PRIMO MAGGIO. Uomini, lotte e ricordi nell’arte del realismo sociale. La nota di Sergio Rossi

di Sergio ROSSI

Dopo il 25 aprile intendo rendere omaggio ad un’altra festività che purtroppo negli anni sta andando a perdere il suo profondo significato che invece va salvaguardato, quella del 1° maggio e lo farò rendendo il merito ad una pubblicazione su cui ho formato da adolescente la mia coscienza estetica e politica: la splendida collana Il disegno popolare uscita per i tipi delle Edizioni di cultura sociale tra il 1951 ed il 1953. Ogni volumetto comprendeva dieci disegni ed un breve testo introduttivo di alcuni dei principali pittori e scultori italiani di quegli anni, tutti antifascisti della prima ora e combattenti per un’Italia più giusta, di cui darò qui conto nell’ordine di uscita dei fascicoli.

Inizierò da Giuseppe Mazzullo (Graniti, Messina, 1913-Taormina 1988) e dal suo Braccianti di Romagna. Scultore raffinato, disegnatore potente, intellettuale impegnato, egli traccia qui i suoi braccianti con un tratto a carboncino netto e vigoroso che esaspera i contrasti dei bianchi e dei neri e trasferisce sul foglio le qualità umane e la dolente ma indomita forza d’animo di questi lavoratori:

«Quando, circa vent’anni fa, nel mio paese di Graniti tracciavo le prime figure di contadini e di braccianti, lo facevo, credo, per naturale predilezione di un mondo che sentivo vicino e che riconoscevo genuino … e che ritrovai quando le cooperative agricole romagnole invitarono di recente un folto numero di artisti. Il gruppo di cui io facevo parte ebbe la ventura di visitare la cooperativa agricola di Mezzano in provincia di Ravenna. Vivemmo per alcuni giorni in piena comunità e fraternità con i lavoratori, seguendoli nel loro lavoro, nelle loro lotte … la sarchiatura delle barbabietole, lavoro duro, massacrante, che obbliga il corpo a posizioni impensate … Ammirammo la loro tenacia, i loro corpi solidi piantati come querce, lo sguardo fermo. Questa gente è superstite di una lunga selezione operata dalla natura in quelle zone insalubri, molti sono “scarriolanti” sopravvissuti all’estenuante lavoro della bonifica. Oggi sono piantati là, uomini donne bambini, in una terra domata e feconda».

Gabriele Mucchi (Torino 1899-Milano2002) ha scelto invece Le mondine di Sannazzaro. Pittore, illustratore, architetto, antifascista e partigiano della Val d’Ossola, amico e collaboratore tra gli altri di Corrado Alvaro, Sibilla Aleramo, Achille Campanile, Cesare Zavattini, Mucchi è stato un intellettuale a tutto tondo ed un protagonista della scena artistica italiana del secondo dopoguerra. In questi disegni trasferisce il segno nervoso e graffiante delle sue migliori prove pittoriche, ricostruendo con pochi tratti un mondo contadino femminile pieno di sofferenza ma anche di nobiltà:

«Verso le nove e mezzo giunsi in risaia … qui ho conosciuto la fatica della mondina, piegata in due per ore e ore, senza potersi non dico riposare, ma nemmeno appoggiare un momento in qualche punto a qualche cosa, ore e ore nel fango bruciate dal sole e dal suo riverbero nell’acqua, morse dalle zanzare e da certi vermi bruni, lunghi e grossi … Qui ho conosciuto l’assillo dell’«agrario», come lo chiamano loro con facile estensione, mentre si tratta in genere di un fittavolo, qualche volta umano, molto spesso duro di cuore, gretto, che tutto il giorno le sorveglia stando nell’acqua egli stesso, perché nemmeno un minuto di lavoro vada perso … Qui ho conosciuto Rosetta Franchi, la mondina poetessa, una donnetta di Sannazzaro che ha fatto studiare i suoi figli ed ha composto le più belle canzoni che tutta la risaia canta “Con le gambe affondate nel fango/e le mani gonfiate dall’acqua/sono stanca mi par di morire/non ho tregua né notte né dì».

