“Quel che resta del sogno”. I 100 anni della nascita del Pci: un volume, una riflessione

di Carla GUIDI

Saggio storico, a cura di Agostino Bagnato, con una intervista inedita a Franco Ferrarotti – (Edizioni L’Albatros marzo 2021)

Per la filosofia della praxis, l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso. Antonio Gramsci Quaderni del carcere – Torino 1975, p. 122
1 – Copertina di Marco Varriale, “Il centenario 2021” (concept Agostino Bagnato)

Il racconto della storia politico/culturale del PCI (dalla sua nascita nel 1921 da una costola del Partito Socialista) rivive in questo libro attraverso le testimonianze e le analisi di militanti, dirigenti e studiosi di diversa estrazione politica e culturale. Vi si può pertanto approfondire quanto abbia rappresentato quel fondamentale punto di riferimento nella lotta per la democrazia e la libertà in un momento storico difficile per l’Italia, ma anche pieno di entusiastica ricerca di una nuova identità che comprendesse, allo stesso tempo, sviluppo economico e culturale, in una chiara affermazione dei diritti civili e della pace.

Fondamentale nel libro, la lettura interpretativa del pensiero di Antonio Gramsci mentre sono interessanti le valutazioni di ogni singolo autore sulle principali questioni riguardanti l’opposizione fondamentale tra la cultura dell’individualismo e quella del collettivismo che, in qualche modo, hanno caratterizzato le due superpotenze, tra le quali l’Italia si è dibattuta per trovare uno proprio spazio … Un’identità non immemore delle proprie origini ed ancorata al desiderio della composizione umanistica ed integralmente fruttuosa del proprio territorio (diviso storicamente e culturalmente tra Nord, Sud e la cosiddetta Terza Italia).

2 Ennio Calabria, Ritratto di Enrico Berlinguer, 1984 bozzetto per un manifesto, tecnica mista su carta cm 100×70
3 Salvatore Miglietta, Contadini e braccianti (Società in movimento), 2006, olio su tela, cm. 100×100

Non trascurabile inoltre il contributo che questo libro può fornire (come stimolo per approfondimenti ad uso delle giovani generazioni) alla conoscenza della storia italiana degli ultimi cento anni, rendendo anche omaggio a coloro che hanno sacrificato la vita per il riscatto e l’emancipazione della classe operaia, di tutti quei lavoratori che hanno contribuito alla Resistenza antifascista ed alla guerra di Liberazione, alla ricostruzione del Paese, all’affermazione dei valori di tolleranza e solidarietà, anche in nome dell’internazionalismo umanitario.

Fondamentale l’introduzione al libro di Agostino Bagnato, giornalista e direttore della rivista L’Albatros – www.lalbatros.it (e molto altro) dalla quale riportiamo:

Cento anni sono un battito d’ali nella storia di una nazione storicamente consolidata, ma sono un tempo lunghissimo per un paese come l’Italia, nato appena 160 anni fa dalle lotte risorgimentali, la cui unità culturale e spirituale non si può dire compiuta. Cosa hanno rappresentato i comunisti in questi cento anni, quale contributo hanno fornito allo sviluppo del Paese, come hanno partecipato all’evoluzione del costume, del modo di pensare e del sentire comune degli Italiani(?)… Il dibattito è stato ampio ed è ancora in corso, alimentato dalla ricorrenza attuale, dopo le infinite discussioni sulle responsabilità comuniste nella mancata evoluzione verso posizioni socialdemocratiche, a vantaggio dell’eurocomunismo dimostratosi illusorio, e poi dal privilegiato rapporto con il mondo cattolico nella creazione del blocco politico o di una coalizione denominati “Compromesso storico”. Si discuterà ancora a lungo su questi aspetti del dibattito sulle idee del XX secolo e sul giudizio da assegnare ai protagonisti. Ma non c’è dubbio che la lezione gramsciana per leggere la storia sia ancora oggi uno strumento essenziale per riuscire a compiere una sintesi. Perché il ruolo dei comunisti non è stato soltanto politico e socio-economico, ma ha prodotto conseguenze profonde sul modo di concepire la storia e l’agire dell’uomo che ne è alla base.
4- Ennio Calabria, Funerali di Togliatti, 1965, olio su tela, cm. 250×187

