Un tema mitologico: Tinnit, vittima e padrona delle circostanze. Ipotesi di una ricostruzione mitica.

di Cristian ANTONINI

Accogliamo con vero piacere questo importante contributo di un giovane studioso che approfondisce un tema difficile ma scientificamente rilevante. Cristian Antonini è attualmente studente universitario, alla Sapienza Università di Roma,  di scienze archeologiche orientali .  Impegnato nel percorso triennale e motivato da un forte interesse, in particolare nei contesti fenicio-punici ma anche preistorici e storici del vicino oriente antico e dell’ Africa, ha partecipato alla missione archeologica 2021/2022 (periodo primaverile: Aprile/Maggio) diretta dal professor Lorenzo Nigro sull’isola di San Pantaleo (Mozia) nei laboratori di siglatura e fotografia di reperti ceramici.

La figura divina di Tinnit si presenta nel contesto fenicio-punico, e mediterraneo più in generale, come enigmatica e di difficile interpretazione.

Tale difficoltà è del resto imputabile alla poca documentazione epigrafica, teofora e iconografica che la riguarda, oltre alla totale assenza di un contesto mitico in cui collocarla.

Questo articolo rappresenta pertanto un tentativo di indagine di quegli aspetti mitici fondanti che possono aver contribuito a edificare la complessa realtà di questa figura, tramite una ricostruzione del contesto mitologico ad essa connesso. Nella presente trattazione cercherò di dimostrare come Tinnit, inizialmente associata al contesto sepolcrale come ipostasi di Astarte, evolva fino a divenire, tramite un processo sincretistico, sia una divinità della fortuna che una Persefone punica, figlia compianta di Astarte.

Partendo dalle numerose letture del nome di Tinnit vediamo come la menzione nel santuario di Sarepta, dove la troviamo citata su una placchetta in avorio (figura 1) assieme ad Astarte (TNT-‘ŠTRT)[1], sia una delle più controverse.

Figura 1) La placchetta d’avorio con dedica a Tanit-Astarte. Immagine tratta da Pritchard 1978 (op. cit nota 1), Figura 103.

Come notato da M. Giulia Amadasi:

“Come la figura di Milkashtart è manifestazione del culto di Milk, Tnt-‘štrt è soltanto una delle manifestazioni del culto di Tanit. […] Milkashtart è da considerare una manifestazione, legata ad una specifica cerchia mitica”.[2]

È evidente come il contesto mitico sia effettivamente centrale per l’associazione tra le due figure divine per l’interpretazione proposta. Tuttavia, nell’associazione tnt-‘štrt la relazione con l’ambito funerario messa in evidenza dall’Amadasi stessa[3] potrebbe risiedere in una dimensione mitica con la quale sia Tinnit che Astarte sembrano interagire, piuttosto che in un luogo mitico vero e proprio.

Prendendo in esame l’interpretazione di Lipinski rispetto a questa stessa iscrizione vediamo come l’autore riesca a dare al teonimo l’interpretazione di “Astarte piangente”:

“[…] on peut se trouver ici en présence dun théonyme composé, a savoir “Tannit du genre d’Astarté” […] le titre de sa fonction serait devenue par la suite le nom d’une hypostase d’Astarté”.[4]

Secondo l’autore il nome TNT in un’associazione con il verbo Tannē riscontrato nella bibbia rappresenterebbe un atteggiamento di compianto rituale, e Tinnit è pertanto interpretata come ipostasi di Astarte; viene attribuito di conseguenza a quest’ultima un atteggiamento “piangente”.

Il presente articolo propone pertanto una conciliazione delle due interpretazioni di Amadasi e Lipinski; tale operazione permette di delineare un quadro teorico in cui la natura di Tinnit e la sua sfera d’azione sembrano consolidarsi più concretamente nella sfera mitica da cui si originano, consentendo inoltre di individuarne l’origine nel contesto sepolcrale.

