Una imponente installazione di Massimo Terzini nella chiesa di s. Maria Sàlome a Veroli rilancia il rapporto religione e arte contemporanea

di Rita RANDOLFI

Santa Maria Sàlome di Massimo Terzini a Veroli: una risposta a  Paolo VI  ed Enzo Rossi sull’importanza dell’arte sacra oggi.

Entrando nella chiesa di Santa Maria Sàlome a Veroli si respira immediatamente un clima permeato di profonda spiritualità e bellezza: il silenzio concilia la riflessione e la celebre scala santa, da percorrere in ginocchio, invita ad un cammino interiore da intraprendere apparentemente in solitudine, ma in realtà accompagnati dalla presenza invisibile, ma non per questo meno concreta, della Santissima Trinità e della santa a cui l’edificio è dedicato, poiché ne custodisce le preziose reliquie nella cripta.

Passeggiando lungo le navate e le cappelle si ha l’impressione di trovarsi in un museo dove sono conservati gli affreschi medievali  con il Cristo Pantocratore affiancato da una teoria di santi,  le  pale d’altare firmate da nomi celebri come il Cavalier d’Arpino, Giuseppe Passeri,  Giacinto Brandi, il monumento sepolcrale di Francesca Leni, di chiara grammatica barocca e tante altre opere, alcune anonime, ma comunque di gran pregio.

Arrivati davanti  alla prima cappella a sinistra dell’altare maggiore si resta a dir poco abbagliati dall’apparizione, quasi soprannaturale,  della santa Maria Sàlome di Massimo Terzini, architetto, scultore e pittore locale.

Santa Sàlome

La statua, o meglio l’istallazione, alta 460 cm,  è stata realizzata con materiali  inconsueti: una rete metallica industriale (maglia mm 6 x 6;  cm 500 x 100), un  tessuto in poliestere bianco, (cm 1400 x 120) e un  disco in multistrato di betulla del diametro di cm 140. La rete metallica  era già stata impiegata dall’artista per l’esecuzione di sculture rappresentanti animali, ma l’effetto che provoca la santa  Maria Sàlome è sbalorditivo, quasi destabilizzante: al primo impatto, infatti, è difficile stabilire se si tratti di una statua sospesa, un effetto di luci, una proiezione da un computer nascosto, un dipinto, un ologramma e si è costretti ad aguzzare la vista, a contemplare in silenzio, ad allontanarsi e poi avvicinarsi di nuovo, a cercare di instaurare una relazione  con quell’immagine che quasi fluttua nell’aria,  evanescente.

Mi è tornato alla mente il famoso discorso che Paolo VI nel lontano 7 maggio del  1964 rivolse agli artisti, riuniti per la Santa Messa nella cappella Sistina, di cui riporto alcune frasi:

«Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità (…) nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo allo stesso tempo».  

E proseguiva, spiegando il motivo di quell’incontro:

«Il tema è questo: bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti. Voi ci avete un po’ abbandonato, siete andati lontani, a bere ad altre fontane, alla ricerca sia pure legittima di esprimere altre cose; ma non più le nostre. Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti? (…)  Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato, e, quindi, nell’ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l’arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci. E voi dovete essere così bravi da interpretare ciò che dovrete esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e qualche volta più del tema, quel fluido segreto che si chiama l’ispirazione, che si chiama la grazia, che si chiama il carisma dell’arte».

Paolo VI, dunque, lanciava un grido di dolore e  tentava di ricucire un rapporto tra arte e Chiesa che sembrava essersi affievolito, se non addirittura esaurito,  con gli anni.

Su questi stessi argomenti  tornava un grande artista e teorico,  Enzo Rossi, cui si deve, non a caso, la creazione del primo istituto d’arte sacra a Roma, in via del Frantoio, in seguito trasformato in un liceo artistico, che ancora oggi  porta il suo nome.  Nel libro L’arte sacra oggi, bellezza e verità, l’autore analizzava con lucidità quali erano stati i motivi che avevano determinato il divorzio non solo tra arte e chiesa, ma tra arte e pubblico, risalendo addirittura a Caravaggio, per poi addurre gli esempi di Corot e Constable che degli stessi dipinti realizzavano una versione per se ed una per il mercato, o di Cezanne, il quale, pur essendo cattolico, non realizzò nulla per la chiesa.

Per Rossi l’arte è sempre stato uno strumento privilegiato di  conoscenza dello spazio, della natura, dell’oggetto, del tema (pp. 144-145).

