P d L
Dopo due anni di intenso lavoro ma anche di polemiche, il Direttore di Brera tratteggia un bilancio e indica prospettive ad About Art
–Direttore, sono passati due anni dal suo insediamento; più soddisfazioni o più problemi qui a Brera per lei?
R: Il mio approccio con le cose consiste nell’avere una visione strategica, nel sistemarla e nello svilupparla e lo stesso è stato in questi due anni di gestione. Ho sempre avuto come punto di riferimento la necessità di ampliare e sviluppare il rapporto con il pubblico e la sfida vera è stata ed è di far vivere la qualità, l’esperienza e le caratteristiche del museo tra la gente. Di solito si tende a confondere una bella collezione con un bel museo, cioè si crede che grandi opere di per sé sottintendano una altrettanto grande istituzione museale ma purtroppo non è così. A mio parere non tutti i musei in Italia sono adeguati ai capolavori che contengono e dunque la sfida che abbiamo di fronte è precisamente questa, far si che i musei offrano quello che ci si aspetta in termini di qualità, accoglienza, competenze, proprio come accade quando ci rechiamo al Metropolitan o al Rijksmuseum tanto per dire: penso che il pubblico italiano abbia tutto il diritto di rivendicarlo dai suoi musei.
–Ma in questi due anni lei è riuscito a venire incontro a queste aspettative? Ci sono ancora ritardi, e di che tipo?
R: Noi effettivamente abbiamo rispettato il calendario che avevamo stilato al momento dell’insediamento: tralasciando i contenuti, abbiamo riallestito 24 su 38 delle sale espositive, creato un sito web considerato fra i migliori, realizzato didascalie e programmi per bambini, messo a disposizione un nuovo shop. Solo per parlare di come siamo intervenuti posso dire che abbiamo certamente rispettato il calendario, anche se ci sono ancora ritardi nell’acquisizione del Palazzo Citterio che però sembra che si stiano per risolvere. Anche nel settore pubblico quando si possono mettere a frutto le competenze che esistono e non sono affatto modeste si può arrivare a risultati di grande prestigio, all’altezza dei grandi musei cui accennavo: i problemi evidentemente esistono ma sono di natura strutturale .
–Per esempio?
R: Per esempio gli intralci burocratici che richiamano la questione dell’autonomia gestionale che in sostanza è molto scarsa.
–E’ una limitazione che effettivamente ci hanno fatto presente tutti i direttori che abbiamo intervistato e che di fatto sembra di grosso intralcio al vostro lavoro.
R: E’ così. Il compito di un direttore di museo dovrebbe essere quello di sviluppare ed ampliare tutte le potenzialità della struttura di sua competenza potendo contare su tutte le risorse a sua disposizione, quelle economiche e quelle umane. Oggi però non accade perché abbiamo un’autonomia molto modesta che non ci consente la piena gestione delle risorse umane: è come se guidassimo una Ferrari con un braccio legato.
–Però è notizia recente che i vincitori del maxi concorso che ha immesso nei ruoli quasi mille partecipanti stiano prendendo possesso delle loro funzioni; questo non la rassicura ? anche qui a Brera potrà averne un qualche sollievo, o no?
R: Per adesso non ancora. Però mi lasci dire che per me questi maxi concorsi a livello nazionale hanno poco senso; credo che le situazioni, le realtà e le difficoltà delle varie strutture hanno origini differenti e quindi occorrerebbe una impostazione diversa delle tornate concorsuali, non generale, ma in relazione alle effettive esigenze locali. Le faccio un esempio metaforico: se si facesse un grande concorso mettiamo per mille musicisti e venisse vinto tra gli altri da uno specialista di banjo o di tiorba – tanto per dire – come potrei pensare di impiegarli magari alla Scala quando ad esempio si rappresenta Mozart, o Puccini? Una istituzione musicale dovrebbe avere a disposizione quello che effettivamente le serve, e lo stesso dicasi per una istituzione museale. Insomma i concorsi sono benvenuti ma debbono servire per coprire le tessere mancanti di una determinata pianta organica; non abbiamo bisogno di funzionari di area A ma di personale qualificato in grado di coprire i vuoti in organico e i concorsi nazionali non servono sempre a questo scopo.
–In una conferenza stampa a Roma qualche tempo fa avevamo posto la questione della mancanza di autonomia gestionale al ministro Franceschini che ci rispose rifacendosi al modello francese.
