“Nel segno di Quo vadis?” di Jerzy Miziołek. Un itineriario a Roma ai tempi di Nerone e dei primi martiri

di Nica FIORI

“Nel segno di Quo vadis ?” Il libro che mette in relazione il romanzo di Henryk Sienkiewicz con il pittore Siemiradzki e altri artisti polacchi

Il romanzo Quo vadis?, che ha fatto vincere al suo autore Henryk Sienkiewicz (1846-1916) il premio Nobel per la letteratura nel 1905, è indubbiamente un’opera che ha lasciato il segno, proprio come, secondo una leggenda, Cristo avrebbe lasciato il segno, ovvero le sue impronte, sul selciato della via Appia antica, dove San Pietro lo avrebbe incontrato poco prima di essere crocifisso nel corso della persecuzione dei cristiani sotto l’imperatore Nerone.

Il libro del polacco Jerzy Miziołek “Nel segno di Quo vadis?” trae spunto dal romanzo di Sienkiewicz per tracciare un affascinante itinerario letterario, storico e artistico della Roma neroniana, come evidenziato nel sottotitolo: “Roma ai tempi di Nerone e dei primi martiri nelle opere di Sienkiewicz, Siemiradzki, Styka e Smuglewicz”.

Il volume, edito nel 2017 da “L’Erma” di Bretschneider (270 pp.), è di grande interesse sia per i testi, di assoluto rigore scientifico e di scorrevole lettura, che ci fanno scoprire il rapporto di amore di molti polacchi per la storia romana, sia per il ricchissimo apparato iconografico, che mette in relazione il romanzo con le arti figurative della stessa epoca e con il cinema del Novecento. Già a partire dalla copertina, un dipinto di Henryk Siemiradzki ci introduce alla conoscenza della Roma neroniana. Il dipinto raffigura “La Dirce cristiana” (1897) e può essere accostato a quelli del notissimo Lawrence Alma Tadema per l’ambientazione romana e il suo alone di sensualità.

H. Siemiradzki, La Dirce cristiana, part.
Locandina del film di Mervyn LeRoy

La scena fa pensare indubbiamente alla giovane cristiana protagonista del romanzo Quo vadis?, che viene attaccata a un toro, come la Dirce della mitologia greca, per subire il martirio, ma viene salvata dal suo fedele servitore Ursus.

Pur inserita in un romanzo storico, l’eroina del Quo vadis? è un personaggio di fantasia, il cui nome italianizzato, Licia, è una traslitterazione di Ligia, ossia del paese dei Ligi, corrispondente alla Polonia. Un modo per accomunare l’autore polacco alla sua “seconda patria”, ovvero l’Italia, e Roma in particolare, che visitò attentamente a partire dal 1879 sotto la guida del pittore Siemiradzki (1843-1902), che lo condusse pure nella chiesetta del Domine Quo Vadis, sull’Appia Antica, dove Sienkiewicz ebbe la prima intuizione di come doveva svolgersi il romanzo sui primi martiri cristiani, ispirato soprattutto dalla lettura degli Annali di Tacito. Anche il personaggio maschile del romanzo, Marco Vinicio, è di fantasia, mentre sono pienamente storici i personaggi di San Pietro e di San Paolo e i romani Petronio, Tigellino, Poppea, Atte e Nerone.

Un despota capriccioso, sanguinario, egocentrico, ma sottilmente affascinante è l’immagine che gli autori latini ci hanno tramandato di Nerone, l’imperatore amato dalla plebe e inviso all’aristocrazia, che, dopo la sua morte, a dispetto della damnatio memoriae voluta dal Senato e dagli imperatori della dinastia Flavia, ha continuato ad avere una grandissima popolarità, sia pure negativa, avendo legato il suo nome alla prima persecuzione contro i cristiani, in seguito al grande incendio del 64 d.C. In realtà, la sua è una figura molto sfaccettata, le cui luci e ombre sono state riviste e a volte rivalutate dalla moderna storiografia, mentre Sienkiewicz e dopo di lui molti film, ispirati al suo romanzo, ne hanno fatto un personaggio crudele e spesso ridicolmente eccessivo nella sua pretesa di essere un novello Omero.

