Restaurato il teatro di Velia nel Parco Archeologico di Paestum e Velia

di Nica FIORI

Per me Velia è un luogo sacro: è come Betlemme per i cristiani, perché qui è nata la filosofia”.

Con queste parole Luciano De Crescenzo, una ventina di anni fa, introdusse una sua divertente disquisizione su Parmenide, sostenendo che, per capire la filosofia delle origini non c’è niente di meglio che recarsi a Velia, nel Cilento (in provincia di Salerno) e immergersi nel suo paesaggio. Dal suo sinuoso mare di un azzurro limpidissimo, frequentato ai tempi di Omero dalle sirene, uscirono le cavalle immaginarie che guidarono il grande filosofo Parmenide dal non essere all’essere (“L’essere è, e non può non essere”, “Il non-essere non è, e non può essere” sono i suoi aforismi più noti), a rappresentare una situazione della coscienza che, dopo più di venticinque secoli, rimane sempre attuale (foto 1).

1 Panorama di Velia

Solo nel X secolo si chiamò Cilento, dal fiume Alento che ne segnava il confine, una parte del territorio che designa un’ampia zona della Campania meridionale. Ma già allora due sue città costiere, attualmente accomunate nello stesso parco archeologico, potevano vantare una storia ultramillenaria: Poseidonia (poi Paestum), nota per gli spettacolari templi, ed Elea (ora Velia), resa celebre da Parmenide e Zenone, i massimi esponenti della scuola filosofica eleatica.

In attesa che il Parco Archeologico di Paestum e Velia, struttura del Ministero della Cultura dotata di autonomia speciale, riapra dopo l’emergenza anti-covid, è arrivata la notizia della conclusione dell’intervento di manutenzione straordinaria sull’antico teatro di Elea-Velia, finalizzato non solo a garantire la tutela del monumento, ma anche a renderlo finalmente accessibile ai visitatori (foto 2 e 3).

2 Il teatro di Velia dopo il restauro
3 ll teatro di Velia prima del restauro

L’intervento si era reso necessario a causa del degrado avanzato in cui versavano le integrazioni delle sedute dell’edificio teatrale, già parzialmente ripristinate da un restauro risalente al 2003, successivo allo smontaggio dei blocchi originali, eseguito negli anni ’80 del secolo scorso per realizzare degli scavi stratigrafici nell’area.

Grazie alla scelta di utilizzare un materiale diverso per le integrazioni moderne che ricalcano la sottostruttura in terra, sulla quale appoggiavano i blocchi delle sedute, ora la cavea del teatro diventa accessibile al pubblico, cosa che il precedente intervento aveva escluso per motivi di sicurezza. Al tempo stesso, i lavori recenti hanno conservato le caratteristiche di reversibilità e riconoscibilità dell’intervento del 2003, seguendone le scelte anche nel colore delle parti integrate.

Devo dire che il risultato finale mi sembra molto positivo”, ha dichiarato il direttore generale dei Musei Massimo Osanna, tra i primi a vedere il teatro dopo la conclusione dei lavori.

Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Paestum e Velia (e da poco nominato direttore del Parco Archeologico di Pompei, dove è subentrato a Osanna), ha dichiarato da parte sua:

Oggi tutti possono accedere alle sedute della cavea, ovviamente rispettando delle regole come succede in tutti i siti archeologici. La finalità non è solo quella di usare l’edificio antico per spettacoli teatrali, ma anche di far accedere visitatori singoli e famiglie a un monumento che, grazie al suo restauro, ci può far riscoprire la sorprendente acustica dei teatri antichi. Chi si mette al centro dell’orchestra, infatti, può raggiungere le ultime file anche a voce bassa e senza microfono. … È un modo concreto per far capire la maestranza degli antichi architetti che nella progettazione dei teatri badavano più al suono che non all’impatto visivo, come insegna Vitruvio nel libro V del suo trattato sull’architettura” (foto 4).
4 Gabriel Zuchtriegel

È pure recente la notizia che nello stesso parco archeologico, ma a Paestum, da marzo 2021 il suo tempio meglio conservato, quello di Nettuno, dispone di un sistema di monitoraggio sismico continuo, grazie alla collaborazione del Parco con il Dipartimento di Ingegneria civile dell’Università di Salerno. Quattordici sensori di ultima generazione, sviluppati nell’ambito della ricerca sulle onde gravitazionali, sono stati posizionati sulle parti alte dell’edifico del V sec. a.C. e nel sottosuolo, per misurare in tempo reale ogni minimo movimento della struttura. La precisione degli strumenti è tale da poter registrare non solo attività sismiche, ma anche l’impatto del traffico e persino del vento sul tempio. Tali dati, raccolti in maniera sistematica, aiuteranno a elaborare un modello del comportamento “dinamico” dell’edificio e saranno fondamentali per rintracciare cambiamenti strutturali, non visibili a occhio nudo, che potrebbero rappresentare un rischio (foto 5).

