Successo all’Accademia di Francia per un ciclo al femminile di arte ‘metastorica’ che fa riflettere

di Giorgia TERRINONI

Katarina Grosse
Tatiana Trouvè

UNE, notevole ciclo espositivo ideato all’Accademia di Francia a Roma (febbraio 2017 – aprile 2018) dalla direttrice Muriel Mayette-Holtz e curato da Chiara Parisi, sta giungendo a conclusione! Il 2 febbraio, infatti, ha inaugurato Le numerose irregolarità, ultima mostra che vede dialogare i lavori di Katharina Grosse e Tatiana Trouvé.

 

Per chi non lo avesse fin qui seguito, il progetto UNE ha inteso esibire la possibilità di confronti artistici inediti, interculturali e intergenerazionali. È stato tendenzialmente al femminile, ma senza esclusione di generi. Ecco allora che Annette Messager ha potuto incontrare idealmente Balthus; lo stesso è accaduto a Elizabeth Peyton con Camille Claudel e Auguste Rodin; Yoko Ono e Claire Tabouret hanno dato vita a un contrappunto musicale. Katharina Grosse e Tatiana Trouvé, infine, hanno ribaltato i confini delle superfici di Villa Medici.

Tatiana Trouvè

Le due artiste i cui approcci sono apparentemente agli antipodi – Katharina Grosse elegge la pittura a suo principale mezzo espressivo, Tatiana Trouvé si affida alla potenza dell’oggetto scultoreo ricontestualizzato –  riescono inaspettatamente a inscenare un dialogo.

La mostra si apre con alcune sculture di Tatiana Trouvé, Somewhere in the Solar System e The Great Atlas of Disorientation. Queste opere danno un corpo alla nozione di luogo antropologico universale, sovratemporale e sovranazionale. Evocano capanne, incorporano mappe di migrazioni antiche e odierne e lacerti di saperi millenari. E rimangono sospese a metà strada tra un esoterismo inafferrabile e un bene rifugio concreto.

Katarina Grosse

Le successive From 2002 to 2016, Notes on sculptures, September 15th, Jill e Peter sono definite dall’artista come annotazioni scultoree, sculture frammentarie che formano, in un tempo e uno spazio di volta in volta diversi, installazioni sempre rinnovate (e rinnovabili!).

Le sale al pianterreno che ospitano queste opere sono ridisegnate dalla seta dipinta da Katharina Grosse. Assistiamo a una pittura site-specific che plasma lo spazio e, al contempo, ne è plasmata, in un gioco di rimandi non dissimile da quello inscenato dai combines in bronzo e pietra di Trouvé.

Katarina Grosse

Lo spazio della cordonata medicea è reso ingombro da Ingres Wood, un’opera imponente composta da una serie di tronchi abbattuti appartenuti a uno dei pini che Ingres fece piantare nel giardino della Villa all’inizio dell’Ottocento. Attraverso modulazioni cromatiche e molti metri di tela che panneggiano la cordonata, l’artista interviene sulla storia dell’albero – da Ingres a Grosse! – e riconfigura il contesto, portando una porzione del giardino all’interno della Villa.

Pochi minuti prima di visitare la mostra, stavo leggendo un celebre romanzo di Romain Gary, La promessa dell’alba. Questo libro racconta della promessa di un bambino alla madre e dei modi che egli ha cercato per onorarla. Una promessa di grandezza all’inseguimento della quale i personaggi sono inciampati in molteplici gradini sdrucciolevoli, scherniti da quanti hanno assistito alla loro caduta. A seguito di uno di questi inciampi, Gary racconta:

“Nella corte del nostro stabile c’era un deposito di legna e il mio nascondiglio preferito si trovava al centro di quel mucchio di tronchi; mi sentivo meravigliosamente protetto quando, dopo una serie di esperte acrobazie – i tronchi si alzavano all’altezza di due piani – riuscivo a scivolare nel nascondiglio, chiuso da ogni parte da pareti di legna umida e profumata. Vi passavo lunghe ore, con i miei giocattoli favoriti, completamente felice e inaccessibile”.

Suggestionata certamente dalle parole da Gary e dalle capanne di Tatiana Trouvé, anche la possente architettura di tronchi, colori e drappi mi è parsa come un possibile luogo antropologico, ricco perché ibrido, a cavallo tra natura e cultura.

Katarina Grosse

Se Romain Gary fa eco a Ingres Wood, Patrick Modiano – anche lui autore di origini non francesi, eppure irrimediabilmente francese – fa eco alle installazioni che chiudono il percorso espositivo, appartenenti alla serie Les Indéfinis di Tatiana Trouvé. Si tratta di opere dallo statuto incerto, dalla veridicità sospetta. Imponenti lastre sovrapposte di plexiglas e linee sottili e spiraliformi. Accanto a queste si depositano lacerti di materie che non sono oggetti ma neppure scarti, in combinazioni che disorientano perché aliene e, allo stesso tempo, familiari.

Questi assemblaggi sono enigmatici, paradossali e marginali; eppure, una volta raggiunti, viene voglia d’indagarli, di percorrerne le linee frammentarie…a ricostruire qualcosa, seppure qualcosa d’immemorabile. In questo somigliano molto alle inafferrabili esistenze qualunque, ossessivamente inseguite da Modiano nei suoi romanzi. Esistenze che, sebbene, scrupolosamente indagate, mai superano lo stato di soglia!

Giorgia TERRINONI  9 febbraio 2018