Parla Franco Purini: “L’Architettura oggi è afflitta da ‘neoeclettismo globale’. La Biennale di Venezia? Deve tornare ad essere luogo di sperimentazione”

P d L

Franco Purini è uno dei più noti architetti italiani. E’ stato Professore Ordinario al Politecnico di Milano e nelle Università di varie città italiane, tra cui Firenze, Venezia e Roma; è accademico di San Luca; è famoso, oltre che per i numerosi interventi di edilizia architettonica, per i suoi studi ed approfondimenti di carattere progettuale (ultimo contributo è stata la Conferenza intitolata Il Disegno. Lingua nativa dll’Architettura) ; è conosciuto a livello internazionale per gli interventi relativi al rapporto tra architettura e paesaggio. Ha avuto numerosi premi e riconoscimenti, da ultimo quello della Triennale di Milano (dicembre 2015). In occasione della indagine che About Art sta conducendo sul futuro dll’architttura contemporanea con l’apertura della Biennale di Venezia ha risposto alle nostre domande con la usuale disponibilità e competenza.

 

1-Alla vigilia della Biennale di Venezia, apertasi il 26 maggio scorso, in un inserto domenicale de “la Repubblica” risuonava polemicamente il noto epiteto di Tom Wolfe “Architetti maledetti!”, come una sorta di epigrafe con cui alcuni addetti ai lavori –architetti contemporanei e studiosi di architettura- riassumevano –cito- “la crisi profonda che si annida sotto il luccichio appannato delle archistar”. Siamo davvero in una situazione simile prof. Purini? Ed è corretto affermare che sia in essere il tramonto delle ‘archistar’? 

Non credo che oggi si viva un momento di declino della mitologia mediatica riguardante gli avatar dell’architettura spettacolarizzata. Anzi, si può constatare ogni giorno che la diffusione virale di opere sempre più autoreferenziali, indifferenti al contesto, intrinsecamente celebrative del consumismo globale sia sempre più ampia. Pressoché in tutta l’architettura contemporanea, e in ogni paese del mondo, è attiva una vistosa contraddizione tra un neofunzionalismo espresso ad esempio dalla ambigua problematica della sostenibilità e degli eccessi high tech e l’opposta tendenza a una artisticizzazione totale del linguaggio del costruire. Basta pensare al fenomeno dell’archiscultura, come la chiama Germano Celant, per comprendere come l’architettura cerchi di imitare l’arte figurativa e dimenticando che essa stessa è un’arte, geneticamente diversa da quella della pittura e della scultura.

2-Il movimento ‘decostruttivista’ segna un momento importante della storia dell’architettura contemporanea. Le chiedo però come si possono interpretare le parole di Daniel Libeskind, uno degli esponenti più noti, secondo il quale l’architettura deve sbarazzarsi di molti ‘pregiudizi estetici’, per tornare a essere il linguaggio della creatività e della conoscenza, l’espressione di un nuovo umanesimo, non scialba espressione di rivoluzioni tecnologiche o di acrobazie individuali, se messe a confronto con gli scopi di Coop Himmelb(l)au una cooperativa di architetti viennesi, improntata anch’essa ai principi del più provocatorio Decostruttivismo, ma che persegue, come recita il Manifesto del 1980, un’architettura  “che accende, che turba, che squarcia”. Non trova una certa discrasia?

Daniel Libeskind, Museo di Arte Contemporanea, Milano

Il Decostruttivismo, che si afferma nel 1988 con una famosa mostra al Moma, non fu propriamente un movimento, perché i sette architetti selezionati allora da Philip Johnson e Mark Wigley, erano molto diversi tra di loro. Richiederebbe troppo spazio esaminare queste differenze, ma esse sono così forti da produrre, nei protagonisti di quel passaggio dal Postmodernismo ad altri orizzonti neoavanguardistici, posizioni anche contrapposte. Il parere di Daniel Libenskid si colloca perfettamente in questa situazione, consistente in un conflitto interno al concetto stesso di Decostruttivismo.

3-Di altro tenore gli scopi della manifestazione nata sotto la direzione artistica di Stefano Boeri e promossa da Comune di Milano, Politecnico e Triennale, intitolata “L’architettura e le trasformazioni urbane sotto il segno della sostenibilità e vivibilità”, con la partecipazione tra gli altri dei catalani Rcr vincitori del Premio Pritzker 2017 ; si sa infatti che Rcr è una Fondazione creata da RCR Arquitectes per stimolare socialmente l’apprezzamento dell’architettura e del paesaggio e, implicitamente, l’arte e la cultura in generale. Le chiedo, rifacendomi alle domande precedenti : come orientarsi tra questi linguaggi ?