Corrado Cagli (Ancona 1910-Roma 1976) si è occupato de La rotta del Po. Protagonista assoluto e poliedrico dell’arte europea del ‘900, Cagli è stato pittore, incisore, decoratore, scenografo e costumista, muralista dalla tecnica raffinata e fin dai suoi esordi particolarmente interessato alla tematiche del lavoro. Costretto ad emigrare nel 1938 in seguito alle leggi razziali, nel 1943 si traferisce in Gran Bretagna e partecipa alle campagne di Francia ed allo sbarco in Normandia al seguito degli alleati. E’ in questo periodo che realizza il celebre ciclo di disegni dedicato al campo di concentramento di Buchenwald, alla cui liberazione aveva preso parte da combattente. In questo quaderno sulla rotta del Po Cagli traccia una fitta trama di segni che magicamente si ricompongono sui fogli, ricostruendo in chiaro ed in scuro, con occhio lucido ma insieme partecipe, quei tragici eventi:

«Mi è stato necessario disegnare la rotta del Po perché per un pittore disegnare è capire e per me necessario capire le cause e le conseguenze di quella tragedia. Non sono stato spinto a raccontare quel che in un diluvio parziale accade agli animali e alla terra da quel sentimento di pietà che ugualmente ha investito i responsabili come gli irresponsabili, né può avermi spinto di fronte a così grande sciagura nessuna speranza accademica di pervenire per tali argomenti al bel disegno. Mi sono trovato costretto dalla mia coscienza a disegnare i vari aspetti del disastro perché disegnare vuol dire appunto capire e giudicare … Divulgare e analizzare oggi le cause di una tale catastrofe non è compito del pittore e il linguaggio del pittore è per sua natura diverso da quello letterario, ma è certo dovere del pittore giudicare il suo tempo e denunziare la immediata similitudine tra gli orrori della guerra e gli orrori del malgoverno».

Renzo Vespignani (Roma1924-1001) ha dedicato i suoi appunti agli Operai romani. Antifascista, pittore, disegnatore, incisore, scenografo, tra i più significativi del secondo Novecento italiano, Vespignani è rimasto sempre fedele ad una figurazione comunque riletta attraverso una sua personalissima rivisitazione del realismo magico e dell’art déco. Questi disegni appartengono al suo periodo più strettamente legato al neorealismo e riescono a conferire un alone poetico e melanconico anche agli squallidi squarci della periferia romana, ed a questo proposito posso citare un piccolo ricordo personale. Ho abitato a lungo vicino ad una piazza da cui si scorgeva in lontananza il gazometro, ma quella sorta di relitto industriale l’ho sempre visto filtrato attraverso il disegno di Vespignani, quasi come un moderno Colosseo dei poveri:

«Disegnavo, seduto in terra, il quartiere alto sui prati, una muraglia fitta di finestre. I bambini si fermavano a guardare. Dicevano “ora disegna la mia casa”, “disegna anche me, disegna anche me”. Si fermavano anche gli operai…loro uscivano dalle fabbriche con le biciclette in mano, le giacche buttate sulle spalle, a gruppi serrati. Guardavo i muratori sui ponti, bianchi di calce, i manovali che battevano le rotaie della ferrovia, le donne e i bambini che prendevano il sole nei poveri prati, lungo il viadotto…Qualcosa ogni giorno si chiarisce, assume un significato inatteso. Disegnare e dipingere significa soprattutto comprendere. E bisogna comprendere non solo i profili, le linee, i colori, ma il ‘senso’ vero degli uomini e del loro paesaggio, al di fuori di ogni schema formale, di ogni retorica prospettiva».

Giovanni Omiccioli (Roma 1901-1975) ha scelto I tagliaboschi della Sila. Artista anch’egli politicamente impegnato, è stato un protagonista tra i più significativi della “Scuola Romana” ed ha saputo mantenere negli anni una visione sintetica, immediata, ‘popolare’, della realtà, molto apprezzata dal pubblico anche se a volte fraintesa da una critica intellettualisticamente saccente; perché dove si vedeva solo minimalismo in realtà vi era una pietas umana che ritroviamo in questi poetici volti dei boscaioli silani ‘fotografati’ col tratto sapiente di un grande disegnatore:

«Questa gente del bosco, questi tagliaboschi nodosi come radici, navigatori solitari in un mare di foreste verdi e fresche, spuntavano da una valle azzurra, presto, prima del sole, saltando da una roccia all’altra come caprioli, con le scarpe infilate in cima a un bastone usato dal tempo che regge uno straccio con il pane dentro. Si fermavano senza diffidenze, immobili come tronchi di legno e senza bugie negli occhi aspettavano che li ‘fotografassi’…Disegnandoli ho così cercato di scoprire i loro sentimenti, il significato del loro sguardo preciso, affettuoso e aspro insieme; quanti grammi di gioia e quanti chili di rinunce avevano dentro di loro… Giovanni Palamara, vecchio pescatore di ricci di mare a Scilla, mi disse che gli “avevo dipinta la coscienza”. Con i tagliaboschi silani ho tentato di fare la stessa cosa; disegnare insieme alla loro coscienza il risentimento per tanti soprusi, la certezza, che era nel loro sguardo, di una vita più giusta».

