“Rubens a Genova”, a cura di Nils Büttner e Anna Orlando. Dalla mostra di Genova il contributo di Anna Lo Bianco

di Anna LO BIANCO*

 

Rubens a Genova,a cura di Nils Büttner e A. Orlando, Genova, Palazzo Ducale, catalogo Electa, ottobre 2022

Rubens e lo stile italiano: amici e protettori tra Roma Genova e Mantova

Quando Rubens arriva a Roma nell’agosto del 1601 la città è ancora un immenso cantiere. Il più forte desiderio dell’artista era quello di vedere dal vero i monumenti dell’antichità classica cui aveva dedicato tanti studi nel corso della sua formazione. (1) Ciononostante possiamo ritenere che questo fervore di lavoro nel giubileo appena trascorso lo abbia profondamente colpito in quanto riguardava da vicino proprio il campo del suo mestiere di pittore. La situazione che si presentava ai suoi occhi era al di là di ogni immaginazione coinvolgendo centinaia di artisti di ogni provenienza, impegnati in interventi pubblici e privati che interessavano quasi tutte le maggiori chiese romane, suggerendo al giovane Rubens un’infinità di itinerari e di visite. Una situazione del tutto nuova rispetto alle sue esperienze che pure contemplavano la conoscenza di città importanti come Venezia, Firenze  Mantova.

Come noto, il 18 luglio 1601 Vincenzo Gonzaga scrive ad Alessandro Damasceni Peretti Montalto pregandolo di accogliere a Roma l’artista che definisce “mio Pittore” per “copiare et fare alcuni quadri di pittura”, per ampliare quindi la sua formazione e le sue conoscenze.  Il 15 agosto Montalto risponde di aver ricevuto il pittore che ha visto “volentieri” assicurandogli la propria disponibilità in caso di bisogno. (2)  Il 14 settembre Rubens riceve da Mantova la rata del compenso pattuito che sarà riscosso con regolarità. Questi scambi tra personaggi di potere erano usuali e Montalto sembra rispondere contraccambiando una analoga accoglienza che Vincenzo Gonzaga aveva riservato a Ottavio Leoni che solo nel 1599 aveva soggiornato a Mantova per eseguire i ritratti dei personaggi della corte. (3)

Ma in effetti come si presenta Roma agli occhi del giovane fiammingo?

Erano in atto o appena conclusi  moltissimi interventi volti alla sicurezza e al decoro, necessari sia per presentarsi in un anno giubilare, veramente straordinario perché introduceva al nuovo secolo.

Roma acquistava man mano l’aspetto di città moderna e Rubens, grazie alla sua buona sorte vi giunge nel momento del massimo fervore creativo e di piena attività culturale per la presenza di una cerchia di mecenati all’avanguardia, attratti dalle novità figurative e dal desiderio di promuoverle in prima persona per il proprio prestigio personale.

Anche gli ordini religiosi svolgono un ruolo centrale e si delineano i due grandi complessi dei Teatini e degli Oratoriani, entrambi potenti promotori di cultura e di grandi imprese figurative e insediati a pochi metri di distanza gli uni dagli altri, in S. Andrea della Valle i primi, in S. Maria della Vallicella i secondi.

Sant’Andrea della Valle
Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova)

 

Dobbiamo però fare un passo indietro, al momento in cui Montalto riceve benevolmente Rubens a Roma. Non sappiamo se lo accoglie nel suo palazzo alla Cancelleria; sappiamo però che non vi è traccia della presenza del pittore nei registri parrocchiali di quegli anni. La domanda che viene istintivo porsi è: dove vive e soprattutto chi lo accompagna, chi gli è vicino in questa esperienza romana?

Immaginiamo che non sia giunto a Roma da solo perchè dall’inizio del suo viaggio in Italia  è con lui un giovane amico e allievo, il misterioso Deodato Del Monte ricordato da Rubens nel 1628 come allievo e compagno di viaggio in Italia. (23). Durante gli anni italiani compare una sola volta, il 9 marzo 1608, quale testimone per il contratto relativo dell’esecuzione della Adorazione dei pastori  di Fermo. (24) Considerandolo oltre che amico anche allievo, difficilmente possiamo immaginare che Deodato fosse rimasto a Mantova e non avesse accompagnato il maestro in una esperienza così attraente.