Prendendo in considerazione il successivo sincretismo tra Kore/Persefone e Tinnit, attestato anche nella numismatica antica[5] (figura 2),

Figura 2) Monete siculo-puniche con effige di Kore Persefone. Immagine tratta da CEDAC Carthage Bulletin 8, Juìn 1987, figura 10 (photo de la société de Bonque Suisse)

e quello tra Demetra e Astarte, riscontrato ad esempio nelle offerte dedicatorie[6], anche dopo il diffondersi del culto delle due divinità greche legate ai misteri eleusini nel Mediterraneo, si può interpretare Astarte come “piangente” per Tinnit stessa, facendo di conseguenza di quest’ultima la “compianta” di/da Astarte.

Figura 3) Una delle statuette in terracotta raffigurante la dea pregna. Immagine tratta da Fontan, Le Meaux 2007, nos. 204-205. p. 142

Si propone allora di porre Astarte nel ruolo di madre – della “Pregnant Goddes”, inoltre, sono state rinvenute sempre a Sarepta varie statuette in terracotta (figura 3) che la rappresentano esplicitamente nella sua accezione materna[7] – e di porre Tinnit nel ruolo di figlia perduta (forse in tenera età?).

Del resto, è indubbio come nelle molteplicità divine – per citare Corinne Bonnet[8] – nell’area del mediterraneo e vicino oriente antico convergessero caratteri e sfere di azione comuni, ed è possibile individuare molte similitudini tra le narrazioni mitiche che ne raccontavano e fondavano le origini.

Prendendo in esame un altro lavoro della Bonnet[9] si può infatti tentare di stabilire un ulteriore paragone tra la figura di Persefone e quella di Tinnit, caratterizzate entrambe da un evidente legame con la luna. Interessante in questo senso è lo stretto legame che l’autrice individua tra Ecate, dea lunare, e Persefone, legame attestato esattamente nel tempo del mito stesso.

Come notato dall’autrice:

“Dans l’Hymne homérique à Déméter, où l’on raconte l’enlèvement de Perséphone et la quête de sa mère Déméter, Hécate semble déjà adopter les contours d’une déesse lunaire qui a entendu les cris suscités par l’enlèvement de Perséphone depuis la caverne où elle s’abrite de jour. Dans ce texte, Hécate apparaît aussi comme l’accompagnatrice de Perséphone lorsque celle-ci, souveraine de l’Hadès, remonte à la surface de la terre. Hécate est de fait associée au monde des morts et, en tant que Chthonia (« De la terre »), elle habite les nécropoles depuis l’époque classique”.[10]
Figura 4) Vari segni di Tinnit, molti con crescente lunare. Immagine tratta da A. M. Bisi, le stele puniche

Viene attestata pertanto la forte valenza ctonia e sepolcrale che Ecate sembrerebbe rappresentare in associazione con Persefone, della quale nel mito è testimone e accompagnatrice. Questa stessa valenza va a caratterizzare anche Tinnit e insieme a lei proprio il crescente lunare che ne corona le rappresentazioni simboliche su steli votive nel tofet (figura 4), pertanto di precisa matrice sepolcrale. Non è di conseguenza improbabile che alla base di questo prestito iconografico che Persefone rende a Tinnit, e alla radice di tale analogia di contesti e sfere d’azione che ne caratterizzano il sincretismo, siano implicate anche più profonde somiglianze mitologiche originarie.

Prendendo questo ipotetico rapporto (di perdita e quindi di lutto per un figlio) e ponendolo in una dimensione mitica fondante – di cui purtroppo non abbiamo attestazioni ma che possiamo ragionevolmente ipotizzare – andiamo inoltre a spiegare l’origine dei santuari tesi alla guarigione dei bambini e dei giovani, come quello di Eshmun (Bostan esh-Sheikh)[11], dove abbiamo il tempio con fregio di bambini e le offerte dei “temple boys” (statuette votive di infanti in posizione recumbente che sembrano destarsi da un sonno ristoratore, sulle quali è possibile riscontrare varie  iscrizioni fenicie).