Ritratto di H. Sienkiewicz, pastello di K.Mordasewicz 1900, Varsavia

Forse il personaggio più riuscito del capolavoro di Sienkiewicz è il colto Petronio, l’arbiter elegantiarum, il cui quadro psicologico è delineato in modo realistico e profondo, con tutte le contraddizioni legate al suo essere epicureo e scettico allo stesso tempo. Il romanzo descrive splendidamente il contrasto tra il paganesimo raffinato e decadente dell’epoca e l’umiltà del cristianesimo nascente, tra l’egoismo e l’amore, tra l’aurea luce dei palazzi imperiali e il mondo sotterraneo delle catacombe. Indimenticabili sono le descrizioni epiche dell’incendio di Roma e del martirio di molti cristiani e soprattutto quell’incontro dell’apostolo Pietro con Cristo, quando

gli sembrò che il disco dorato del sole invece di salire nel cielo scivolasse giù dalle colline e avanzasse rotolando per la strada… e il chiarore si diffondeva sempre più sulla pianura… il suo sguardo rimase fisso, la sua bocca restò aperta e nel volto si dipinse stupore, gioia ed estasi… fu un lungo silenzio che poi fu interrotto dalle parole del vecchio… Quo vadis, Domine?”.
Chiesetta del Domine Quo Vadis

Se non fosse per il romanzo, pubblicato per la prima volta in polacco nel 1896 e tradotto poi in ben 57 lingue, evocato anche da papa Giovanni Paolo II nell’omelia di apertura del suo pontificato il 22 ottobre 1978, l’episodio, narrato negli Acta Petri e ripetuto nella Legenda aurea di Iacopo da Varazze, non sarebbe diventato così famoso, anche se nel luogo del leggendario incontro sorse tra l’VIII e il X secolo la chiesetta, rifatta nel Seicento, che conserva una copia delle impronte dei piedi di Cristo (l’originale è nella chiesa di San Sebastiano): impronte che gli archeologi ritengono siano in realtà degli ex voto per il dio Rediculus (il dio del ritorno), che aveva un suo culto sulla via Appia. La chiesa, al n. 51 dell’Appia Antica, è conosciuta col duplice nome di “Domine Quo Vadis?” e “Santa Maria in Palmis”, ovvero delle piante (dei piedi di Cristo). Al suo interno è ricordato Henryk Sienkiewicz in un busto bronzeo, opera di Boguslaw Langman, lì collocato dai Polacchi nel 1977. Il legame di questo luogo sacro con la Polonia è ulteriormente documentato dalla presenza delle reliquie di Santa Faustina Kowalska e del Beato Bronislao B. Markiewicz.

Jerzy Miziołek, già professore ordinario presso l’Istituto di Archeologia dell’Università di Varsavia e da poco prestigioso collaboratore di About Art (cfr. https://www.aboutartonline.com/seguendo-si-meraviglioso-e-singulare-artefice-le-impronte-michelangiolesche-in-s-maria-dei-monti/ ), ci parla, da grande esperto qual è, della genesi del romanzo di Sienkiewicz e del suo contenuto, evidenziandone il legame con i dipinti di Siemiradzki (sono presentate in un capitolo a parte anche le lettere di entrambi), come il già citato “La Dirce cristiana” (1897, Varsavia Museo Nazionale), un grande olio su tela (cm 263 x 534) che mostra sulla sinistra Nerone, mentre osserva una fanciulla nuda, svenuta e ancora legata a un toro atterrato nell’arena, davanti a inservienti neri con copricapi egiziani, raffigurati sulla destra.

