Mostra “Io dico io – I say I “; cinquanta artiste italiane raccontano la loro visione del mondo

di Licia UGO RACOVAZ  Giornalista, scrittrice

Alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (dal 1° marzo al 23 maggio)

Installation view Io dico Io – I say I. Galleria Nazionale. Ph. Alessandro Garofalo

E’ già questa frase “remember the first time you saw your name”, realizzata dall’artista Marinella Senatore per la Mostra Io dico Io – I Say I,  e che vediamo all’ingresso della Galleria Nazionale che ci fa capire che qui, in questa Mostra, si parla di identità, di memoria e di narrazione artistica al femminile.

Io dico Io – I Say I è il titolo di questa mostra, liberamente ispirata a Carla Lonzi, (Firenze 6 marzo 1931 – Milano 2 agosto 1982) femminista e critica d’arte negli anni 60-70,  impegnata – sino alla sua morte prematura – a ridiscutere il ruolo di critico e artista e concentrata sulla necessità  delle artiste di prendere la parola in prima persona per affermare la propria soggettività.

La Mostra “I say I – Io dico Io” inaugurata il primo marzo, a cura di Cecilia Canziani, Lara Conte e Paola Ugolini,  è stata concepita come un’indagine aperta, un percorso non lineare, un invito a riflettere sulla propria soggettività e sulla propria identità, uno stimolo forte per chi visita la Mostra.  L’invito è quello di ripercorrere il lavoro di artiste che attraverso lo sguardo e la loro “autorappresentazione” hanno messo in discussione ruoli, scritture come racconto di sè,  e infine il corpo stesso, che da limite, da modello sociale schematico, diventa sconfinamento e da normalità domestica si trasforma in perturbante sino a sovvertire il quotidiano.

Installation view, Io dico Io – I say I, Galleria Nazionale Ph. Alessandro Garofalo
1 Beatrice Meoni Caduta, 2019, olio su tavola, cm 60×50, ph. C. M. Santini courtesy Cardelli & Fontana

Si tratta di un viaggio emotivo  e storico che noi visitatori compiamo attraverso lo sguardo di cinquanta artiste italiane. Alcune particolarmente note come Giosetta Fioroni, Carol Rama, Antonietta Raphael Mafai, Marisa Merz, Lisetta Carmi. Sono fotografe, pittrici, videoartiste che in differenti contesti storici e sociali hanno raccontato la loro visione del mondo. Un ribaltamento di ruoli e immaginari prestabiliti. Sorprende che, già negli anni 1965-67, Lisetta Carmi abbia pensato a fotografare i travestiti, nella serie Gilda, quasi a voler scardinare e al contempo indagare sull’identità sessuale, come pure suggestivo l’olio di Beatrice Meoni, la caduta come metafora di realizzazione artistica.

Nel “To be naked. Breasts” di Adelaide Cioni la nudità viene espressa non come nudo erotico che suscita desiderio, ma come aspetto noto e  familiare del femminile, dato proprio dal materiale particolare usato, lana cucita su tela.

 Uno dei pezzi più evocativi della mostra è  l’acquarello “Appassionata” di Carol Rama, il sangue a suggellare la drammaticità della passione erotica.

foto n. 2 Lisetta Carmi, I travestiti, La Gilda, 1965-1967 fotografia b/n
24×30; cc47x57x2,5 ® Lisetta Carmi – Martini & Ronchetti
Foto n.3 Adelaide Cioni, To be naked. Breasts, 2020, lana cucita su tela, cm.98×158, particolare ph. C.Favero 21012104e23

 

La preparazione di questa Mostra è  durata quasi due anni, con in mezzo la pausa forzata indotta dal Covid, dalle sue conseguenze, fatte da rallentamenti, difficoltà incertezze. Infatti ci spiega Cristiana Collu, direttrice della Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea, che questa mostra era nata nel 2019, e si sarebbe dovuta inaugurare il 21 marzo del 2020, ma l’8 marzo dello scorso anno è iniziato il lockdown nazionale a causa della situazione pandemica drammatica ed epocale in cui ancora ci troviamo.

Cristiana COLLU spiega :

“Un solo dato tra gli innumerevoli: in un anno il 70% delle persone che ha perso il lavoro è donna. La pandemia ha acuito la disparità di genere e con quel dato il verbo utilizzato è un eufemismo”.

Chiediamo inoltre alla Direttrice Cristiana Collu qual è il significato profondo racchiuso nel titolo della Mostra  “ IO DICO IO – I SAY I ” :

“prima ancora di configurarsi come una visione o una pratica collettiva,  si tratta di una battaglia personale. Per questo se io dico io e pronuncio la parola femminismo non ho paura di sbagliare, l’ho riempita di significato, l’ho attualizzata e non devo cercarne un’altra, mi accompagna nella mia vita e nel mio lavoro, è mia”.

La Mostra “Io dico io – I say I”, continua la Direttrice,

“è la voce del soggetto scabroso, ruvido e difficile, del soggetto che si fa problema, che si guarda con i propri occhi, è Diotima (Nota in calce) che invita e partecipa al convivio e che si nota di più perché è presente, perché ha un corpo, perché prende la parola e parla un linguaggio sessuato”.