Figura 5) Una delle due statue di dormienti in terracotta dal deposito votivo del santuario. Immagine tratta da Bonetto et alii 2018, fig. 54, p. 71

Oppure quello di Esculapio (Eshmun) a Nora[12], dove troviamo – qui più esplicita – l’attestazione della pratica dell’incubatio sempre da statue di fanciulli dormienti rinvenute in una stipe votiva[13] (figura 5), dovuta alla necessità di tutelarsi da un evento (la morte prematura di bambini) stabilito già nel tempo del mito e notoriamente molto frequente.

Accettando questo tipo di manifestazioni come espressione di una tradizione mitica si potrà quindi tentare un’analisi delle sue applicazioni ed evoluzioni, nell’ottica di un ambito che di per sé era molto volubile e scandito dall’alternanza tra sopravvivenza e morte.

È grazie a questo concetto che si vuole introdurre la possibilità, previa l’acquisizione in occidente di un posto cardine nel pantheon, che Tinnit divenga poi in realtà padrona e sovrana di queste circostanze specifiche e più in generale di una sua accezione collegata al fato, a cui effettivamente è associata con l’epiteto “gd” ovvero “fortuna”[14].

Tale accezione, come C. Grottanelli sostiene nella sua pubblicazione[15], è stata già individuata da G. Garbini [16] e G. Amadasi [17], e portata avanti dal Grottanelli stesso nell’associazione con la dea Manawat che dopo Yagael Yadin [18] sembra confermare:

“Manawat è una dea del fato. L’ipotesi che Tinnit lo sia anch’essa si attaglia bene a quanto abbiamo visto dalla sua epiclesi gd”.[19]

Anche la congruenza trattata dal Grottanelli tra la Mater Matuta e Astarte in questo contesto contribuisce a confermare il fondamentale carattere materno di quest’ultima e la sua associazione con l’infanzia, plausibilmente accordabile ad un legame parentale mitico di madre e figlia tra Astarte e Tinnit, strettamente legate tra loro.

Continuando a prendere in esame le varie interpretazioni proposte sul ruolo che Tinnit ricopriva nelle società fenicio-puniche e accettando come altamente probabile il suo ruolo fatalistico nel culto, è inoltre utile menzionare il legame di rimando alla patria fenicia che Tinnit rappresenta per le popolazioni divenute in seguito puniche, legame su cui si sofferma anche il Garbati:

“Anzitutto CIS I 3914 (= KAI 81; IV–III secolo) riporta una dedica indirizzata ad Astarte e a Tinnit del Libano, indicando lo stretto rapporto della dea con la più nota e antica divinità fenicia. Nel testo l’epiteto blbnn è evocativo delle origini orientali di Tinnit, già chiare grazie alla ricordata iscrizione di Sarepta”.[20]

La dedica potrebbe suggerire un’associazione mitica che del resto ben sposa Tinnit alla sua assimilazione con la dea Fortuna citata precedentemente; si avrebbe pertanto una Tinnit che diviene reggente anche delle sorti della nuova fondazione, come Garbati sostiene, ma allo stesso tempo associata nello specifico e forse miticamente al fato di questi fanciulli come questo articolo intende proporre. È infatti nel contesto del tofet, Garbati continua, luogo fortemente identitario per la popolazione, che Tinnit assume un carattere centrale come “volto di Baal” a protezione delle sepolture e nelle formule di maledizione

“CIS I 3783, per esempio, riporta la formula consueta di dedica; essa, al contempo, si conclude con: […] “E chiunque rubi questo dono, lo ucciderà Tinnit pene Baal”13. CIS I 4945, a sua volta, si chiude con […] “E chi sposterà questo dono votivo lo maledica Tinnit pene Baal”. Altre iscrizioni si muovono su una linea affine. CIS I 4937 riporta ancora la richiesta di una condanna contro un eventuale profanatore dell’offerta, affermando […] “E ogni uomo che rimuoverà questo dono, possa Tinnit pene Baal infliggere un castigo contro l’anima di quell’uomo”; analoga è la parte conclusiva di CIS I 3785”.[21]

Il passaggio suggerisce un probabile ruolo di Tinnit, a detta del Garbati, come “mano operativa”, interpretazione questa che sembra decisamente calzante per una ricostruzione della divinità in tal senso, divenuta ormai tanto centrale nel pantheon divino quanto nell’ambito sociale.