H. Siemiradzki, La Dirce cristiana, part. con Nerone e Tigellino

Qualcuno ha ipotizzato che il dipinto non sia stato ispirato dal romanzo, ma che, al contrario, l’idea del supplizio di Licia sia venuta a Sienkiewicz dalla visione di questo quadro, anche se egli possedeva una riproduzione del gruppo scultoreo di Dirce (noto anche come Toro Farnese), acquistata nel Museo archeologico di Napoli, che pure potrebbe averlo ispirato.

Gruppo scultoreo di Dirce, Napoli

È probabile, come afferma Miziołek, che i due autori si siano ispirati a vicenda, perché Sienkiewiczconosceva i primi schizzi della Dirce cristiana, opera iniziata nel 1885 e portata a termine solo nel 1897”. E Siemiradzki, da parte sua, “ultimò la Dirce sollecitato dalla pubblicazione di Quovadis? in cui il combattimento con il toro è il momento cruciale della narrazione”.

H. Siemiradzki, Le torce di Nerone, part.
H. Siemiradzki, Le torce di Nerone, part. con il disegno dell’asino crocifisso

Sicuramente il capolavoro “Le torce di Nerone” (1879, Cracovia, Museo Sukiennice), sempre di Siemiradzki, deve aver ispirato Sienkiewicz per le scene di martirio nel circo, cui assiste l’imperatore con la sua corte. Il grandioso dipinto (circa 7 m di lunghezza per 3 m di altezza) raffigura sulla destra il supplizio dei cristiani bruciati come torce nei giardini di fronte alla Domus Aurea, così come è raccontato da Tacito.

Vi appare pure una cartella con l’immagine di un asino crocifisso, un tipo di raffigurazione di cui parla Tertulliano, che nel volume è accostata a quella di un graffito conservato nell’Antiquarium del Palatino. Sulla sinistra del dipinto, il pittore si è invece concentrato sulla “rievocazione del tetro splendore della corte neroniana che, tra libagioni e mollezze d’ogni genere, si appresta a godere del terribile spettacolo, che sta per iniziare”.

Grazie alla sua conoscenza dell’arte antica, Siemiradzki propone una visione affascinante dell’epoca dei primi cristiani, anche se un po’ eclettica, in quanto mette insieme elementi di epoca neroniana con altri di epoca più tarda (vi sono citazioni dei rilievi e dei Daci dell’arco di Costantino e un’architettura che somiglia al futuro Vittoriano). Per ricreare il clima di sfarzo dell’età neroniana, il pittore s’ispirò a suppellettili rinvenute a Pompei ed Ercolano e a una lettiga della collezione di Augusto Castellani, esposta all’epoca nei Musei Capitolini. Del resto anche Sienkiewicz si avvalse della sua conoscenza delle città vesuviane per ricreare l’atmosfera delle case romane, in particolare quelle di Petronio e di Aulo Plauzio.

H. Siemiradzki, Le future vittime del Colosseo, Varsavia

“Le future vittime del Colosseo” (1899, Varsavia, Seminario vescovile) è un altro splendido olio dello stesso Siemiradzki, dove è raffigurato un gruppo di tre persone che ascoltano un vecchio, forse un successore di Pietro o un discepolo di S. Paolo, che ha in mano un rotolo del Vangelo di San Giovanni, mentre sullo sfondo si intravede l’Anfiteatro Flavio e il perduto Colosso di Nerone, raffigurato come dio del Sole, che avrebbe dato il nome al Colosseo.

Come fa notare Miziołek, “È certo che, per dipingere il Colosso, ormai scomparso da secoli, Siemiradzki non si limitò alla lettura di Svetonio (Nerone, XXXI, 1) e di Plinio il Vecchio (Storia Naturale, XXXIII, 45), ma studiò anche le fonti iconografiche, le monete antiche, come quella di Gordiano III e le ricostruzioni ottocentesche”.

La disposizione del Colosso, che appare molto vicino all’Anfiteatro, è quella del tempo di Adriano, ma esiste un disegno preparatorio del pittore con l’ubicazione relativa al tempo di Nerone, che evidentemente ha poi deciso di cambiare.