5 Monitoraggio del Tempio di Nettuno, con indicazione dei punti di lettura

Vale la pena di tracciare a questo punto una breve presentazione di questi interessantissimi siti del Cilento (Patrimonio Unesco insieme alla Certosa di Padula), il cui territorio ha rappresentato in certi momenti storici l’unico canale attraverso il quale il versante tirrenico e quello adriatico della nostra penisola potevano comunicare, favorendo così una comune cultura mediterranea.

Paestum è indubbiamente uno dei luoghi di maggior fascino della Campania, grazie alle sue imponenti architetture. Ultimo baluardo a nord della Magna Grecia, era stata fondata nel VII secolo a.C. dai Sibariti e dedicata a Poseidone con l’intento di ingraziarsi il suscettibile dio del mare. La sua ricchezza, derivata dalle attività mercantili e dalla fertilità del suolo, attirò la cupidigia dei bellicosi Lucani che la occuparono intorno al 400 a.C., tenendola fino alla conquista romana. Gli scrittori antichi che parlano di Paestum si soffermano soprattutto sulla ricchezza dei suoi campi e la bellezza dei fiori: particolarmente rinomate erano le rose, che Virgilio ricorda nelle Georgiche e che divennero un luogo comune nella letteratura. Però già a partire dal IV secolo si assiste all’impaludamento della piana del Sele e al graduale spopolamento della zona, finché, nel IX secolo, fu definitivamente abbandonata perché soggetta alle incursioni saracene. Soltanto nella metà del XVIII secolo, dopo che se ne era quasi perso il ricordo, la città fu riscoperta e la piana bonificata (foto 6).

6 Paestum

Poderosa è la cinta muraria e notevoli le rovine di epoca romana, ma gli edifici che hanno dato la fama a Paestum sono i tre templi di stile dorico, riprodotti innumerevoli volte dagli artisti sette-ottocenteschi (ricordiamo in particolare Giovanni Battista Piranesi che nel 1778 realizzò una serie di celebri incisioni) e descritti da poeti e scrittori entusiasti quali Goethe, Winckelmann e Burckhardt. Al di là della bellezza architettonica, il calcare corroso delle colonne possiede il magico potere di attrarre la luce, passando dal rosato dell’alba al bianco del mezzogiorno al rosa più intenso del tramonto, dando così l’idea che anche la pietra inanimata possa vivere e vibrare in armonia con la natura.

Il più antico dei templi (VI secolo a.C.) è stato impropriamente chiamato Basilica nel ‘700 per la mancanza dei frontoni, caduti nel tempo (foto 7).

7 Paestum, interno della cd Basilica
8 Paestum, Tempio di Nettuno

Al suo fianco sorge il cosiddetto tempio di Nettuno (non sappiamo a chi fosse dedicato, forse a Era), datato alla metà del V secolo a.C e considerato il più bello dei tre. Le colonne esterne (14 sui lati lunghi e 6 sui corti) si elevano su un podio di tre gradini di misura superiore al normale, perché il tempio era in primo luogo della divinità; per i comuni mortali, come già notava Burckhardt, veniva ricavata una scala di aspetto più modesto.

9 Paestum, veduta laterale del Tempio di Nettuno

La cella (naos), all’interno della quale era custodita l’immagine della divinità titolare, è caratterizzata dalla presenza di colonnati, sconosciuta agli altri templi greco-occidentali della Magna Grecia e della Sicilia. Lo spazio viene così a essere suddiviso in tre navate da due file di due ordini sovrapposti di sette colonne doriche, caratterizzati da un assottigliamento dei fusti dal basso verso l’alto (foto 8-9-10).

10 Paestum, Tempio di Nettuno, interno

Il terzo tempio, più piccolo ma dalle proporzioni più slanciate, era dedicato ad Atena, ma è conosciuto come tempio di Cerere (foto 11).