Segue l’intervista ad uno dei protagonisti fondamentali della vita socio/culturale del Paese, Franco Ferrarotti, sul quale ci sarebbe molto da dire. Ai nostri fini basti ricordare essere stato il fondatore, con Nicola Abbagnano nel 1951, della prima rivista di sociologia in Italia; la sua amicizia con Adriano Olivetti ed i suoi corsi di sociologia e servizio sociale, quando non ancora pienamente riconosciuti a livello accademico, ottenendo in seguito (nel 1961) la prima cattedra di sociologia messa a concorso presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

Dall’intervista di Agostino Bagnato a Franco Ferrarotti pagina 16/23:

Il PCI è stato fin dall’inizio della sua esistenza il difensore più coerente dei principi di libertà e di democrazia, nonostante le imposizioni di Mosca. Questa è la base della eccezionalità italiana nel movimento operaio e nel movimento comunista europeo, come ho sostenuto coerentemente da settanta anni. Bisogna tenere sempre presente il contesto. Palmiro Togliatti è stato soprattutto uno stratega nella lotta politica, ma mancava di adeguata strategia per il lungo periodo. Al contrario, un intellettuale antifascista come Franco Rodano, appartenente al Movimento del Cattolici Comunisti, da cui sarebbe nata la Sinistra Cristiana, unitamente ai suoi amici, aveva una visione molto ampia e di lungo respiro. Togliatti e Rodano, tuttavia, avevano compreso che per dare stabilità politica all’Italia era indispensabile l’incontro tra democristiani e comunisti, nel senso che la trasformazione del Paese sarebbe stata possibile dalla collaborazione tra queste due componenti fondamentali della storia italiana più recente.
5- Ernesto Treccani, I sette fratelli Cervi, litografia cm. 50×35

Il PCI e la cultura durante il fascismo –

(…) Giuseppe Bottai, ministro della cultura popolare, con la sua politica di apertura, aveva offerto un contenitore all’insofferenza giovanile. Ma molti hanno pagato con l’arresto e il confino questo fraintendimento. Basti citare i nomi di Carlo Levi e di Cesare Pavese, due tra le più alte espressioni della cultura italiana. In questo contesto, bisogna ricordare che sono stati i comunisti a portare la questione sociale al centro della democrazia intesa come sostanza e non soltanto come procedura. Il tema della giustizia sociale era al centro delle rivendicazioni di operai e contadini. Le riforme annunciate dal fascismo erano state in grande misura tradite e le condizioni di vita si aggravavano sempre di più. I comunisti, forti anche della rete clandestina di contatti con la realtà operaia e contadina, hanno fatto delle rivendicazioni economiche e sociali, la sostanza della loro politica, quel contenitore di concretezza di cui parlavo prima. Molti giovani hanno compreso questo messaggio e sono passati all’azione alla prima occasione, ovvero la lotta armata contro i nazisti e i fascisti. Sono stati i comunisti a portare la questione sociale al centro della democrazia intesa come sostanza, appunto. Questo ancoraggio alla realtà e alla sue stratificazioni è stata la distinzione dei comunisti italiani rispetto agli altri partiti europei. Non bisogna mai dimenticarlo!

Infine sull’eredità del PCI nell’Italia attuale –

Il PCI è stato un grande argine contro il disordine e l’individualismo esasperato, figli entrambi dell’egoismo. È stato un baluardo contro rigurgiti autoritari, ma sempre partendo dai contenuti sociali e non solo dai principi astratti che sono comunque sempre indispensabili. La combinazione di questi due fattori rappresenta la vera originalità del Partito Comunista Italiano nel panorama internazionale.
6 – Roberto Bagnato, Gramsci e Labriola, 2012, matita su carta
7 Volume di Vygotskij edito da l’Albatros

Il libro prosegue con l’articolo RICORDANDO GRAMSCI di Angiolo Marroni, un’accurata biografia che raccoglie il già noto attraverso prospettive che ne svelano punti nodali, ben oltre l’iconografia ufficiale del PCI che ha sempre voluto rappresentare “Gramsci-Togliatti-Berlinguer” come la successione di tre dirigenti accomunati da una visione unitaria della politica del Partito.

