Stefania Macioce rilegge la Cina. Un’indagine sul presente e su un passato di disillusioni attraverso un dipinto e un libro

di Stefania MACIOCE

Spigolature

Hu Lanbo

Il sole delle otto del mattino

Cina in Italia Editore 2017

Esposto alla Biennale di Arte Contemporanea di Venezia 2019, ospite del padiglione di San Marino all’ex Ospedaletto, il dipinto dell’artista cinese Xin Junqing  è un opera provocatoria che la critica ha correttamente considerato come apertamente social. La fama internazionale di Xin Junqing è legata anche a 798, la cittadella dell’arte creata a Pechino dagli artisti. Il distretto 798 prende il nome da una fabbrica che fu costruita negli anni Cinquanta ed è famoso, a livello mondiale, per le sue mostre uniche e per il suo straordinario laboratorio creativo. 798 è divenuto un punto di riferimento per la cultura urbana di Pechino, premiato da parte dell’American Time Magazine come “uno tra i primi 22 luoghi di interesse più famosi al mondo”. Quest’anno Xin Jiunqin ha partecipato per la prima volta alla Biennale di Venezia con le sue opere, a tematica militare, che gli hanno valso numerosi riconoscimenti internazionali.

Il quadro esposto mostra due militari dell’esercito cinese, ad oggi la forza militare più numerosa al mondo, i cui componenti sono considerati un’élite, ritratti mentre urinano nella Fontana di Duchamp, opera d’arte del 1917, che rappresenta un orinatoio firmato, estrapolato dal tradizionale contesto. Un gesto irrispettoso che antepone i bisogni fisici basilari dei due soldati al rispetto della storia e della cultura passata e che viene visto con disprezzo dall’artista. La loro urina, infatti, finisce sul pavimento, provocando presumibilmente cattivo odore e disagio per tutti i presenti: si tratta di un simbolo degli effetti nefasti per la collettività, probabilmente un messaggio non troppo velato per il presidente cinese Xi Jinping.

Traspare inoltre da quest’opera la costante attenzione data dagli artisti cinesi all’arte occidentale con cui dialoga incessantemente. Il quadro fa riflettere e molto perché nasce nella Cina contemporanea, potenza economica e tecnologica mondiale, in paurosa e costante crescita, che fa supporre un contesto sociale avanzato se non radicalmente diverso rispetto agli anni della rivoluzione culturale. L’arte invece denuncia il contrario e quasi apertamente il dipinto denuncia prevaricazione e disprezzo per la cultura, alludendo a un potere rozzo e coercitivo. E’ un’opera forte e coraggiosa che denuncia la permanenza di un’eredità storica e culturale che evidentemente è entrata nel tessuto connettivo di un intero popolo.

E’ in tale contesto che può collocarsi il romanzo/biografia di Hu Lanbo Il sole delle otto del mattino, edito nel 2017. Hu Lanbo, è nata nella provincia cinese dello Heilongjiang, nel nord est del paese, ma vive in Italia, a Roma dopo aver conseguito un dottorato in Letteratura francese alla Sorbonne. Arrivata in Italia, dopo alcuni anni dedicati ad attività di scambio commerciale con la Cina, ha fondato nel 2001 la rivista bilingue cinese-italiano Cina in Italia.

Il sole delle otto del mattino è il secondo libro di Hu Lanbo. Scritto a ventidue anni, questo romanzo di formazione ha il tratto spiccato di un’autobiografia ambientata in Cina all’epoca della Grande Rivoluzione culturale, nella drammatica fase di transizione tra un passato agricolo e un futuro industriale alle porte.

Il Libretto Rosso proclamava che ogni rivoluzione è “un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra”, ma al contempo Mao Zedong spronava il popolo ad aderire ai grandi ideali rivoluzionari con esortazioni come: ”voi giovani pieni di vigore e vitalità, nel fiore della vita siete come il sole alle otto o alle nove del mattino. La nostra speranza è affidata a voi. Il mondo vi appartiene. Il futuro della Cina vi appartiene”.

Leilei è una bambina che sogna di diventare ballerina classica, vive serena in una famiglia di intellettuali: il padre è assessore alla cultura a Pechino, la madre una cantante dell’Opera di Stato, vi sono poi una zia affettuosa e un nonno silenzioso dall’impegnativo passato politico mentre la nonna con i suoi riti è legatissima alle antiche tradizioni cinesi. All’improvviso, nello spazio di poche settimane, dopo l’estate del 1966, la Rivoluzione culturale spazza via tutto. Nel giro di pochissimo tempo i genitori sono accusati di essere controrivoluzionari e considerati nemici del popolo, vengono imprigionati e costretti alla rieducazione imposta da Mao Zedong, subiscono crudeltà inaudite dalle guardie rosse e la famiglia viene completamente disgregata. I bambini restano soli e vengono emarginati e umiliati, si trovano ad affrontare indicibili sofferenze e difficoltà.

Attraverso la voce di Leilei, Hu Lanbo riporta le contraddizioni, le violenze gratuite, la programmatica distruzione di una cultura millenaria cui si accompagnano l’arretratezza tecnologica nonché la totale assenza di libertà di azione e di pensiero. L’autrice definisce quel periodo come gli “anni perduti della Cina”, combinando abilmente fatti privati e pubblici all’affacciarsi della sua maturità in cui prenderà coscienza della propria femminilità.

Dalle pagine scritte con uno stile asciutto e aderente alla realtà emerge, forse inconsapevole, il rimando ad antichi precedenti di una tipologia narrativa come La buona terra di Pearl S. Buck. Attraverso brevi capitoli la narrazione si fa avvincente mettendo in luce senza orpelli la formazione di un carattere determinato, con una incredibile capacità di sopportazione, ma al contempo intriso di passionalità e lirismo. Leilei rimane circa 6 anni con il fratellino di due invasa dalla paura, straziata per la perdita brutale della mamma. È disperata eppure la forza della vita e il senso della responsabilità per il fratellino la spingono a sopravvivere lavorando nei campi di rieducazione.

Sono pagine che fanno vivere il senso profondo di uno strappo crudele e che segnano anche chi legge. E poi l’incontro con personaggi e situazioni diverse: l’amica del cuore e la sua mamma, le discriminazioni della maestra a scuola, il signor Chen, una figura di antico saggio incontrato su un autobus che infonderà alla piccola Leilei la passione per il francese. I personaggi sono tratteggiati con delicata chiarezza e quasi con pudore, ma sono credibili poiché il lettore acquista subito consapevolezza della diversa mentalità.

Convivono nel libro il rispetto misterioso per ritualità antichissime insieme alla fascinazione profonda per la cultura occidentale ed emerge con prepotenza il desiderio sentito verso il progresso reale della Cina, considerata in quegli anni tecnologicamente molto indietro. Anche Leilei crede nella Cina, nella sua identità antica e nonostante tutto la ama orgogliosamente, come emerge dalle liriche descrizioni dei paesaggi e di una luce straordinaria attraverso sensazioni palpabili e poetiche che rimandano alla pittura Song.

Il libro di Hu Lanbo offre, in una sintesi lineare, una narrazione autentica che svela la natura fiera e adente del popolo cinese, un  popolo antico come le montagne, temprato dal fuoco e dalla neve.

Stefania MACIOCE     Roma  14 novembre 2019