Insistendo su questo contesto più ampio, oltre a fornire delle conoscenze in più su Tinnit stessa, sulla funzione di tali santuari e in generale sull’importanza dei bambini nelle società fenicio-puniche, Tinnit come “compianta” e divinità della sorte (sempre filtrata da un ipotetico mito), ne chiarirebbe certamente questa sua presenza nei tofet dove è, oltre che menzionata, anche più volte rappresentata simbolicamente.

La sua presenza li identifica come luogo di sepoltura riservata, si, ma non sacrificale (minando quindi la teoria del Moloch, non sostenuta in modo sistematico già dalle analisi dei resti ossei[22]).

Nella presente ricostruzione non è di minore importanza l’elemento iconografico. È da tenere in considerazione, infatti, che molte delle stele rinvenute, sia nel tofet di Cartagine che in Sardegna, associano al simbolo di Tinnit quello del caduceo (figura 6), proprio di Eshmun, che ci rimanda alla sua accezione ctonia e guaritrice (con i serpenti, visti nelle rappresentazioni del tempio di Esculapio a Nora, avvolgere fanciulli dormienti).

Figura 6) Stele con simbolo di Tinnit, affiancata dai due caducei, Cartagine. Immagine tratta da Archeo Monografie, Cartagine regina del Mediterraneo – n°34 dicembre_gennaio 2019
Figura 7) Tinnit leontocefala, santuario di Thinissut. immagine tratta da Mounir Fantar, La symbolique animale dans les croyances phénico-puniques, figura 9 (op. cit nota 23)

La stessa simbologia animale va a valorizzare poi i rapporti tra madre e figlia: rappresentazioni leonine di Tinnit – come la statua rinvenuta nel santuario di Thinissut in Tunisia (figura 7) – non fanno altro che suggerire la sua subordinazione ad Astarte, la quale – come suggerisce Fantar [23] – è da interpretare non come specifico sincretismo ma come una simbologia guardiana, in questo caso di matrice egizia.

Questo medesimo substrato egizio legato alla protezione e al guardianato si può rinvenire anche nel culto di Bes (per giunta rappresentato spesso con accezioni leonine anch’esso) a Bitia (figura 8), la cui divinità è sempre associata alla protezione di infanti e maternità, alla guarigione e al guardianato anche tramite amuleti con valore apotropaico, nelle varie urne di tofet sparsi in occidente.

Figura 8) Statua di Bes da Bitia. Immagine tratta da Michele Guirguis, Corpora delle antichità della Sardegna (op. cit nota 24), immagine 107 p. 124.

Questi tre aspetti (maternità, cura e protezione) sono del resto riscontrabili anche nelle numerose produzioni che troviamo in sito, come nei contesti sardo-punici e coloniali più in generale[24].

È il caso, ad esempio, dei “devoti sofferenti” (figura 9), un tipo di produzione popolare ma comune a molti siti e simili tra loro, che suggerisce come i santuari preposti fossero in realtà vere e proprie istituzioni accessibili a tutti ma d’altra parte luogo di pura espressione intima di approccio al mondo divino, che necessariamente dovette derivare da una matrice mitologica.

Figura 9) Devoto sofferente, madre con bambino. Immagine tratta da Michele Guirguis, Corpora delle antichità della Sardegna (op. cit nota 24), figura 414 p. 321.