«L’artista riesce a vedere la forma soltanto lavorando, ma ci sono periodi storici in cui  vedere diventa una conquista. Gesù dice voi guardate, ma non vedete, ascoltate, ma non udite, perché per vedere occorre tornare bambini, e predisporsi con umiltà di fronte alla natura, alla storia, all’uomo (…) L’opera si guarda e si ascolta, ma ciò che blocca (il processo conoscitivo) è porre domande sbagliate all’arte. Occorre molta umiltà (p. 155) per vedere in modo giusto il passato. Dal lavorare per vedere nasce il processo conoscitivo chiamato bellezza o verità. La bellezza e la verità che si possono conoscere attraverso l’arte sono relative a ciò che storicamente si può conoscere secondo i bisogni di esistenza e di conoscenza (p. 159).  (…) L’arte sacra è al servizio della chiesa, l’opera assolve a una funzione pratica, ma nell’arte sacra è intrinseca una realtà sostanziale, in quanto il sacro è una realtà dell’esistente, e dunque l’opera manifesta una verità che viene fatta conoscere e modificherà la coscienza degli uomini. Il vero senso del sacro è unito alla presenza di verità e bellezza.  (p. 161-162) Il senso del sacro rimane una presenza costante di ogni atto conoscitivo».

Questo senso del sacro, che aiuta a penetrare nel mistero di Dio,  è quello che il fruitore  avverte contemplando l’installazione di Terzini. Innanzitutto occorre capire chi è la santa rappresentata. Maria Sàlome compare nei vangeli di Marco e di Matteo, come moglie di Zebedèo, e madre degli apostoli Giacomo e Giovanni, detti anche figli del tuono,  per la loro indole irascibile.  Il carattere della donna emerge con i suoi pregi  e le sue fragilità: fu lei infatti, a tentare di raccomandare i suoi figli affinché potessero ottenere i primi posti nel Regno dei cieli, dimostrando di aver completamente frainteso il messaggio di Gesù, che le risponde che chi vuole essere il primo deve essere il servitore di tutti. Fu sempre lei, ai piedi della croce a tentare di donare il proprio appoggio morale alla Madonna, di cui era parente, forse cugina. Ma il momento più importante della sua esistenza fu sicuramente  quando la mattina della domenica di Pasqua si recò, con Maria di Màgdala,  alla tomba di Gesù, dove invece trovò  un angelo, che le annunciò  la resurrezione del Signore. Poco dopo Gesù stesso apparve alle due  donne, invitandole a recare la buona notizia ai discepoli, ai quali si sarebbe manifestato in Galilea (Matteo, capitolo 20, versetti 1-10).

Sàlome dunque fu tra le prime missionarie della storia della chiesa,  subì l’iniziale umiliazione di non essere creduta, anche perché donna, e le donne non godevano di grande stima tra gli ebrei, ma la sua fede, la sua fedeltà a Cristo  e la sua tenacia la trasformarono in un’ambasciatrice del più importante messaggio della storia, la vittoria di Dio sulla morte, la possibilità di una vita eterna.

Terzini sceglie di ritrarre la santa con il vaso degli unguenti in mano, ma contemporaneamente l’espressione di stupore dipinta sulle sopracciglia aggrottate e sulle labbra  appena dischiuse fa intuire che la protagonista ha appena  incontrato l’angelo e la sua stessa persona ne è come trasfigurata,  come se vivesse nel suo corpo, nella sua carne la trasformazione dalla  morte alla vita, divenendo,  per un frammento di secondo,  altro da sé, quasi un fantasma, ma saldamente ancorato alla realtà.

Santa Sàlome (part.)

E la sua esperienza mistica si rivela improvvisa al visitatore, come una folgorazione, dando l’impressione di poter entrare in un’altra dimensione, quella del sacro appunto. Si potrebbe accostare la santa Sàlome alla berniniana santa Teresa d’Avila, per le emozioni di stupore e di incanto che suscita quel fugace contatto tra l’uomo e il divino, quel magico sfiorarsi tra il Padre Eterno ed Adamo di Michelangelo, così ricco di conseguenze   vitali. Ed il messaggio, questo andare oltre e gustare la beatitudine della vita eterna  è talmente palese e travolgente che è stato ampiamente colto non solo da don Angelo Maria Oddi, che ha fortemente  voluto l’opera in chiesa, ma da tutti i visitatori che hanno lasciato un commento sul quaderno, che fino a qualche tempo fa,  era stato  appositamente  posizionato nella cappella.

Lo stesso don Oddi, facendosi portavoce delle impressioni dei fedeli scrive:

«Si ha l’impressione che l’opera sfugga a considerazioni materiali (…) c’è bisogno di non interrogare l’opera ma di  lasciarsi travolgere e stravolgere (…) per me questa scultura è una lezione metafisica sul senso della propria dimensione umana».

Terzini, da accorto architetto, ha a lungo studiato il luogo più consono per ospitare la sua installazione, consapevole dell’importanza dello spazio e della luce, come fattori determinanti per suscitare il coinvolgimento dell’osservatore.

