-30.
[23] Ibidem.
[24] Ibidem, f.11 v e 12 r.
[25] Ibidem, f. 9 r.
[26] Sul monastero si veda Bevilacqua, Caffiero, Nordlander, Sturm 2014; Abbatelli, Lirosi, Palombo  2016, pp. 12-26; Castiglione 2015, pp. 174-205.
[27] Ibidem, f.13 v.
[28] Ibidem, 29 dicembre 1726, ff 115-122.
[29] Fumagalli 1990, pp. 63-76, in part. p. 64
[30] Sul diario delle Barberine della SS. Incarnazione si veda: Abbatelli, Lirosi, Palombo 2016, p. 332.
[31] BAV f. 230 v., f. 231.
[32] F. Barberini, M. Dickman 2021, p. 316, nota 59.
[33] Paviolo 2013, p. 19
[34] Valesio, vol. IV, 1708-1728, p. 783
[35] BAV, Indice II, 1329, f. 28 r.
[36] Id., f. 29 r., 29 v.
[37] BAV, Indice II, 1233, f. 2
[38] Id.
[39] Valesio, vol. VIII p. 933.
[40]            La Marca 2000. Vedi anche Pietrangeli 1987, pp. 94-99; Nordlander 2003, p. 228.
[41] Valesio, IV, p. 944.
[42] Per il calcolo delle ore vedi www.carnesecchi.eu/tempo.htm. Al tempo vigeva a Roma la cosiddetta ora italica, la giornata cominciava circa un’ora dopo il tramonto
[43] Valesio, vol.  IV, p. 945
[44] Valesio, vol. IV, p. 993.
[45] Valesio, vol. IV, pp. 1030-1031.
[46] Valesio, vol. IV pp. 1032-1033; Abbatelli, Lirosi, Palombo 2016, p. 336.
[47] Valesio, p. 28 e p. 262
[48] Id., V, pp. 30-31.
[49]Id, vol. V, mercoledì 16 agosto 1730, p. 262.
[50] Castiglione 2000, p. 405
[51] Valesio, vol IV, p. 450
[52] Paviolo, p. 31
[53] Paviolo p. 45.
[54] Valesio, I, p. 372
[55] Id. p. 372
[56] La Marca, pp. 180-187.