Osservazioni tematiche sull’ Ecce Homo di Madrid: “problematica” l’attribuzione a Caravaggio.

di Kristina HERRMANN FIORE

Il prezioso numero di About Art, dedicato al dipinto dell’«Ecce Homo», recentemente portato alla ribalta come ipotetica opera originale di Caravaggio, e contenente numerosi contributi e ipotesi di autorevoli studiosi, mi è di stimolo per alcune osservazioni di carattere tematico, riconoscibili anche prima del restauro del dipinto che potrebbe offrire dati più precisi per un suo più approfondito studio.

Ecce Homo, Madrid, già asta Ansorena

Non vi è dubbio che il quadro è di altissimo interesse per la potenza della sua invenzione e per la sua vicinanza all’opera di Caravaggio: per questo, sui giornali e nel dibattito tra gli esperti di settore, il suo ritrovamento ha ricevuto grande e importante risonanza mediatica.

Nella resa di un tema di storia sacra, un pittore offre solitamente una sua chiave interpretativa dell’agire dei protagonisti, basandola sulla tradizione letteraria e figurativa; in particolare, come è noto, all’ inizio del Seicento, l’artista, ponendo l’accento sugli affetti e sui comportamenti umani, poteva comunicare all’ osservatore in modo nuovo la sua percezione dell’evento.

La rilettura dei passi dei Vangeli relativi alla storia dell’ «Ecce Homo» (Matteo 27 ,11-31, Marco 15, 1-20, Luca 23,1-24 e Giovanni 18, 28-40; 19, 1-22) induce a considerare per la decifrazione del messaggio pittorico in particolare la versione di Giovanni. Infatti in questa versione viene menzionata come motivazione per l’accusa a Gesù, il suo essersi definito Re, benché del mondo ultraterreno. Dopo le grida della folla a favore della liberazione di   Barabba

«Pilato fece prendere Gesù lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata  una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: Salve, re dei Giudei. E gli davano degli schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: Ecco io ve lo conduco fuori, perché sappiate che  non trovo in lui nessuna colpa. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di  porpora. E Pilato disse loro «Ecce l’uomo».

A ciò seguiva, poi, l’incitamento dei sommi sacerdoti e delle guardie a favore della crocefissione di Cristo e la conseguente sua condanna a morte da parte di Pilato.

Raffrontando il testo citato con il dipinto, la scena in esso raffigurata offre elementi precisi del momento in cui Pilato, emblema dell’ambiguità politica, portando fuori dal pretorio l’accusato, enunciava la frase «Ecce Homo», seguita dalle grida dei sacerdoti e delle guardie incitanti alla condanna a morte.

Infatti la scena, effettivamente si svolge all’ esterno dell’architettura del pretorio, mentre lo sgherro (pars pro toto delle guardie) reggendo il manto color porpora, emette l’urlo del «crocifiggilo», mostrando, a bocca spalancata i suoi denti.  Nelle descrizioni del quadro, viene spesso affermato dalla critica o dai documenti riferiti al dipinto che Pilato stia indicando Gesù, ma, a un più attenta osservazione, egli orienta invece le sue mani aperte verso il manto di color porpora reale. In tal modo, viene maggiormente esaltato il presunto ruolo di «Re dei Giudei» di Gesù rispetto alla sua persona.

A ciò, si aggiunge, anche, il moto della mano sinistra di Pilato che sembra sostenere quella di Cristo recante la canna a scherno di un vero scettro. La profonda ombra che si spande sul pollice e sul palmo della mano sinistra di Pilato è contrastata dal barlume di luce sul suo pollice destro in posizione parallela: nella loro accentuata opposizione tra luce e tenebre, quindi, anche i pollici del governatore, potrebbero voler esprimere il suo stato d’animo irresoluto e in balìa dei forti contrasti. L’espressione intensa del volto diretto verso l’osservatore appare tormentata dal dubbio, mentre con la bocca semiaperta egli presenta l’accusato al popolo, fuori dal palazzo, con la frase «Ecce Homo».

L’ idea che Pilato mostri agli astanti i palmi delle mani prima del loro lavaggio, trova un precedente tematico nella xilografia della Grande Passione di Dürer.