R: Ma anche lì, in Francia, le cose non vanno affatto bene, questo modello francese non è affatto funzionale tanto è vero che anche loro si lamentano degli stessi limiti all’autonomia; molto diverso è il sistema in vigore nei paesi anglosassoni, ad esempio, dove la scelta e la gestione del personale è in mano alle singole istituzioni che scelgono le persone secondo le singole competenze, a livello nominale, verificandole una per una, e dove i musei sono veramente autonomi. Questo in effetti è un vero limite per il nostro lavoro; è come se la Riforma si fosse fermata a metà strada, come un ponte che attraversa solo la metà del fiume, ed ora bisogna decidere se si va avanti col ponte e si supera il fiume, oppure si torna indietro. Personalmente sono convinto che prima o poi finiremo con l’attraversare il fiume; del resto le riforme perfette non esistono ed anche nel nostro caso, dopo due anni di esperienza si sa dove e come si deve intervenire. Voglio però insistere sul tema delle competenze, perché sono certo che è possibile scoprirle e valorizzarle e così creare una vera squadra; tutti debbono avere uguali opportunità e un direttore deve saper valutare, come una specie di giardiniere che ha di fronte piante che deve far crescere ma che sono diverse e che quindi deve saper trattare una per una.
–Mi sta dicendo che intende proseguire il suo impegno qui a Milano anche dopo la scadenza del suo mandato?
R: Veramente nessuno me lo ha chiesto, per quanto mi riguarda ora penso a proseguire al meglio il mio lavoro per tutto il tempo previsto dal contratto.
–Glielo chiedo perché come avrà saputo il suo collega Eike Schmidt che dirige gli Uffizi rinuncerà al suo incarico agli Uffizi per approdare al Kunsthistorisches di Vienna.
R: Ognuno si comporta come meglio crede; per quel che mi riguarda direi che per ora il mio scopo è chiaro ed è portare a compimento le promesse fatte.
–Eppure le devo far notare che poche settimane fa il ministro Franceschini ha presentato alla stampa una serie di dati tutti estremamente positivi per il settore dei beni culturali ed anche per i musei, dove crescono visitatori e incassi. Viene da credere che la Riforma almeno sotto questi aspetti abbia colpito nel segno.
R: Ma io non giudico male la Riforma che effettivamente – parlo per Brera – ci ha messo nelle condizioni di operare in modo tale da mettere in piedi un’esperienza davvero significativa che ci porta risultati importanti; però starei attento quando si parla di statistiche perché non di rado consentono di dire qualsiasi cosa. Il problema è che prendere dati in assoluto non aiuta affatto a capire dove e perché e cosa cambiare, come e dove intervenire per migliorare; io credo che dobbiamo giudicare dall’esperienza, dalle cose che vediamo quotidianamente, e quindi: quanti visitatori tornano a Brera? Qual è il loro livello di soddisfazione? Quali problemi sottolineano? Cosa pensano del museo dopo la visita? Cosa raccontano a casa agli amici ? Queste sono le cose che vanno misurate.
–E lei lo sta facendo?
R: Esattamente: abbiamo cominciato a monitorare gli accessi e il grado di soddisfazione delle famiglie e i giovani e ci siamo organizzati di conseguenza. Io come altri Direttori, abbiamo preso dalla Riforma quello che ci veniva concesso per portare avanti i nostri progetti e, se vogliamo parlare di statistiche, le mie mi dicono che le aperture del giovedì hanno portato un numero molto elevato di giovani a Brera per la prima volta. E’ vero che non tutti i musei hanno le stesse esigenze e le stesse caratteristiche e ognuno credo che abbia il suo modo di valutare le proprie necessità, per cui Brera non è uguale agli Uffizi e così via, e quello che può andare bene da noi potrebbe non esserlo in altri siti; ecco perché occorre che una vera autonomia ci consenta di rispettare le nostre diversità, solo così potremo giudicare le riforme perfino a prescindere dai ricavi o dal numero dei visitatori. La forza di un museo sta soprattutto per come si presenta al cittadino, per esempio nell’illuminazione dei quadri, nella riconoscibilità delle opere, nelle spiegazioni didattiche, nel poter portare le famiglie creando un ambiente aperto e accogliente. Dobbiamo entrare nel cuore delle persone, conquistarle una ad una e non in quanto massa, come pure avviene spesso anche in questi giorni. Se riempiamo i musei ma non diamo al visitatore la possibilità di apprezzarli davvero non credo che abbiamo fatto bene il nostro lavoro.
-Eppure anche lei è un po’ responsabile di eventi-massa, se li possiamo chiamare così; mi riferisco all’esposizione a Brera del discusso dipinto raffigurante Giuditta ed Oloferne rinvenuto a Tolosa e attribuito a Caravaggio, che lei volle fortemente e che fece molto discutere. Lo rifarebbe?
R: Ma certo. In quel caso la questione era assai diversa, non era progettato a scopo di marketing, ma si trattava di dare la possibilità agli studiosi che conoscevano il dipinto solo attraverso le pagine dei giornali di vederlo dal vero, di farsi un’idea precisa e poi di discuterne. Abbiamo concepito quell’ intervento – il nostro terzo ‘dialogo’ che avevamo chiamato esplicitamente ‘Una questione di attribuzione’ – per valorizzare al meglio anche uno di nostri capolavori, La cena in Emmaus di Caravaggio. E proprio sul tema dell’attribuzione è stata realizzata in quel contesto una giornata di studi con esperti autorevoli di tutto il mondo con un dibattito molto interessante che è stato riportato in una relazione finale redatta da Keith Christiansen, uno dei più grandi studiosi di Caravaggio. La realtà è stata che ci siamo rifiutati di fare mostre in questi due anni preferendo il confronto dei nostri quadri con opere ospiti riallestendo allo stesso tempo la collezione permanente. Quello che mi interessa è muovermi sempre nella logica del servizio pubblico, della tutela così come la valorizzazione; abbiamo restaurato numerose opere, abbiamo investito nella valorizzazione in continuazione, abbiamo speso per la biblioteca e la mediateca: questa è l’operazione che ci interessa e credo che Brera non debba uscire da questo percorso.