El Petit Comte Kindergarten, 2010, Besalú, Girona, Spain

Il periodo che stiamo attraversando è contraddistinto da un numero così consistente di orientamenti che è quasi impossibile elencarli tutti. Il neofunzionalismo al quale ho accennato ha generato infatti molte direzioni di ricerca alla quali vanno aggiunte quelle altrettanto variegate interpretazioni della dannosa alleanza tra media, moda e arte che hanno prodotto un neoeclettismo globale il quale aumenta ogni giorno un fastidioso rumore di fondo nelle nostre città. Un frastuono che affatica la nostra mente facendo dimenticare a molti che le città hanno bisogno di esprimere una coerenza di impianto e la necessaria ricorrenza di espressioni architettoniche confrontabili. Senza questo carattere seriale e dialogica la città non è altro che un affollamento caotico di oggetti di industrial design ingigantiti, senza rapporti insediativi che li mettano in relazione. 

 4 –L’architetto statunitense di origine argentina, César Pelli, è divenuto celebre per aver disegnato alcuni degli edifici più alti del mondo, cioè in primis le Petronas Twin Tower di Kuala Lumpur, caratterizzate da una grandiosa eleganza lineare, ispirata ai simboli iconografico-culturali della tradizione islamica. Si può pensare che in un futuro anche abbastanza prossimo progettisti ed architetti saranno chiamati a misurarsi – non certo nei termini dei grattacieli ma a livello più ‘popolare’- con le nuove realtà che in termini sociali e religiosi vanno prendendo corpo nei paesi occidentali ?

Petronas Twin Tower, Kuala Lumpur City Centre (Malaysia)

César Pelli, senz’altro un architetto di notevole talento, raggiunge nei suoi grattacieli considerevoli altezze con le sue opere anche perché, come nelle Petronas Twin Tower, calcola le guglie nella misura finale dell’elevato perché esse contengono scale, e quindi sono considerate abitabili seppure solo virtualmente. A parte questo dettaglio non credo che nel prossimo futuro il glocal, ovvero il compromesso tra locale e globale, possa favorire l’espansione delle nuove realtà che in termini sociali e religiosi vanno prendendo corpo nei paesi occidentali. Il glocal è come l’esperanto, ovvero l’illusione che possa esistere un lessico fatto come un mosaico di termini diversi, prelevato da culture tra di loro lontane. Credo invece che solo ciò che è locale possa rappresentare, quando è inteso in profondità e con grande sincerità, una forma credibile di globalità, una volta che è fatto conoscere nel mondo. Non a caso il linguaggio di Palladio ha contribuito a creare altre identità architettoniche in tutto il pianeta, restando sempre se stesso. 

5-Infine sulla Biennale; le riporto brevemente quanto si afferma nella locandina : “Il titolo scelto è Freespace, che rappresenta la generosità e il senso di umanità che l’architettura colloca al centro della propria agenda, concentrando l’attenzione sulla qualità stessa dello spazio. Con questo tema la Biennale Architettura 2018 presenta al pubblico esempi, proposte, elementi – costruiti o non costruiti – di opere che esemplificano le qualità essenziali dell’architettura: la modulazione, la ricchezza e la materialità delle superfici, l’orchestrazione e la disposizione in sequenza del movimento ….”, Che ne pensa ? Secondo lei è su questo che occorrerà impegnare la creatività dei progettisti nei prossimi anni ?

A partire dal 2000 le edizioni della Biennale di Architettura di Venezia si sono configurate come grandi fiere mondiali rinunciando al loro ruolo iniziale di laboratori di ricerca che affrontavano tematiche importanti e difficili. Oggi queste mostre non modificano in alcun modo il dibattito architettonico mondiale, ma si limitano a informare il pubblico internazionale di quanto è stato progettato e realizzato dagli studi più noti. Tutto ciò senza proporre vere interpretazioni critiche di questa produzione. Non a caso ogni biennio il tema cambia, ma solo apparentemente, perché i protagonisti della mostra sono sempre gli stessi. Mi auguro che la Biennale di Architettura torni alle sue origini, cioè a poco più di quarant’anni fa, proponendo di svolgere, come allora, la funzione di luogo di sperimentazione avanzata su temi non sufficientemente esplorati o, ciò che è molto più importante e urgente, non ancora individuati.

P d L   Roma giugno 2018