Chiuderò con Ernesto Treccani (Milano 1920-2009) e la sua gente di Melissa, nel crotonese. Figlio del senatore Giovanni Treccani, fondatore della omonima Enciclopedia, Ernesto ha iniziato giovanissimo il suo impegno antifascista culminato nella partecipazione alla lotta partigiana. Protagonista assoluto della vita artistica, politica ed intellettuale non solo italiana, Treccani ha fatto confluire la sua visione poetica in opere rese con segno graffiante e rutilante cromatismo che traducono nel migliore dei modi questo suo assunto: “soltanto chi ha il cuore aperto alle sofferenze del mondo può esprimere la bellezza”. Ed è sicuramente con ‘cuore aperto’ e grafia netta e senza incertezze che egli ha reso questa Gente di Melissa:

«Era la fine dell’autunno 1949 quando mi recai per la prima volta in Calabria, nel Crotonese, a Melissa. Non fu un incontro casuale: le fucilate assassine sul feudo Fragalà avevano sollevato un’ondata di sdegno in ogni cuore onesto, in ogni mente libera. La lotta per la terra di quei braccianti, di quei contadini poverissimi, era un elemento fondamentale del movimento di rinascita del nostro paese dopo la guerra … Da quel 1949 ho vissuto abbastanza con la gente di Melissa, perché giorno per giorno, mese per mese, anno per anno mi siano cresciute dentro le prime immagini: esse hanno preso forma di volti assorti, dall’impianto largo, di una forza contenuta, di una grande dolcezza. In un primo momento erano le tragiche condizioni di vita e di lavoro che io vedevo soprattutto riflesse in quelle fisionomie … Nelle cose più recenti altri sentimenti si sono aggiunti a quella commozione, e ne è testimonianza il segno più fermo e più puro degli ultimissimi lavori, documentati in questo volumetto».
Renato Guttuso
Renato Guttuso

Ho saltato solo il fascicolo di Renato Guttuso, di cui mi sono occupato nel precedente numero di About Art, perché i suoi dieci disegni, di cui mostriamo due splendidi esempi, hanno costituito da un lato la base e dall’altro la prosecuzione di tutta la sua produzione pittorica dedicata alla Sicilia.

Saro Mirabella

Insieme a Mazzullo, Omiccioli e Mirabella egli ha dato vita in questi stessi anni alla cosiddetta “Scuola pittorica di Scilla” con memorabili opere dedicate ai pescatori calabresi, mentre lo stesso Mirabella ha lavorato a Mezzano con Mazzullo ed ha ritratto le mondine a Suzzara, vincendo in premio un quintale di grano, segno di un sodalizio artistico e umano che è stato uno dei motivi della splendida fioritura artistica dell’immediato dopoguerra, che si è riverberata anche nel cinema di quegli anni.

Infatti, per quel che riguarda le mondine, come non pensare immediatamente a quel capolavoro che è Riso amaro, di Giuseppe De Sanctis con una statuaria Silvana Mangano, proprio del 1951. Mentre per gli operai di Vespignani il confronto immediato è con Ladri di biciclette di Vittorio De sica, di tre anni precedente, per arrivare poi alla visione delle periferie romane insieme tragica e poetica dei film di Pasolini.

Placido Scandurra, Mio Padre, 1969, cm 102 x 79

La Sicilia di Guttuso e Mirabella è invece evocata a perfezione da Francesco Rosi in Salvatore Giuliano del 1962 e da Elio Petri in A ciascuno il suo del ’67. E per la Calabria di Treccani e Omiccioli il paragone più calzante, oltre che con il primo Gianni Amelio è con il recente e bellissimo Aspromonte. La terra degli ultimi, dove spicca un’eccezionale Valeria Bruni Tedeschi.

Queste note, comunque, voglio chiuderle con un omaggio al mio amico Placido Scandurra ed al suo giovanile Ritratto del padre, appena tornato dalla fatica dei campi, dove le sue origini contadine sono mostrate con orgoglio e affettuosa parteciapazione.

Sergio ROSSI  Roma 1° maggio 2021