–Ma nel caso della Giuditta venne criticata non tanto l’operazione in sé quanto piuttosto il fatto che in un museo pubblico italiano venisse ospitata in pompa magna un’opera, per quanto interessante, però di proprietà di un cittadino privato francese.
R: Ma si trattava di un dipinto vincolato, vincolato dallo stato francese perché voleva comprarlo il Louvre. Che dovevo fare? Aspettare che venisse acquistato da un altro museo prima di metterlo a disposizione degli studiosi?
–Ci dica a questo punto se ha in progetto qualche altra sorpresa da presentare in forma di ‘dialogo’?.
R: Presenteremo un sesto dialogo – che affiancheremo come sempre a un riallestimento della collezione permanente – su un’importante opera di Boccaccino e ne stiamo progettando un settimo di cui però non posso ancora svelare il contenuto perché siamo ancora in fase di verifica. Alla presentazione dell’opera del Boccaccino saranno presenti Francesco Frangi, Giovanni Agosti, Marco Tanzi…
–Giovanni Agosti? Ma non si era dimesso per protesta proprio in polemica con l’evento della Giuditta francese?
R: Si tratta di un grande studioso che fa ancora parte del nostro comitato scientifico e su cui io conto molto qui a Brera; del resto come ho detto io lavoro esclusivamente nell’interesse del pubblico e le polemiche non mi interessano; si tratta di avere la partecipazione dei grandi storici dell’arte, questo mi interessa.
–Uno di momenti più brutti per lei, suppongo sia stato quando si è verificata una pericolosa infiltrazione di umidità che ha messo davvero a repentaglio lo stato di salute di alcune opere. Ci può dire a distanza di tempo cosa accadde davvero? Cosa non funzionò e per responsabilità di chi?
R: Non si tratta di trovare un colpevole, in casi del genere non c’è mai un’unica responsabilità o un’unica ragione da individuare ma si è davanti al convergere di tante concause per cui per quello che accade non è che il precipitato di una serie di eventi.
–D’accordo, ma qual è stato l’anello che si è inceppato mettendo a repentaglio non pochi lavori presenti nella pinacoteca?
R: Il problema in realtà ha riguardato la struttura architettonica dell’ impianto nel suo complesso; quando venne messa a posto oltre dieci anni aveva fa già dentro potenziali debolezze; il sistema di protezione funzionava ma internamente vi erano delle potenziali anomalie che però sarebbero potute apparire solo nel caso eccezionale in cui questi fattori diciamo così anomali si fossero presentati tutti assieme, concentrandosi tutti in una volta sola, ed è proprio quello che è accaduto, esattamente questo; una congerie di criticità che si sono presentate tutte in una volta – la cosiddetta ‘tempesta perfetta’.
–Ma lei ora è in grado di garantire che questo non accadrà più?
R: Si, abbiamo risistemato il sistema di allarme, ripristinato tutte le procedure e stiamo facendo delle gare per potenziare l’impianto sia dentro Brera che nella Biblioteca Braidense. Inoltre, grazie all’immediatezza dell’intervento dei nostri restauratori – Brera ha uno straordinario laboratorio interno che ci permette di agire tempestivamente e di tutelare e monitorare in tempo reale le opere – i quadri sono “guariti” molto presto e adesso tutto è tornato normale.
–Un’ultima domanda riguarda i rapporti con le istituzioni locali e gliela faccio perché mi ha colpito, un paio di settimane fa, constatare che durante una preview di una importante iniziativa varata a Capodimonte non ci fosse neppure un rappresentante dell’amministrazione comunale.
R: Per quanto ci riguarda i rapporti sono molto stretti e di efficace collaborazione sia con i vari direttori che con l’assessore alla cultura del Comune di Milano e con il sindaco Sala; certamente la Riforma ci ha dato l’opportunità di ricollegare Brera con la città e di fornire nuove risorse dal punto di vista culturale. Quanto al resto, la verità è che siamo venti direttori in venti città diverse, ognuno alle prese con realtà differenti che presentano caratteristiche peculiari, senza contare che possono entrare in gioco anche le diverse personalità, il modo di rapportarsi, ecc., senza considerare che in Italia troppo spesso la politica invade forse eccessivamente campi come questo che non sarebbero di sua competenza.
P d L Milano Gennaio 2018