11 Paestum, Tempio di Atena
12 Paestum, metopa con danzatrici, dal Tempio di Era Argiva

Poco lontano dalla città, alla foce del Sele, sorgeva il santuario di Era Argiva, una delle tante dee della fecondità che hanno caratterizzato i culti mediterranei. Le metope di questo tempio, ispirate al consueto repertorio mitologico dell’antichità, sono ora conservate nel locale museo e costituiscono una delle testimonianze più interessanti della scultura greca (foto 12). Ancora più consistenti sono i resti delle pitture di Paestum, tutte tombali, che costituiscono il vanto del museo (foto 13).

La tomba più famosa è quella del Tuffatore (480 a.C.), la cui lastra di copertura riproduce con pochi tratti essenziali un uomo che si tuffa in uno specchio d’acqua dalla superficie increspata, fra due alberi stilizzati e una sorta di pilastro.

13 Paestum, affresco tombale con scena conviviale
14 Paestum, lastra di copertura della Tomba del Tuffatore, ca. 480 a.C

Il tuffo potrebbe rappresentare simbolicamente il passaggio dalla vita alla morte, che l’uomo affronta da solo, spoglio d’ogni legame con la vita terrena; lo specchio d’acqua appena accennato è stato interpretato come il misterioso Okeanos, il fiume tempestoso che introduce nell’Oltretomba, mentre il pilastro del tuffo può essere visto come il termine del mondo conosciuto (foto 14).

Diversamente da Paestum, sono soprattutto i miti e i ricordi letterari e filosofici, più che le antiche pietre, a evocare la grandezza di Elea, fondata nel VI secolo a. C. da coloni provenienti da Focea, in seguito alla battaglia di Alalia combattuta dai Focei contro una coalizione di Etruschi e Cartaginesi. La città divenne municipio romano nell’88 a.C. con il nome di Velia, ma con il diritto di mantenere la lingua greca e di battere moneta propria.

Fu solo nel 1962 che l’archeologo Mario Napoli iniziò quelle campagne di scavo sistematiche sulla collina di Velia che hanno con gli anni fornito abbondante materiale di conoscenza agli studiosi della Magna Grecia: il quartiere meridionale e il quartiere settentrionale, l’acropoli e le mura cittadine, le Terme ellenistiche e le Terme romane, un probabile “Gymnasion” e il teatro che è stato oggetto del recentissimo restauro. Sorto intorno al 400 a.C., venne ampliato in epoca ellenistica, ma quello che vediamo oggi è di età imperiale. La struttura appare incompleta, perché una parte è stata scavata in epoca medievale per creare il fossato del castello sorto alle sue spalle (foto 15).

15 Velia
16 Velia, Porta Rosa

Il monumento forse più celebre di Velia è la Porta Rosa (così chiamata dal nome della moglie dell’archeologo Napoli), una costruzione del IV secolo a.C. che costituisce il più antico esempio di arco a tutto sesto in Italia. Più che una porta era un viadotto che collegava le due sommità naturali dell’acropoli e l’arco doveva svolgere una funzione di contenimento delle pareti della gola che collegava (foto 16).

17 Parmenide

Gli scavi di Velia hanno riportato alla luce in particolare luoghi e siti che ben difficilmente possono essere dissociati da quella via e da quella porta alle quali, nel proemio del suo poema Sulla natura, detto storicamente frammento 1, Parmenide  (foto 17) dedicava alcuni versi: “Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere, / mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, / che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo che sa. … Là è la porta dei sentieri della Notte e del Giorno, / con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra; / e la porta, eretta nell’etere, è rinchiusa da grandi battenti. / Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono …”.

Gli archeologi hanno anche dato un nome a quei due luoghi, rispettivamente Via di Porta Rosa   e Porta Arcaica (foto 18).

18

Più misteriosa appare l’identificazione di una strada del Nume o della Dea (forse la ninfa della fonte da cui Elea prende il nome), di cui pure parla il grande filosofo presocratico, nativo della città.  Nella costa eleatica, legata anche a miti omerici e virgiliani (particolarmente vivo è il ricordo di Palinuro, il nocchiero di Enea), anche le bellezze naturalistiche sono di casa, come le numerose grotte che si aprono sotto ripidi dirupi, nel riflesso delle cale che dal verde e dall’azzurro trapassa al violaceo, seguendo il cambiamento del colore delle rocce nell’arco della giornata.

Nica FIORI   Roma 7 aprile 2021