Torna al suo antico splendore la Chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone a Matera

di Eleonora PERSICHETTI

Febbraio 2019, una promessa: riconsegnare alla città di Matera, entro il mese di settembre, la Chiesa di San Giovanni in Monterrone in tutta la sua bellezza.

E le promesse per un imprenditore come Andrea Rigoni non sono solo un impegno, ma sono la filosofia con cui conduce la sua vita e il suo lavoro.

Così, il 12 settembre, nella città dei Sassi, Patrimonio dell’Unesco e Capitale della Cultura 2019, cittadini, stampa, critici d’arte, addetti ai lavori e tutti coloro che hanno partecipato al restauro hanno potuto finalmente godere del grande spettacolo che un’opera d’arte sa offrire quando si mostra in tutto il suo splendore.

Per Rigoni di Asiago l’attenzione e la responsabilità verso la valorizzazione del patrimonio artistico del nostro Paese non sono una novità.

Ricordiamo infatti il primo importante intervento del 2015, quello del restauro dell’Atrio dei Gesuiti del Palazzo di Brera seguito da quello della statua di San Teodoro di Palazzo Ducale, a Venezia e, poi, dal recupero della fontana “Venezia sposa il mare”, nel cortile di Palazzo Venezia a Roma.

L’aspetto caratteristico di Matera per il quale la città è oggi nota in tutto il mondo consiste nella particolare conformazione delle abitazioni, degli opifici e delle chiese degli antichi rioni, in particolare dei Sassi, ricavati in parte nella roccia e in parte costruiti in blocchi di calcarenite, pietra comunemente nota come tufo.

La chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone, totalmente ricavata nel masso roccioso ad eccezione della facciata e l’adiacente Santa Maria de Idris sono ricavate nel Monterrone, un pittoresco promontorio che si erge tra il Sasso Caveoso e l’antica contrada del Casalnuovo.

Dedicata a San Giovanni Battista, la chiesa si presenta ad unica navata e alterata, rispetto all’aspetto originario, dalla realizzazione di ambienti laterali ricavati soprattutto a scopo funerario come evidenziato, tra l’altro, nel corso degli scavi archeologici condotti alla fine degli anni ’90 del secolo scorso.

Probabilmente risalente all’XI secolo, doveva presentarsi interamente decorata da affreschi realizzati a partire dal momento dell’escavazione e nei secoli successivi ma senza grandi rilievi di tipo architettonico.

Interno

Dei diversi impianti decorativi succedutisi, testimonianza di un certo dinamismo culturale, sopravvivono soltanto poche tracce. Entrando nell’aula dall’antica porta di accesso, sulla sinistra, si ammira l’affresco cinquecentesco, palinsesto, dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista. Il Battista, come di consueto, indica l’Agnus Dei rappresentato poco più in basso; l’Evangelista regge con la mano sinistra il suo tipico attributo iconografico: un calice con un serpente.

Di fronte, lungo il fianco destro, sono evidenti alcuni santi non identificabili per la mancanza di elementi iconografici e un altro palinsesto. All’antica immagine di Sant’Andrea, di cui è visibile il solo volto, severo e affilato, con capelli lisci e divisi, è sovrapposta una Madonna con il Bambino (probabilmente una Glikophilousa) riconoscibile dalle mani e dal Bambino col nimbo crucigero.

Accanto, in sequenza, sono affrescate le immagini di un giovane santo e di San Girolamo, rappresentato in abiti vescovili.

La piccola cappella, scavata sempre a scopo funerario sul fianco destro dell’aula, presenta una pregevole decorazione a fresco: da un lato, in direzione della porta, sono evidenti San Pietro, il ‘principe degli apostoli’ e San Giacomo maggiore (primo ventennio del XIV secolo); di fronte l’Annunciazione.

San Giacomo maggior e San Pietro. Immagini restaurate

Proseguendo, sempre sul fianco destro, si notano gli affreschi cinquecenteschi del Battesimo di Cristo nel fiume Giordano e parte di un pannello con la scena della Conversione di Sant’Eustachio, patrono della città di Matera.

Nel XVI secolo San Giovanni e Santa Maria de Idris erano entrambe dotate di un beneficio ecclesiastico di libera collazione dell’Arcivescovo di Matera e Acerenza; successivamente, con l’erezione e la costruzione del Seminario Arcivescovile, furono annesse tra alle proprietà del nuovo ente.

Profanata nel corso del XVIII secolo, il 20 marzo 1803 la chiesa fu concessa in enfiteusi perpetua, dall’Economo e Procuratore del Seminario, alla confraternita di Santa Maria dell’Idris che provvide a realizzare una nuova facciata, come dimostra la data incisa sull’architrave, un nuovo altare, di cui purtroppo restano pochi elementi lapidei, e il corridoio di collegamento con l’adiacente chiesa di Santa Maria. In quest’ultima circostanza furono sacrificati, nel taglio, alcuni affreschi di cui sopravvivono solo le parti superiori; si distinguono ancora una Madonna con Bambino e un pannello con i Santi Pietro e Paolo.

Pur essendo stata quasi del tutto abbandonata a seguito dello sfollamento dei rioni Sassi, la chiesa è stata sempre oggetto di attenzione da parte di storici e studiosi.

Oggi, grazie agli ultimi lavori di restauro, gli affreschi di San Giovanni tornano a splendere e ad ‘illuminare’ i visitatori.

Elonora PERSICHETTI    settemmbre    2019