I reperti etrusco-italici e le invenzioni di Athanasius Kircher al Museo Naz.le Etrusco di Roma

di Nica FIORI

La Collezione Kircheriana a Villa Giulia

Le aperture straordinarie serali di Villa Giulia sono state e sono l’occasione per scoprire alcuni aspetti poco conosciuti dello splendido Museo Nazionale Etrusco, che, sotto la guida del nuovo direttore Valentino Nizzo, si è arricchito di manifestazioni culturali (visite guidate tematiche, conferenze, concerti, rievocazioni storiche) che si rivolgono a tutti con prezzi accessibili, e addirittura con una tessera molto conveniente, che permette di accedere al museo e ai suoi eventi tutte le volte che si vuole.

Athanasius Kircher_

Tra le visite guidate tematiche ho trovato particolarmente interessante quella tenuta dalla dottoressa Francesca Licordari sulla Collezione Kircheriana ospitata nel museo, preceduta dalle notizie sul personaggio cui deve il nome, quell’Athanasius Kircher (1602-1680), che grazie alla sua “lanterna magica” potrebbe essere considerato il precursore dei Fratelli Lumière. Kircher era un dotto gesuita e, come tale, alloggiava e insegnava nel Collegio Romano, i cui locali sono occupati ora dal liceo Visconti e dal Mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo). Pur essendo tedesco di nascita, questo gesuita è stato indubbiamente uno dei protagonisti indiscussi del Seicento romano: estremamente eclettico, si cimentava in tutti i campi del sapere, con un approccio creativo che lo portava a ideare o a perfezionare strumenti scientifici già esistenti e, allo stesso tempo, a raccogliere e collezionare stranezze e reperti archeologici.

Dato l’enorme numero di libri scritti da Kircher, si potrebbe pensare che egli fosse soprattutto un uomo di studio, ma in realtà era anche un uomo d’azione, tanto che osò calarsi nel cratere del Vesuvio per osservare i segni premonitori di un’eruzione vulcanica. Restaurò la chiesa del Gesù, collaborò con William Gascoignes alla messa a punto del cannocchiale astronomico, insegnò la prospettiva a Nicolas Poussin e l’acustica a Francesco Borromini in occasione della realizzazione dell’Oratorio dei Filippini. Restaurò l’obelisco Pamphilio di piazza Navona e influenzò Bernini nella realizzazione della Fontana dei Quattro Fiumi, proponendo anche un’interpretazione dei geroglifici, che, però, si rivelò sbagliata (fu Champollion a decifrare la scrittura geroglifica dopo la scoperta della stele di Rosetta). Tra le sue molteplici invenzioni, si ricorda anche l’antenato del megafono, da lui chiamato “tromba stentorofonica”. Nella sua Musurgia universalis (sul tema della forza e degli aspetti meravigliosi di consonanze e dissonanze) egli elabora l’idea di Dio come costruttore di organo e insieme organista, e istituisce un parallelo tra i sei giorni impiegati per la creazione e i sei registri di un organo cosmico.

Nell’Ars magna lucis et umbrae, ovvero la grande opera della luce e dell’ombra, vengono trattati i raggi luminosi (visione diretta, riflessa e rifratta) e il funzionamento dell’occhio, insieme alle nozioni fondamentali riguardanti la scenografia e la prospettiva. È in questo libro che egli spiega il funzionamento della camera oscura, della lanterna magica e del Proteo catottrico.

Il congegno della camera oscura, conosciuta già dal Quattrocento, è costituito da due parallelepipedi inseriti uno dentro l’altro. Attraverso fori delle pareti esterne i raggi luminosi entrano nel sistema ottico e proiettano le immagini invertite sulle superfici traslucide (di carta sottile) del cubo interno. L’osservatore è collocato all’interno del congegno e vengono riprodotti gli elementi naturali del paesaggio circostante.

Lanterna magica con Morte

Il principio ottico della lanterna magica, descritto per la prima volta da Kircher, permette di generare immagini partendo da dipinti su vetro. All’interno di un contenitore si ha una fonte luminosa e un foro dotato di un tubo ottico che riporta alle due estremità una lente e le lastrine colorate. Il fascio di luce della lanterna attraversa i dipinti su vetro e ne proietta le sagome colorate in una parete dell’ambiente in cui è posizionata la scatola. La lanterna magica deriva direttamente dalla camera oscura, ma, a differenza di quest’ultima, le immagini non sono create all’interno di una scatola, ma all’esterno. I principi proiettivi usati sono gli stessi, ma variano le posizioni relative alle sorgenti di luce (centro di proiezione), del vetro dipinto (oggetto da proiettare) e dello “schermo” (piano di proiezione) dove si genera l’immagine.

Lo strumento era utilizzato frequentemente da Kircher nel Collegio Romano, allo scopo di destare stupore negli spettatori, ma anche per uno scopo persuasivo religioso: viene raffigurata, per esempio, un’anima dannata che brucia nelle fiamme dell’Inferno, oppure la Morte corredata dalla clessidra e dalla falce.