Inoltre nella Piccola Passione del norimberghese, analogamente al dipinto, Pilato si trova in posizione inferiore rispetto a Gesù e a mezzo busto nell’ angolo a sinistra in basso, dello scenario tra l’orizzontale del parapetto e la verticale dell’architettura a pilastri.

 

Albrecht Dürer, Grande Passione, Ecce Homo, 1498-99, xilografia, Washington DC, National Gallery of Art
Piccola Passione

Nel saggio di Alessandro Zuccari (Cfr. https://www.aboutartonline.com/la-genialita-dellinvenzione-fa-ritenere-lecce-homo-autografo-e-poi-ce-un-dettaglio/ ) che con fine osservazione interpreta l’invenzione del dipinto, è stata ravvisata una fiammella di luce nella corona di spine del condannato.

Ecce Homo (part.) Madrid, già asta Ansorena

A mio avviso, tuttavia, non si tratta di una fiammella, bensì del punto in cui un ramo era stato reciso per realizzare la corona di spine. Sull’area del taglio, si proiettano sfumature di rosso e tracce di color resina con possibile evocazione del sangue di Cristo e della porpora reale. Simili tagli del ramo nel fitto intreccio della corona di spine si trovano nella tradizione dei pittori nordici, ad esempio nel frontispizio della famosa xilografia della Grande Passione di Dürer del 1511, o nel quadro di Dirk van Baburen del Museo del Catharijneconvent di Utrecht, databile al 1621.

Dirck van Baburen, Cristo coronato di spine, 1621, Utrecht, Museo del Catharijneconvent

Una simile corona di spine, d’ altra parte, si distingue da quella resa in quadri di sicura attribuzione al Caravaggio.

Caravaggio, Cristo coronato di spine, 1599, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Caravaggio, Flagellazione di Cristo, 1607-1608, Napoli, Capodimonte

In effetti nel «Cristo coronato di spine», già collezione Giustiniani, oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna (1599) o nella «Flagellazione di Cristo alla colonna» (1607), già in San Domenico Maggiore di Napoli, ora al Museo di Capodimonte, la corona di spine viene suggerita da pochi rami intrecciati, e non presentando invece, quella fitta gabbia di rami pungenti che contraddistingue, ad esempio, la reliquia, conservata alla Sainte-Chapelle di Parigi. In più, a differenza dei lunghi rivoli di sangue che scendono sul corpo di Cristo nel dipinto in oggetto, poi, nei due quadri citati di Caravaggio, poche sono le gocce di sangue che fluiscono in prossimità delle spine.

Inoltre nelle due opere accertate del Merisi, il volto di Cristo è reso senza rughe, più giovane e in maniera più conforme all’ aspetto di un uomo di 33 anni secondo la tradizione. Le proporzioni dell’imago Christi ed i suoi tratti fisiognomici, pur nel momento della più terribile umiliazione, emanano qui una bellezza all’ antica. A tale sua idea del «volto di Cristo» il Caravaggio rimase sostanzialmente fedele durante la suaopera.

(cfr. Cristo coronato di spine, Vienna, Kunsthistorisches Museum –Vocazione di S. Matteo, San Luigi dei Francesi – Incredulità di S. Tommaso, Galleria di Potsdam,Sanssouci  –   Deposizione, Pinacoteca Vaticana – Presa di Cristo nell’orto, Dublino  National Gallery  –   Ecce Homo di controversa attribuzione, Genova, Pal. Bianco – Cena in Emmaus, Brera – Flagellazione, Napoli, Capodimonte  – Resurrezione di Lazzaro, Messina , Museo Regionale)

In conclusione, condivido il giudizio generale secondo cui il dipinto ritrovato sia un’opera da attribuire a un grande ed originale pittore che doveva condividere con il Merisi la ricerca di un nuovo «stile del vero» come definito dal poeta contemporaneo, Scipione Francucci.

Tale pittore, a mio avviso ancora da individuare, aveva esperienze della pittura caravaggesca in ambito napoletano e della pittura spagnola, come delle opere del tardo Tiziano sul tema dell’ «Ecce Homo» per la corte di Madrid, nonché della grafica di Dürer.  Per i motivi tematici sopra esposti ritengo, pertanto l’attribuzione a Caravaggio problematica.

Kristina HERRMANN FIORE    Roma  2 maggio 2021