Come osserva Rosana Pla Orquín:

“Dai luoghi sacri come templi e santuari ci è pervenuta, fondamentalmente, l’espressione ultima, muta e materiale, della spiritualità dei fedeli che accorrevano in pellegrinazione per compiere un voto; una di queste manifestazioni è raffigurata nelle multiformi figurine votive del cosiddetto “devoto sofferente”, figurazioni fittili di donne e uomini che indicano con la posizione delle braccia e delle mani le parti del corpo afflitte dalle malattie. Tra i numerosi esempi, provenienti soprattutto da Bitia e da Neapolis, segnaliamo la grande espressività di una statuina che ritrae una madre con il proprio bambino, caso unico nelle pur varie iconografie documentate nella stipe votiva del tempio di Bes a Bitia: il gesto della donna che porta la mano sinistra al petto sembra rappresentare l’intercessione della madre davanti alla divinità per la richiesta di guarigione del figlio malato”.[25]

E ancora, andando nel circoscritto ambito sepolcrale:

Nei santuari fenici e punici una presenza “attiva” dei bambini è praticamente intangibile […] La ricerca prettamente archeologica e i dati antropologici sembrano far propendere per l’ipotesi che i tofet possano essere considerati delle particolari necropoli-santuario con ampie valenze sacre. Nella necropoli di Monte Sirai, per le tombe dei più piccoli componenti della comunità, […] I corredi si caratterizzano per la presenza di poche e circoscritte forme ceramiche […] e per la relativa abbondanza di monili, tra i quali spiccano gli scarabei e le collane composite con amuleti, conchiglie del tipo Cypraea e pendenti a testa animale e/o demoniaca”.[26]

Per ultimo un’associazione può essere tentata infine con le maschere, che siano di tipo negroide/demoniaco o ghignante, anch’esse dal valore apotropaico e associate a culti domestici, santuariali e sepolcrali (figura 10).

Figura 10) Sequenza crono-tipologia delle maschere ghignanti. Immagine tratta da Orsingher 2014 fig. 3.

È qui opportuno citare Orsingher:

“Il legame tra maschere e aree sacre sembra documentato in molti contesti […] In Fenicia, l’unico caso finora sicuro è il sacello di Sarepta contenente la dedica votiva a Tinnit-Astarte[27], da dove proviene una maschera femminile frammentaria. Si tratta di un caso di grande interesse perché l’esame integrale dei reperti editi rinvenuti al suo interno sembra indicare un legame tra gli ex voto ed i temi della fertilità, maternità e protezione dei bambini.[28]

Nella varietà di produzioni associate a questo aspetto protettivo le maschere sembrano pertanto adattarsi bene alla menzione di Tinnit come “volto di Baal”, rappresentandone l’estensione della sfera d’azione.

Il legame con la patria fenicia già notato dal Garbati può essere rintracciato anche in questo caso nella continuazione della tradizione – già iniziata a Sarepta – della maschera femminile, ben collocata nella commistione di ambiti diversi. Tutto, quindi, sembra supportare l’ipotesi di una forte identità divina (Tinnit) e la sua sfera d’azione associata alle maledizioni, agli amuleti, alle maschere stesse e più in generale al culto – singolare in ambiente punico – di una divinità egizia (Bes) che nei suoi caratteri generali si mostra come ipostasi perfetta non solo di Tinnit ma dell’intera triade formata da Astarte, Tinnit ed Eshmun che sembra essere centrale nell’ambito cultuale e per i temi qui proposti.

Per concludere, lo scopo dell’articolo è ipotizzare uno sfondo mitologico unico e genealogico alla base delle figure di Tinnit, Astarte ed Eshmun. Tale sfondo mitologico vedeva la convergenza degli aspetti cultuali e devozionali legati in particolare alla sfera infantile, ma più in generale rappresentava il patrimonio culturale delle popolazioni fenicio-puniche. Detto patrimonio mitologico era quindi l’unico aspetto che tali popolazioni possedevano come radice comune, poiché caratterizzate da forte dinamismo, sostenute da un’economia commerciale e ad un certo punto della loro storia, in diaspora. È probabile che tali popolazioni stabilendosi in luoghi lontani dalla madrepatria e mescolandosi con le popolazioni locali, il cui substrato culturale ben definito era di forte influenza, abbiano portato con sé suddetto patrimonio come parte della loro identità etnica e nazionale, restando fedeli alle loro origini per quanto riguarda la sfera cultuale.