Ma certo non può essere Deodato a introdurre Rubens nelle collezioni, nelle chiese, nei palazzi, nè sappiamo che Montalto, pur con le sue infinite conoscenze, abbia incaricato di questo un suo uomo. Però possiamo ritenerlo abbastanza plausibile: per onorare le richieste di Vincenzo Gonzaga il cardinale romano può aver individuato una persona a lui vicina con tutte le prerogative necessarie per facilitare le visite di Rubens.

Ho ragione di credere che tutti gli indizi portino alla figura di Pietro Fachetti, artista mantovano, nel 1601 più che sessantenne, trasferitosi in giovinezza a Roma dove è  perfettamente inserito nell’ambiente delle famiglie romane per le quali lavora e di cui ritrae “quasi tutte le dame”. (25)

Il suo nome permette in primo luogo di tenere le fila tra Roma, dove è in stretto contatto con Montalto, e Mantova da cui gli arriva nel 1603 la commissione per  le copie dei sedici comparti con i Pianeti della cappella Chigi di Raffaello  in S. Maria del Popolo da recare in dono al re di Spagna e al Duca di Lerma nella famosa missione affidata proprio a Rubens, lasciandoci quindi immaginare una buona consuetudine tra i due pittori. (26)

Che Pietro Fachetti potesse quindi essere la persona giusta per accompagnare Rubens nei suoi giri romani, gradita tanto a Gonzaga, quanto a Montalto, è un’ipotesi che si consolida leggendo la biografia del mantovano redatta da Baglione, succinta ma illuminante.

In primo luogo il carattere, che nel caso doveva giocare un ruolo non secondario considerate le tante inimicizie esistenti tra artisti a Roma e la opportunità di entrare a luoghi diversi  e spesso di difficile accesso . Baglione lo definisce “affabile, piacevole e di buona natura”, di quelli che “fanno servigio volentieri”.

Fachetti, oggi così poco noto, era allora una personalità autorevole, aveva poi grandi capacità pittoriche che nel giovane Rubens, all’oscuro di molte tecniche, costituiva un elemento importante. Il biografo asserisce che è

“ assai virtuoso e che aveva bellissimi segreti da far vaghissimi colori, e tra gli altri faceva gli azzurri oltremarini di esquisita vivezza e le lacche di grana belle…et altri colori minerali vaghissimi.” (27)

Prerogative queste che dovevano essere particolarmente interessanti per Rubens, all’inizio della sua professione quando può  addirittura aver chiesto e ricevuto consigli da Fachetti nel corso della sua prima committenza pubblica romana: la decorazione della chiesa di S. Croce in Gerusalemme. A proposito della grande abilità  tecnica di Fachetti, ricordata da Baglione, possiamo coglierne la portata  in un dipinto, attribuitogli quasi all’unanimità, il Ritratto di Michele Peretti, della Galleria Corsini, databile al 1606 circa che ci ribadisce anche lo stretto rapporto con la famiglia Peretti Montalto. La tela rivela proprio la grande padronanza dell’artista nell’uso dei colori, qui cangianti, e nell’incredibile resa della decorazione metallica dell’armatura da parata ma anche nell’effetto brillante non solo dei toni dorati ma dei rossi  dei tessuti preziosi. (28)

Pietro Fachetti, Ritratto di Michele Peretti, Galleria Corsini.

I “bellissimi segreti” della pittura di Fachetti evidenti nel fulgore del ritratto Montalto possono aver destato la curiosità di Rubens, in particolare nel campo della ritrattistica, anche a figura intera. Non dobiamo dimenticare che proprio tra il 1606 e il 1607 il fiammingo realizza i suoi più noti ritratti genovesi nei quali l’opulenza degli ori e dei ricamii sugli abiti ufficiali è abbagliante. Un primo tipo di ritratto sfarzoso e di parata era stato quello eseguito per il Duca di Lerma (Madrid, Museo del Prado), firmato e datato 1603, proprio in occasione della missione di Rubens in Spagna destinata a offrire doni al re  da parte di Vincenzo Gonzaga; tra questi, come abbiamo già visto, vi sono le opere di Fachetti con cui l’artista doveva essere certamente in contatto e che con la sua generosità  avrà messo volentieri a parte il giovane artista dei suoi segreti di “vaghissimi colori”.