H. Siemiradzki, Ascensione, Roma

Oggi Siemiradzki è un pittore quasi dimenticato in Italia, eppure durante il suo soggiorno romano era molto apprezzato e la sua villa di via Gaeta (ora scomparsa) era un punto di riferimento per molti aristocratici, scrittori e artisti, tanto da essere citata nella guida Baedeker come un posto di primaria importanza. A Roma rimane di lui una tela raffigurante l’Ascensione (1891), nella chiesa della Congregazione dei Resurrezionisti (in via di San Sebastianello), cui è dedicato un capitolo del libro. È un dipinto che sembra ispirarsi alla Trasfigurazione di Raffaello nella visione frontale e serena di Cristo, che si contrappone all’inquietudine di alcuni apostoli, tra i quali è stato raffigurato il grande scrittore Nicolaj Gogol (è il quinto apostolo andando da sinistra a destra), anche se all’epoca era già morto.

 

J. Styka, Nerone a Baia

Alla morte di Siemiradzki, un altro pittore polacco, Jan Styka, continuò a raffigurare soggetti ispirati sempre al primo cristianesimo, fino alla sua morte avvenuta a Capri nel 1925. Anche in questo caso si tratta di un pittore ormai quasi dimenticato, ma il suo dipinto ”Nerone a Baia” (1900, collezione privata) non si dimentica facilmente, perché ritrae l’imperatore con un’emblematica tigre, sullo sfondo di un paesaggio inquietante dominato dal Vesuvio.

L’altro pittore citato nel sottotitolo, Francesco Smuglewicz, è più antico ed è autore di soggetti romani: in particolare ha raffigurato in un bell’acquerello la “Veduta dell’esedra delle Terme di Tito (in realtà di Traiano) e l’entrata delle stanze sotterranee della Domus Aurea” (1776, Varsavia, Museo Nazionale). In collaborazione con Marco Carlone e Vincenzo Brenna, ha realizzato un volume con le incisioni delle pitture della Domus Aurea, dopo aver ricopiato a matita gli originali in condizioni davvero improbe.

Franz Roesler, Licia disegna il pesce

Anche l’austriaco Franz Roesler (1864-1941), da non confondere con l’italiano Ettore Roesler Franz, è ampiamente documentato nel volume con una serie di cartoline ispirate al romanzo Quo vadis? e conservate nel museo dedicato a Sienkiewicz a Oblęgorek, tra le quali voglio ricordare in particolare “Licia disegna il pesce”, perché fa riferimento a uno dei simboli del primo cristianesimo, che tanta curiosità suscita in Vinicio per il suo significato nascosto ai profani.

Il volume prende in considerazione con tanto di numeri le varie edizioni del libro e la filmografia relativa. Celeberrimo è stato il film, diretto da Mervyn LeRoy, con Deborah Kerr e Robert Taylor come protagonisti e Peter Ustinov nel ruolo di Nerone.

Locandina del film di Mervyn LeRoy

Sono tutti film che, pur dando di Nerone un’immagine non sempre veritiera, hanno contribuito ad accrescerne il mito. Attori come Ettore Petrolini, Alberto Sordi, Klaus Maria Brandauer, oltre al già citato Peter Ustinov, tingono di tetra ironia il ritratto del despota incendiario che si è via via trasformato in un vero divo cinematografico.

Il volume comprende anche un breve saggio di Barbara Brzuska, riguardante gli studi universitari di Sienkiewicz, un saggio di Robert Kotowski, intitolato “Quo vadis nei cimeli di Oblęgorek”, e la postfazione di Luigi Marinelli, della Sapienza Università di Roma, che ci fa conoscere alcune curiosità sul tema, tra cui la composizione in dialetto romanesco “Quo vadise?” (1900) di Giggi Pizzirani e la pubblicità della Magnesia San Pellegrino con disegni ispirati allo stesso bestseller.

Nica FIORI  Roma 29 novembre 2020