In questo articolo si è poi trattato appunto di tale legame, molto sentito anche a livello popolare ed espresso nei modi più vari e, nel complesso, abbastanza omogeneamente.

Si è utilizzata la figura di Tinnit al fine di proporre interpretazioni innovative sulla divinità stessa ma, al contempo, per rintracciare tale fenomeno cercando di rappresentare l’espressione viva di questa evoluzione. Tale espressione non si manifesta nella sola immagine di Tinnit ma ne vediamo tante rappresentazioni quante erano le varie sfere d’azione della divinità. Essa si è vista manifestata in vari ambiti: nei contesti del tofet quando associata alla morte e alla sepoltura dei bambini, legata alla cura di questi bambini malati tramite il caduceo, e ancora menzionata come gd quando associata al fato. Tutte queste manifestazioni di Tinnit, forse in soluzione di continuità, rendono dunque l’immagine di un culto variegato e plastico che riflette la struttura della società fenicio-punica che gli diede vita, tramite l’incipit mitologico.

Cristian ANTONINI  Roma 4 Dicembre 2022

NOTE

[1]  J. B. Pritchard, Recovering Sarepta, A Phoenician City: Excavations at Sarafund, 1969-1974, by the University Museum of the University of Pennsylvania (Princeton University Press), Princeton, 1978.
[2] Maria Giulia Amadasi Guzzo, Orientalia NOVA SERIES, vol. 60, No. 2 (1991), pp. 82-91
[3] Ibid.: “Se il rapporto è valido, dato il carattere di antenato reale divinizzato di Milk in questa sua manifestazione, anche tnt-‘štrt poteva essere in qualche relazione con l’ambito funerario”
[4] CEDAC Carthage, bulletin 8, 1987, pp. 28-44
[5] Philippe Dufour, When a coin from Carthage depicts Persephone. La Gazette Drouot. (https://www.gazette-drouot.com/en/article/when-a-coin-from-carthage-depicts-persephone/32144, visualizzazione: 23/11/2022).
[6] Federica Spagnoli, Demetra a Mozia: Evidenze dall’area sacra del Kothon nel V secolo a.C. Vicino Oriente XVII (2013), pp. 153-165.
[7] Federica Spagnoli, Sarepta (Sarafand), an industrial coastal city. La Revue Phénicienne, Fondation Charles Corm, Special 100, ans 2020 Beyrouth, Liban, pp. 91-93.
[8] Corinne Bonnet, Laurent Bricault, Divinità in viaggio. Culti e miti in movimento nel Mediterraneo antico. Il Mulino, Bologna 2021.
[9] Corinne Bonnet, Noms de dieux. Portraits de divinités antiques. Anacharsis, 2021, 979-10-279-0408-2. ffhal-03152127, in particolare pp. 76-77.
[10] Ibid.
[11] Rolf A. Stucky, Le Sanctuaire d’Echmoun à Sidon, National Museum News Seventh issue: Spring 1998.
[12] Pesce G., Nora. Guida agli scavi, Cagliari 1972², pp. 89-100, nn. XXII – XXIV.
[13] Pesce G., Due statue scoperte a Nora, in Studi in onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni, III, Studi di archeologia e di Storia dell’arte antica, Milano 1956, pp. 289-304.
[14] RES 122 (Sardegna 25) e KAI 72 (Spagna 10)
[15] Cristiano Grottanelli, Astarte Matuta e Tinnit Fortuna, Università di Roma Istituto di studi del Vicino Oriente, Vicino Oriente V – 1982, Roma 1983.
[16] Da C. Grottanelli, op. cit.: G. Garbini, Note di Epigrafia punica – I: RS0, 40 (1965), pp. 212-213
[17] Da C. Grottanelli, op. cit.: Guzzo Amadasi, Iscrizioni, pp. 143-145, tav. LIX, fig. 17
[18] Y. Yadin, Symbol of Deities at Zinjirli, Carthage and Hazor, in J. A. Sanders (ed.), Near Eastern Archeology in the Twentieth Century. Essays in honour of Nelson Glueck, New York 1970, pp. 199-231
[19] C. Grottanelli, op. cit.  
[20] Giuseppe Garbati,Tradizione, memoria e rinnovamento. Tinnit nel tofet di Cartagine, in O. Loretz – S. Ribichini – W.G.E. Watson – J.Á. Zamora (eds.), Ritual, Religion and Reason. Studies in the Ancient World in Honour of Paolo Xella, Münster 2013, pp. 529-542.
[21] Ibid.
[22] Jeffrey H. Schwartz, Frank Houghton, Roberto Macchiarelli, Luca Bondioli, Skeletal Remains from Punic Carthage Do Not Support Systematic Sacrifice of Infants, PLoS ONE | www.plosone.org, February 2010 | Volume 5 | Issue 2 | e9177.
[23] Mounir FantarLa symbolique animale dans les croyances phénico-puniques, in M. Guirguis, S. Muscuso, R. Pla Orquín, Cartagine, il Mediterraneo centro-occidentale e la Sardegna, SAIC 2021, pp. 343-344.
[24] Rosana Pla Orquín, Il mondo femminile e l’infanzia, in Michele Guirguis, Corpora delle antichità della Sardegna. La Sardegna Fenicia e Punica, Storia e materiali, Regione Autonoma della Sardegna – Ilisso Edizioni, Nuoro, 2017. pp. 321-325.
[25] Ibid.
[26] Ibid.
[27] (Pritchard 1988: 67, fig. 16:3; Orsingher 2018: 271, 276).
[28] Adriano Orsingher, Il volto sovrumano: le maschere fenicie e puniche tra demoni e antenati, in Álvaro Pereira Delgado, Pablo Díez Herrera, Sacra Artificialia, Liturgia y parafernalia en las religiones antiguas, SPAL Monografías Arqueología XLII. Editorial Universidad de Sevilla. 2022, pp. 66-71 e 74.,