A questo punto  Rubens rivoluziona l’idea del ritratto ufficiale senza sacrificare, anzi amplificando i dettagli più sontuosi che lo contaddistinguono. Infonde però nel personaggio un’energia vitale che si lega indissolubilmente all’incontro con il pittore, in una sorta di fermo immagine. La corrente di quell’attimo, alimentato dalla speciale empatia di Rubens, segna la differenza.

All’inverso poi la Tellini Perini ritiene molto giustamente che sia stato Fachetti a guardare alla pittura di Rubens, come si può vedere nella Natività dipinta per la chiesa di S. Maria di Susano, vicino Mantova, databile tra il 1614 e il 1616, che trae ispirazione proprio dalla famosa pala di Fermo. (29)

Caravaggio, Morte della Vergine, Parigi, Louvre

Le vicende di Rubens e di Fachetti si incrociano nuovamente nel 1607, come abbiamo già avuto occasione di vedere in precedenza, quando entrambi si esprimono favorevolmente sulla proposta di acquisto della Morte della Vergine di Caravaggio presentata a Vincenzo Gonzaga. Una sintonia che non doveva essere casuale.

Va poi ricordato che tra  Brill e Fachetti  la frequentazione è quotidiana: abitano entrambi in via Paolina e sono quindi vicini di casa. Nella stessa strada abita Adam Elsheimer e il piccolo gruppo appare stretto da vincoli di amichevole vicinanza come documentano i Registri parrocchiali della chiesa di S. Lorenzo in Lucina.

Sappiamo infatti che il 22 settembre 1606 Brill  e Fachetti sono indicati come  testimoni del matrimonio di Elsheimer. (30) Ai due artisti si aggiunge un terzo testimone, un personaggio che appare legatissimo a Rubens da rapporti di profonda amicizia: il medico di Bamberga Johan Faber. Sarà lui a curalo e a guarirlo quando Rubens si ammalerà di pleurite nell’estate del 1606.(31) Ma quanto l’amicizia tra i due  si andasse stringendo nel tempo lo possiamo cogliere anche  da quella famosissima lettera che l’artista, da poco rientrato in patria, scrive proprio a Faber nell’aprile del 1609, manifestando con grande confidenza tutta la sua nostalgia per Roma e per l’Italia.  Non solo, nella lettera si raccomanda anche di salutare “Adamo”, ovvero Elsheimer, dimostrando così come quel piccolo gruppo di amci fosse unito. (32)  Ancora a Faber scriverà Rubens nel 1611 in occasione della morte di Elsheimer, avvenuta a soli trentadue anni, per esprimergli tutto il suo dolore per la perdita di quello che ritiene un grande talento ma esternando anche il profondo sentimento di affetto che prova. ( 33)

Ritratto di Philip Rubens (incisione da Cornelis Galle il Vecchio)

Nell’aprile 1602 Rubens riparte per Mantova e tornerà a Roma solo alla fine del 1605. Questa volta la situazione è completamente diversa anche per  la presenza con lui del fratello Philip con il quale vive in Via della Croce, vicinissimo a Via Paolina dove risiedono i suoi amici Fachetti e Brill. Questa importante notizia sulla vita e la casa dell’artista purtroppo non è stata confermata da tutte le ricerche effettuate nei Registri parrocchiali puntualmente verificati (34)

Sono questi anni molto più sondati e documentati perché concentrati soprattutto sulla complessa decorazione del transetto della Chiesa Nuova, testimoniata da una ricca documentazione d’archivio nota agli studi che numerosissimi si sono succeduti sull’argomento. (35)

E’ anche il momento, proprio tra il 1606 e il 1607, in cui Rubens stringe il suo rapporto con Genova dove si concentra l’ attività di ritrattista ufficiale richiesta dai maggiori protagonisti dell’aristocrazia cittadina  L’artista però non si ferma a lungo in città e come ricorda giustamente Boccardo i suoi soggiorni genovesi,  brevi e limitati, suggeriscono che i ritratti non siano stati eseguiti tutti in loco ma condotti a termine a Roma o a Mantova (36). Il rapporto con Genova lascia però un segno indelebile nell’artista che in una lettera si compiace dei tanti incarichi assegnatigli che gli hanno permesso di avere “intrinsichezza grandemente con alcuni personaggi di quella repubblica”.(37) E ancora dopo tanto tempo, nel 1622, sente il desiderio di celebrare la città con il volume sui Palazzi di Genova tanto ammirati  per la loro bellezza priva di sfarzo.