Nel suo articolo Educazione e cambiamento. Rivoluzione e Antropogenesi tra crescita e sviluppo maggiorante, Maria Serena Veggetti, pedagogista, Sapienza Università di Roma, realizza una puntuale analisi storica impossibile da riassumere, con preziose citazioni, tra le quali fondamentale quella allo psicologo bielorusso Lev Vygotskij (1986-1934) del quale L’Albatros edizioni ha rieditato il libro Teoria delle emozioni. A conclusione la professoressa invita esplicitamente al lavoro:

Sull’educazione si fa strada un solo raggio di luce … la prospettiva del domani, anche se si prefigura verosimilmente in salita, come d’altro canto si era prefigurato per Makarenko stesso e probabilmente per Vygotskij e per tutti gli psicopedagogisti storico culturali il percorso della nuova scienza che è appunto unitaria nella sua prospettiva, in quanto psicologia dell’educazione: ancora una volta non solo pedagogia e non solo educazione, ma … una ricerca dialetticoscientifica sulla loro interconnessione, in quanto fautrice della costruzione di una nuova coscienza sociale dell’educazione condivisa, atta a generare cambiamento anche nelle idee radicate nella mentalità.
8 Tina Modotti Foto

Segue l’articolo di Armida Corridori, saggista, docente di filosofia sulla La questione femminile nel Novecento. Il ruolo del Pci. Articolo lungo, complesso ed assai argomentato sui passaggi epocali con i nomi di tutte le protagoniste più note e coraggiose sul difficile discorso sui ruoli del maschile e del femminile. Una lunga preziosa storia della marcia delle donne, da sempre relegate alla funzione di tessuto connettivo della società ed al silenzio, salite in primo piano da Est ad Ovest, per attivare l’emancipazione e ricomporre la frattura socio/culturale tra i generi.

Riguardo ai fondamentali articoli I Sommersi e i dimenticati, di Francesco Santopolo, agronomo, ambientalista, studioso del Mezzogiorno e quello sulla La questione agraria nella nascita e nella politica del  Partito Comunista Italiano, di Agostino Bagnato, per motivi di spazio rimando alla lettura diretta, per occuparmi sempre a brevi linee, di due articoli legati in qualche modo agli interessi specifici di questo giornale.

9 Gino Covili, Discussione per la formazione della_cooperativa, 1975 tecnica mista su tela 170-250 cm
10 Francesco Narduzzi, La terra respira, 1994, acrilico su tela, cm. 100×70

 

Mi riferisco anzitutto all’articolo di Claudio Crescentini, storico dell’arte, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali – Dall’Urss a Roma. Considerazioni e note a margine nel dibattito sulla “cultura dell’abitare” del Partito Comunista Italiano, che entra subito nel pieno delle contraddizioni di un periodo storico, tradotto in quella che si può definire concretezza architettonica (pag 59)

 

L’architettura internazionalista sovietica o per meglio dire, l’architettura moderna socialista, con presenze ancora vive in molte città russe contemporanee, nel bene e nel male, ha contaminato il lavoro ed il pensiero progettuale di molti architetti nel mondo, Italia inclusa. Con particolare riferimento a quell’architettura popolare nazionale degli anni Sessanta-Settanta, dove in primo piano, a volte anche a scapito di estetica e ambiente, s’iniziò a (ri)progettare parti di città pensando prima di tutto alla riduzione degli spazi di vita interni per costruire aree di socializzazione esterne. Cortili, giardini, terrazzate, cavee, piazzali interni ai comprensori, ecc. Se la società americana si basava e si basa ancora sulla valorizzazione dell’individuo, con tutti i pro e i contro del caso, e la villetta unifamiliare made in USA anni Cinquanta, comprensiva di steccato, garage e giardino retrostante, ne é diventata uno dei modelli abitativi e dei simboli nel mondo, la progettazione delle nuove abitazioni statali nella coeva Russia sovietica invece si andava sempre più concentrando sul concetto e sugli spazi della collettività. –
11 Le Vele di Scampia

La questione rimanda all’edilizia standardizzata del 1925 dell’architetto francese Le Corbusier, con il suo nuovo concetto di funzionalità e la sua teorizzazione dell’unità abitativa unica, ma anche agli urbanisti sovietici che negli anni ’50, costruiscono le krushovki, ovvero case popolari con bagni e cucine privati, a differenza delle precedenti kommunalki, entrambe quindi ben lontane dalle villette a schiera americane, procedendo poi alle migliorie delle brezhnevki, ma più alte, dai nove ai diciassette piani.

