Talking ‘About (Art)’ Caravaggio: “La Presa di Cristo” parlano gli esperti. J. Gash (original english text and italian translation)

John GASH

John GASH

The painting of the Taking of Christ from the Bigetti collection, recently presented at Ariccia as Caravaggio’s prime version, has always appeared suspect to me. When I viewed it ‘in the flesh’ several years ago it seemed a rather messy concoction, expanded beyond the compact pictorial area of the outstanding version on permanent loan to the National Gallery of Ireland, as was not uncommon with certain later copies after other paintings by Caravaggio. The Dublin picture, which was acquired directly from Palazzo Mattei by William Hamilton Nisbet in 1802, must be the prime version, not simply because of its provenance, but because of its immaculate technique and unmistakable figure style, beautifully brought to vibrant life by the late Sergio Benedetti’s restoration. Most of the several copies of the picture apart from the Bigetti one are identical in format to the Dublin original, including one in the Museum of Western and Oriental Art, Odessa, which must rank among the most faithful. Whether this latter was the copy commissioned in 1626 by Asdrubale Mattei from the unknown Giovanni di Attilio is not certain, but it may have been, unless that was indeed the Bigetti one.

Although I have not seen the Bigetti picture after its recent new restoration, the photographs do not inspire great confidence. The faces of the figures are somewhat coarse copies of the Dublin canvas, without its precise, well-prepared contours and formal concentration, while it also lacks its subtle and brilliantly textured range of colours on the draperies, with the sleeve of the fleeing figure at the left assuming an almost rubbery quality. The Bigetti picture does not lack emotion, but it is expressionistic more than expressive. Its several pentimenti are the signs of a painterly copyist working directly onto canvas from the original, rather than an indication of an original artist’s first creative urges. And, unlike with Caravaggio, the emotions are superimposed on the faces rather than deeply embedded in the observation of real appearance. So who could have painted it? There is, as yet, no clear solution, even if the histrionic expression of Christ has a whiff of that most recent addition to the Caravaggesque Pantheon, the Manfredi pupil, Bartolomeo Mendozzi.

Italian translation

Il dipinto della Cattura di Cristo della collezione Bigetti, recentemente presentato ad Ariccia come la prima versione di Caravaggio, mi è sempre apparso sospetto. Quando l’ho visto “dal vivo” diversi anni fa mi è sembrato un miscuglio piuttosto disordinato, espanso oltre la compatta area pittorica dell’eccezionale versione in prestito permanente alla National Gallery of Ireland, come non era raro in alcune copie successive dopo altri dipinti. di Caravaggio. Il dipinto di Dublino, acquistato direttamente da Palazzo Mattei da William Hamilton Nisbet nel 1802, deve essere la versione principale, non solo per la sua provenienza, ma per la sua tecnica impeccabile e lo stile inconfondibile delle figure, splendidamente riportate in vita vibrante dal restauro del compianto Sergio Benedetti. La maggior parte delle numerose copie del dipinto, ad eccezione di quella di Bigetti, sono identiche nel formato all’originale di Dublino, inclusa una nel Museo di arte occidentale e orientale di Odessa, che deve essere considerata tra le più fedeli. Se quest’ultima fosse la copia commissionata nel 1626 da Asdrubale Mattei allo sconosciuto Giovanni di Attilio non è certo, ma potrebbe esserlo, a meno che non fosse proprio quella del Bigetti.
Anche se non ho visto il quadro di Bigetti dopo il recente nuovo restauro, le fotografie non ispirano grande fiducia. I volti delle figure sono copie un po’ grossolane della tela di Dublino, priva dei contorni precisi e ben preparati e della concentrazione formale, così come manca la gamma di colori sottile e brillantemente strutturata dei panneggi, con la manica della figura in fuga a la sinistra che esprime una qualità quasi gommosa. Il quadro di Bigetti non è privo di emozione, ma è espressionistico più che espressivo. I suoi numerosi pentimenti sono i segni di un pittore copista che lavora direttamente sulla tela dall’originale, piuttosto che un’indicazione dei primi impulsi creativi di un artista originale. E, a differenza di Caravaggio, le emozioni sono sovrapposte ai volti piuttosto che profondamente radicate nell’osservazione dell’apparenza reale. Allora chi potrebbe averlo dipinto? Non c’è ancora una soluzione chiara, anche se l’espressione istrionica di Cristo ricorda l’ultimo arrivato nel Pantheon caravaggesco, l’allievo di Manfredi, Bartolomeo Mendozzi.