Il pittore appare ormai ben ambientato a Roma, certamente vicino alla stessa cerchia di amici, impegnatissimo nella committenza della Chiesa Nuova che lo assorbe quasi completamente. Proprio a causa delle note difficoltà  incontrate in questa impresa si rende necesssario protrarre la sua permanenza in città. A chiedere una proroga del soggiorno dell’artista  a Vincenzo Gonzaga è un personaggio di grande potere, Scipione Borghese, protettore delle comunità fiamminghe e tedesche. Rubens è evidentemente sempre più introdotto e apprezzato nella cerchia dei grandi mecenati che lo sostengono in ogni modo. (38)

Ma anche i familiari da Anversa chiedono il suo ritorno a casa e in questo caso è Vincenzo Gonzaga a rispondere alla richiesta di Alberto VII di Asburgo in modo alquanto sibillino quasi fosse incerto il  rientro in patria dell’artista  poiché scrive:”inclinando egli più alla stanza d’Italia”. (39) Come se la sensazione comune fosse quella di una possibile permanenza in Italia di Rubens, a Roma, ma anche a Mantova e a Genova dove nel frattempo è richiestissimo.

Le grandi famiglie aristocratiche con le quali incrocia il suo destino Rubens tra Roma Mantova e Genova sono legate tutte da interessi comuni che si stringono in occasione di matrimoni opportunamente concertati come quello tra Vincenzo Giustiniani e Eugenia Spinola (40). Proteggono e collezionano gli stessi artisti, amano la musica,  trattano affari,  si incontrano nelle infinite occasioni ufficiali ma anche conviviali,  che si offrono loro. Costituiscono un tessuto culturale unico che Rubens respira a pieni polmoni e che in quel momento magico è il carattere di Roma e dell’Italia, al di là dell’antico come forse era pronto a immaginare.  E possiamo ritenere che la profonda nostalgia manifestata a Faber riguardi proprio questo stile di vita così colto e vitale,  il contatto con mecenati esigenti e artisti all’avanguardia, un mondo insomma  così diverso e lontano da quello che ritrova ad Anversa.

La sua nota capacità di rivolgere tutto a suo favore , lo porta però a inserirsi con soddisfazione nella società fiamminga, riportando in patria un po’ di quello spirito che tanto lo aveva colpito.

Lo dimostra in primo luogo la sua casa: “una stanza rotonda simile al Pantheon”. Con questa frase Bellori nella sua lunga biografia di Rubens descrive la grande sala della sua casa atelier ad Anversa. (41) Tornato da Roma l’artista aveva condotto con se statue, medaglie, resti di quel mondo classico cui si era ispirato. Ma la sua casa aveva una dignità e un decoro più sotterranei e discreti eppure di grande respiro che provenivano dalla sua conoscenza e apprezzamento dei ricchi palazzi di Genova A questi come abbiamo visto, aveva dedicato un  volume in cui traspariva anche l’emozione nel rammentarsi quella eccezionale stagione genovese.

Così la dimora di Anversa, che rispecchia la vita di Rubens, riunisce le due grandi suggestioni dell’esperienza italiana, il fertile rapporto con Genova e la vita a Roma. La grandiosità del mondo classico si univa al moderno rinascimento di Genova, in una sintesi che condensa in pieno il pensiero di Rubens.