ALTRA BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

PRITCHARD, J.B. (1988): Sarepta IV: The Objects from Area II, X. Publications de l’Université libanaise. Section des études archéologiques II. Beirut, Département des publications de l’Université libanaise.
ORSINGHER, A. (2014): «Listen and Protect: Reconsidering the Grinning Masks After a Recent Find from Motya», Vicino Oriente 18: 145-171.
ORSINGHER, A. (2018): «Ritualized faces: the masks of the Phoenicians», en A. Berlejung y E. Filitz (eds.), The Physicality of the Other. Masks as a Means of Encounter. Orientalische Religionen in der Antike 27: 265-305. Tübingen, Mohr Siebeck.
FONTAN E., LE MEAUX H. (2007): (ed.), La Méditerranée des Phéniciens, de Tyr à Carthage. Exposition présentée à l’Institut du Monde Arabe, du 6 novembre 2007 au 20 avril 2008 (Coédition Institut du monde arabe, Paris – Somogy éditions d’Art).
ANNA MARIA BISI (1967): «Le stele puniche» in S. Moscati, Studi Semitici n°27 – Istituto di Studi del Vicino Oriente – Università di Roma.
BONETTO ET ALII (2018): Bonetto J., Bejor G., Bondì S. F., Giannattasio B. M., Giuman M., Tronchetti C. 2018 (a cura di), Nora. Pula, Sassari.
ARCHEO MONOGRAFIE (2019): Cartagine regina del Mediterraneo, a cura di Sergio Ribichini – n°34 Dicembre/Gennaio 2019 rivista bimestrale.