Però nell’articolo si esaminano soprattutto le problematiche che hanno portato ai fenomeni italiani come le cosiddette Vele di Scampia a Napoli (1962-75) ed il Serpentone di Corviale in Roma, iniziato nel 1972 e terminato nel 1984. Modelli di edilizia intensiva nelle quali vengono ancora negate l’estetica, la tutela ambientale e dove la socialità si traduce di fatto in degrado, desolazione, emarginazione di anziani e soggetti deboli, con aggregazioni notturne nella movida, non certo salutari. Per concludere viene fornito un esame dettagliato della situazione italiana in quattro punti schematici; fondamentali per una sostanziale rigenerazione urbana con nuovi criteri di integrazione tra pubblico e privato, auspicando una strategia ed un progetto in tal senso di un’intera Nazione che nel complesso rimane per ora ferma e sfiduciata.

12 – Roma, il Serpentone di Corviale

Per concludere un breve cenno all’interessante articolo – Il PCI e gli artisti. Dal dopoguerra agli anni sessanta, di Ida Mitrano, Storica dell’arte, Polo museale Sapienza Università di Roma.

Si riapre qui un discorso non facile e forse dimenticato, sull’avventura del linguaggio dell’arte, divenuto in quegli anni un sistema non più scindibile dalla politica culturale del PCI, quanto e come legata anche a quella sovietica, nell’economia degli equilibri internazionali … in anni quelli, dal dopoguerra agli anni sessanta, nei quali l’esperienza estetica non poteva non essere “memoria storica” all’interno di una presupposta rinascita etica e socioculturale italiana. L’autrice affronta infatti, da varie angolature, citando le note querelle ma anche le aspre strettoie ideologiche ed i pregiudizi che hanno creato ambiguità e confusione. In alcuni casi hanno prodotto etichette quali quelle di “artisti di partito”, prescindendo non solo dall’impegno di ricerca ma anche e soprattutto dallo stile espressivo. Riconoscersi nell’ideologia del PCI in quegli anni significava soprattutto dare un ruolo sociale all’arte ed a questo processo di ricostruzione di una società nuova e democratica nell’Italia postbellica, certamente volevano partecipare anche gli Astrattisti. (pag 107)

Per queste ragioni, “l’arte d’impegno” non può essere risolta come espressione tout court dell’ideologia comunista. Il realismo sociale verso cui punta la politica culturale del PCI presenta infatti molte sfaccettature che sono il segno delle discrepanze tra ideologia e arte, tra direttive politiche e urgenza interiore dell’artista, tra strumentalizzazione e volontà testimoniale. È una realtà artistica che va riconsiderata in termini di “esperienza” al di là di tanta retorica, più nelle sue trasversalità che nelle contrapposizioni e chiusure che l’hanno caratterizzata, ponendo l’accento sulle problematiche e sulle speranze dell’epoca, evidenziando la complessità di una figurazione tesa a rifondare volta per volta il rapporto con la storia.
13- Giulio Turcato, Comizio, olio su tela, 1949 cm. 60×180

Vitalità e molteplicità di tendenze, di gruppi e schieramenti ma soprattutto un ambiente culturale che ha dato luogo a questioni sul ruolo dell’artista, con l’esigenza non secondaria di un aggiornamento dei linguaggi e di confronti con l’arte internazionale, mentre riaprivano le attività espositive pubbliche e private ed i grandi Musei, fin dal dicembre 1944. (pag 109)

Nel processo di rinascita del Paese, sin dall’inizio il PCI vede gli artisti come degli “alleati”, il cui contributo è fondamentale nel rapporto con le classi subalterne. All’intellettuale che ha vissuto in prima persona la Resistenza, chiede di riconoscersi nel suo sistema ideologico e organizzativo secondo l’idea gramsciana dell’«intellettuale organico». Si ricorre al concetto di cultura nazional-popolare per sostenere che il rinnovamento culturale deve avvenire attraverso contenuti e forme espressive che siano comprensibili alle masse per prepararle ad assumere il ruolo egemonico che spetta loro secondo il marxismo. L’intellettuale deve farsi perciò portavoce dei valori delle classi popolari e assumersi il compito politico di educarle e formarle.
14 Tino Vaglieri, Morte del minatore, olio su tela, 1956

Il percorso affrontato da Ida Mitrano è puntuale, con un’ampia biografia ed elenchi dettagliati di nomi e schieramenti, fino ad arrivare alla chiara rivendicazione da parte degli artisti di un’assoluta libertà di linguaggio e di ricerca, pressappoco all’epoca del successo della Pop art americana, decretato dalla XXXII Biennale di Venezia del 1964, quando fu assegnato il Leone d’oro a Rauschenberg.

Carla GUIDI Roma 16 maggio 2021

*Le immagini sono tratte dal libro e dalla rivista L’Albatros n.2 (aprile –giugno 2021)