Dunque l’artista ha reso tangibile quel suggerimento di Enzo Rossi, che invitava ad un dialogo intenso tra le arti sorelle, per ridurle all’unità della conoscenza: «Bisogna ritrovare unità tra le varie arti nei temi storici conoscitivi comuni» (p. 180).

Riguardo al soggetto, Rossi riprendeva i suggerimenti di papa Montini:

«L’arte al servizio delle religioni ha sempre dovuto usare immagini di cose terrene per poter incarnare e rappresentare le intuizioni o rivelazioni religiose della trascendenza necessarie alla spiegazione di questa natura mortale. Non vi è per noi alcuna possibilità di rappresentare il sovrannaturale o l’ineffabile se non mediante immagini che diventano simboli. (…) Nella religione cristiana è lo stesso Dio, nella seconda persona della Trinità, che si incarna nella natura di questo mondo (…) Il suo corpo nell’immagine terrena resuscita, e questo Dio si porta nel sovrannaturale con questa naturale figura, dando con ciò speranza, oltre la storia, a tutta l’attuale natura, sua meravigliosa figlia sofferente. Una religione così fondata non è solo il massimo di speranza (…) ma è una religione che per parlare del suo Dio e della salvezza impegna gli uomini a parlare, a rappresentare e quindi a conoscere tutto ciò che esiste come natura e tutta la natura nel suo insieme, nel suo svolgimento storico generale. Perciò lo sviluppo conoscitivo dell’arte,  nata con il cristianesimo è stato e non può non essere continuo e inarrestabile, con crisi apparentemente gravi ma che sono infine crisi di superamento di limiti, crisi di crescita verso stati di conoscenza e di coscienza sempre più ampi, nei quali e oltre i quali riappare il Cristo che conduce fino ai “nuovi cieli e nuova terra”,  nuova natura per la quale gli uomini dell’attuale natura devono nascere, lavorare, conoscere, preparare, morire e infine risorgere» (pp. 147-149).
Santa Sàlome (part.)

Terzini, dunque, con la sua santa Maria Sàlome, di una modernità inaudita e non solo per l’uso innovativo dei materiali, ma per come si rapporta allo spazio dell’antica chiesa, utilizzandone gli elementi legati al tempo presente,   come la luce, le ombre, la polvere,  fornisce una risposta a Papa Montini, ma anche a Giovanni Paolo II nel suo discorso in occasione dell’inaugurazione dei restauri della cappella Sistina, e più di recente a Benedetto XVI e alle interessanti intuizioni di Enzo Rossi, proponendo un’esperienza di forte impatto emotivo che accompagna il fedele verso la conoscenza di una verità immutabile: la presenza/assenza/essenza di un Dio che ri-crea continuamente dalle ceneri di una natura e di un’umanità ferita.

In un momento storico come quello che stiamo vivendo, poter riflettere,  attraverso l’arte, sui grandi temi della vita, della morte, della malattia, della trasformazione, della possibilità di rinascita, dell’importanza della dimensione spirituale di ogni essere umano, dimensione forse troppo a lungo trascurata, che ha provocato gli effetti devastanti a cui purtroppo  siamo abituati ad assistere, un’opera come quella di Terzini soddisfa quel bisogno  di autenticità  di cui siamo tutti, ognuno a suo modo, assetati.  Così il  Rossi:

«Il bisogno di verità nasce  appena si opera (…) pertanto l’autonomia artistica, quando operi  veramente per il bisogno di verità, non toglie nulla ad una pienezza di relazione dell’arte con la Chiesa, perché nella religione cristiana tutto inizia e tutto confluisce in Dio creatore, Padre e Signore, mediante il Figlio Gesù, che è il Verbo, e lo Spirito Santo, che è Amore (p. 150)».

Se la crisi è un momento di crescita, come Rossi e la storia hanno sempre insegnato, i  tempi  moderni  sono maturi per celebrare un nuovo matrimonio tra arte e chiesa? Certamente come Rossi suggeriva  occorre mantenere quell’atteggiamento di umiltà, di ascolto nei confronti dell’uomo, della natura, della storia a cui ci eravamo disabituati e che forse le chiusure forzate della pandemia  hanno in qualche misura risvegliato.   La santa Maria Sàlome  di Veroli, con la sua leggerezza, la sua aria malinconica  ha sicuramente raggiunto lo scopo di stupire e svelare una realtà più profonda, dimostrando, qualora ce ne fosse bisogno, che l’arte e la chiesa non possono che crescere insieme, affrontando le continue sfide che il mondo contemporaneo propone,  perseverando nella loro missione conoscitiva e divulgativa di un messaggio di speranza, che è poi il fine ultimo della Chiesa evangelizzatrice.

Rita RANDOLFI  Roma 10 ottobre 2021