Anna LO BIANCO   Novembre 2022

*estratto dal  saggio nel catalogo della mostra

Ringraziamenti:

Per i suggerimenti e l’aiuto gentilmente offertomi ringrazio Lia Di Giacomo, Belinda Granata, David Jaffe, Anna Orlando, Cecilia Paolini

NOTE 

  • Jaffé, Rubens e l’Italia, Roma 1977, soprattutto le pp. 88 e ss. Nel secondo soggiorno a Roma con il fratello Philip redige il volume sull’antico Electorum Libri duo che pubblicherà subito dopo il suo ritorno a Anversa presso la tipografia di Jan Moretus. Si veda anche E. Dodero, Rubens e il dialogo con l’antico, in Rubens e la nascita del Barocco, cat. Mostra a cura A. Lo Bianco, Milano 2016, ed. Venezia, pp. 71 – 83, con note di  approfondimento. L’argomento, in modo diverso è trattato anche da D. Jaffé, Rubens A Masterin the Making, cat. Mostra, London 2005.
  • Paolini, Regesto, in R. Morselli, Tra Fiandre e Italia: Rubens 1600 – 1608 Regesto biografico-critico,p. 99.
  • Yuri Primarosa, Epigoni del ritratto senza tempo e pionieri del ritratto “vivo”: inediti e nuove proposte per Ottavio Leoni, Pietro Fachetti e Andrea Commoodi, in La Scintilla Divina Il Disegno a Roma tra Cinque e Seicento, a cura di S. Albl e M. Simone, 2020, pp. 289 – 314
  • Paolini, cit., p. 331 Deodat van der Mont (Anversa 1582 – 1644) La differenza di età rafforza l’idea che si tratti di un allievo oltre che un amico.
  • Paolini, cit.,p. 297. La ricevuta del 9 marzo 1608 per la riscossione di 25 scudi quale anticipo dei 200 concordati per la pala di Fermo è firmata dall’artista, da Fabriano Giustiniani e Deodato del Monte. Quindi a questa data è ancora in Italia ed è molto curioso che non vi siano altre testimonianze della sua presenza.
  • Baglione, cit.,p. 127.
  • Tellini Perina, Una traccia per Pietro Fachetti, “Paragone” 1989, 40, 475, pp. 19 – 25. Sui rapporti tra Fachetti e Montalto risalenti già al padre del cardinale Y. Primarosa, Epigoni del ritratto “senza tempo” e pionieri del ritratto “vivo”. Inediti e nuove proposte per Ottavio Leoni, Pietro Fachetti e Andrea Commodi, in La Scintilla divina.Il disegno a Roma tra Cinque e Seicento, Roma 2020, pp. 289
  • Baglione, cit.,p. 127.
  • Alloisi,Personaggi e interpreti Ritratti della Collezione Corsini, Roma 2001, pp. 60 – 63.
  • Tellini Perina, cit.
  • 22 settembre 1606, Libri parrocchiali di S. Lorenzo in Lucina, in Alla ricerca di “Chiongrat”, Studi sui libri parrocchiali romani (1600 – 1630), Roma 2011, p. 193.
  • Paolini, cit., p. 215.
  • La famosissima lettera risale al 10 aprile 1609, poco dopo il rientro in patria. Cfr. Paolini, ,p.313.
  • Pietro Paolo Rubens Lettere italiane, a cura di I. Cotta, Roma 1987, p. 75.
  • La notizia, è ricavata da un documento legale ricordato da Jaffé, 1977, p. 94, del 4 agosto 1606 che attesta Rubens, con il fratello e due servitori abitante in Via della Croce. Purtroppo le tante verifiche sui registri delle parrocchie vicine non hanno dato conferme.  
  • La bibliografia è vastissima. Ricordo solo uno degli ultimi studi sull’argomento: A. Bianco, Le due esecuzioni di Rubens per la Chiesa Nuova: una questione oratoriana, con note sulla bibliografia precedente, in Rubens e la cultura italiana,cit., 87 – 100.
  • Boccardo, Genova e Rubens. Un pittore fiammingo tra i committenti e i collezionisti di una Repubblica, in L’Età di Rubens, cat. Mostra Genova 2004, ed. Milano, p. 5 – 11.
  • Boccardo, cit. p.1
  • Lettera di Scipione Borghese a Vincenzo Gonzaga 11 giugno 11607, al quale chiede di prorogare il soggiorno dell’artista a Roma, “almeno per pochi giorni”, in Paolini, p. 275.
  • 16 settembre 1607.. Paolini, ,, p. 281.
  • Danesi Squarzina, La Collezione Giustiniani Inventari I, p. LXIII.  Come mi segnala Anna Orlando Vincenzo Giustiniani sposa nel 1590 la genovese Eugenia Spinola di Gio. Battista del ramo di Luccoli, signore di Vergagni.
  • P. Bellori, cit. p. 264.