Quanto al Proteo catottrico, si tratta dello strumento che trasforma gli uomini in animali. È costituito da un parallelepipedo ottagonale che riporta sulle facce laterali la rappresentazione di diverse teste di animali. Questa speciale ruota, che può essere mossa da una manovella, è sormontata da uno specchio piano. Nel primo esperimento descritto da Kircher nel suo libro, la ruota risulta nascosta all’osservatore, che, invece di vedere riflesso il proprio ritratto, trova di volta in volta quello di un animale.

Oltre alla “lanterna magica”, che è stata alla base dell’invenzione del cinema, e a diversi giochi ottici, Kircher espose nella sua Wunderkammer del Collegio Romano macchine per il moto perpetuo, la coda di una sirena, le ossa di un gigante e una moltitudine di altre stranezze naturali e artificiali. Meraviglie che dovevano scrutare la realtà visibile e invisibile del Mondo, invenzioni e simboli che si intersecavano, nel primitivo Museo Kircheriano, con l’arte (soprattutto egizia), con l’astronomia, l’anatomia, le scienze, la musica, l’ermetismo.

Il museo del Collegio Romano, incrementato negli anni da altri gesuiti, subì varie ed alterne vicende, finché nel 1913 un decreto ministeriale autorizzò la spartizione delle collezioni del Museo Kircheriano tra le nuove più consone sedi che negli anni si erano costituite, come il Museo Nazionale Romano, il Museo di Villa Giulia, il Museo di Castel S. Angelo e in seguito il Museo Pigorini.

A Villa Giulia, ovviamente, è stata sistemata la raccolta di pezzi etrusco-italici. Tra gli oggetti esposti (specchi, statuine, vasi e ciste) merita sicuramente grande attenzione la celebre Cista Ficoroni, un contenitore di forma cilindrica in bronzo, finemente cesellato con scene mitologiche e sormontato da un coperchio ornato da tre piccole sculture (Dioniso e due satiri), per un’altezza di 77 centimetri.

Cista Ficoroni

Rinvenuta a Labico, l’opera ha preso il nome dallo scopritore. Si ipotizza possa trattarsi di un manufatto del IV secolo a.C., commissionato, come dono di dote per la figlia, dalla matrona Dindia Macolnia (di nobile famiglia prenestina) a un artigiano di nome Novios Plautios, come si legge nell’iscrizione sul coperchio in latino arcaico. Nella decorazione è descritto l’arrivo degli Argonauti (gli eroi che andavano alla ricerca del vello d’oro) in Bitinia, presso il re Amico, re dei Bebrici. Questo re aveva l’abitudine di sfidare quelli che arrivavano nel suo regno in un incontro di pugilato, vincendoli e umiliandoli. Pessima abitudine, perché per i Greci l’ospite era sempre sacro. Tra gli Argonauti vi erano però anche i gemelli divini Castore e Polluce, figli di Leda e di Zeus. Castore era specializzato nel pugilato e uscì vincitore dall’incontro con Amico, che viene raffigurato nella cista mentre Polluce lo lega a un albero aiutato dal fratello.

Castore sconfigge Amico nell’incontro di pugilato

I due Castori sono nudi, perché la nudità nell’arte classica è sempre eroica, simbolo delle virtù espresse nell’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo che viene indicato con i termini Kalòs kai agathòs, cioè bello e buono. Ad assistere alla scena alcuni personaggi, tra cui la dea Atena e una Vittoria alata che sta per incoronare il vincitore, e c’è pure un vecchio Sileno che sembra scimmiottare il combattimento. Lateralmente si vede la scena del rifornimento di acqua, perché i greci erano sbarcati lì per questo scopo.

Altro reperto notevole è il cosiddetto Aratore di Arezzo, un gruppo bronzeo di piccole dimensioni, rinvenuto nella città toscana nel XVII secolo nei pressi dello scomparso mulino delle Gagliarde.

Aratore di Arezzo

L’opera, raffigurante un uomo che guida due possenti buoi nell’atto di arare, è databile tra il 430 e il 400 a.C. Se da un lato rimanda alla tradizione agreste aretina, dall’altro fa pensare a qualcosa di rituale, perché l’abbigliamento dell’aratore non sembra quello di un contadino, bensì quello di un sacerdote. Potrebbe trattarsi del ricordo del rito di fondazione della città di Arezzo, che prevedeva, proprio come fece Romolo per Roma, un solco primigenio tracciato con l’aratro.

Spettava agli indovini etruschi chiamati Auguri il compito di fondare una città, e quindi inaugurarla, scegliendo il luogo sulla base dell’interpretazione del volo degli uccelli.

di Nica FIORI        Roma ottobre 2017

Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Piazzale di Villa Giulia 9 – Roma

Orario: 8.30-19.30 (la biglietteria chiude alle 18,45), chiuso il lunedì

Biglietto: intero 8€, ridotto 4€, gratis per gli aventi diritto. Abbonamento 15€ Apertura serale: 7,30-10,30 3€