Dal 2015 la storia  della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ha focalizzato  la sua attenzione sulle donne, e sulle molte questioni da affrontare, tutte con un denominatore comune: la disuguaglianza.

In mostra un omaggio anche a chi ha fatto molto per la condizione femminile dal punto di vista politico. Ci sono i Quaderni di Simone Weil ricopiati a mano dall’artista Sabrina Mezzaqui. Le sovraccoperte sono in lana tricottata a sottolineare l’amore e l’impegno. Una esposizione che pensa alle donne, alla perdita dei posti di lavoro durante la pandemia e all’incremento della violenza di genere.

Foto 5 Sabrina Mezzaqui, I quaderni di Simone Weil, 2010-2016, 18 quaderni ricopiati a mano con sovraccoperte di lana lavorata a mano (da Simone Weil, Quaderni, Milano, Adelphi, 1988-1993) 21,5 x 15,5 x 0,7 cm circa ognuna. Quaderno aperto / 21,5 x 31,5 cm; courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia
Installation view Io dico Io – I say I; Galleria Nazionale. Ph. Alessandro Garofalo

Questa Mostra riunisce e sparpaglia, visivamente parlando, artiste italiane di diverse generazioni, che hanno raccontato, ognuna con il proprio vissuto storico, sociale e individuale la propria autenticità di artista. Quindi non ci troviamo di fronte ad un percorso incanalato rigidamente in schemi e sottogruppi di pensieri ma ad una molteplicità di opere, anche lontane fra loro, che come un gioco di specchi  rimandano stimoli, sollecitazioni, dubbi, ma anche provocazioni.

Foto n. 6 Monica Bonvicini, Fleurs du Mal (pink), 2019 (detail), Steel, hand blown glass, 170 × 150 × 150 cm approx. Courtesy of the Artist and Galleria Raffaella Cortese, Milano
© Monica Bonvicini and VG Bild-Kunst
ph. Alessandro Garofalo
Foto 7 Chiara Camoni, Sister, 2020, terracotta policroma, ferro, legno, cm 70 x 60 x 125 approx
dettaglio, ph. Camilla Maria Santini

 

 

 

 

 

 

Installation view Io dico Io – I say I; Galleria Nazionale Ph. Alessandro Garofalo

Domandiamo  a  Paola UGOLINI, curatrice della Mostra: “Esiste solo l’arte tout court oppure si può parlare di arte ‘femminista’, e in che misura?”

Risposta:

L’arte ovviamente non è mai stata femminista o non femminista, ma è innegabile che molte artiste, soprattutto nel decennio ‘60-’70, abbiano inglobato il pensiero femminista nei loro lavori. Il rapporto di Carla Lonzi con l’arte e le artiste dopo la pubblicazione de suo saggio del 1969  “Autoritratto” e la fondazione di “Rivolta femminile” nel 1970 diventa decisamente conflittuale, per questo motivo non è facile riannodare i fili che, in un passato non troppo remoto hanno legato indissolubilmente i lavori di parecchie donne artiste con le istanze del femminismo militante.
Installation view Io dico Io – I say I; Galleria Nazionale Ph. Alessandro Garofalo

Prosegue Paola UGOLINI:

Il corpo femminile è l’altro protagonista di questa narrazione polifonica, corpi che raccontano storie per definire la propria unicità, corpi come mezzi per riconoscersi e rappresentarsi. Il corpo come misura e sconfinamento dell’Io e strumento di riconoscimento privilegiato per il soggetto femminile è il mezzo espressivo più utilizzato dalle donne artiste negli anni ‘70; d’altra parte, fisiologicamente, il corpo è il punto di partenza imprescindibile da cui le donne misurano se stesse e il mondo.

Girando per la Mostra ci si sorprende davanti a molte opere, fra cui il divertente esercizio letterario di Daniela Comani che assembla e «rovescia» famosi romanzi. Ecco allora il racconto di Italo Calvino: «Se una notte d’inverno una viaggiatrice» oppure «L’anziana donna e il mare» di Ernest Hemingway, «La Piccola Principessa» di Antoine de Saint Exupéry o il «Monsieur Bovary» di Gustave Flaubert

Installation view Io dico Io – I say I; Galleria Nazionale Ph. Alessandro Garofalo

C’è una parte  importante dedicata all’Archivio Carla Lonzi, che viene presentato per la prima volta al pubblico. Bisogna ricordare al lettore chi è stata Carla Lonzi, critica d’arte, scrittrice  e femminista teorica dell’autocoscienza e della differenza sessuale, fondatrice delle edizioni di Rivolta femminile nei primi anni settanta. Nota in calce

Cecilia Canziani, una delle tre curatrici della Mostra, ci spiega che

un archivio non è un sistema chiuso: possiamo consultarlo partendo da qualsiasi punto della sua estensione, è sempre in costruzione e offre rimandi e richiami tra le sue parti.

Intrepretando l’archivio come una categoria operativa, tre commissioni, affidate a Chiara Camoni, Alessandra Spranzi e Maria Morganti, attivano il lascito di Carla Lonzi a partire dall’analisi dai materiali che vi sono contenuti e dall’attualità del suo pensiero.

Nelle foto, belle e numerose, nelle lettere, nelle cartoline si trova uno spaccato commovente non solo sull’arte degli anni ’60 –’70 ma anche sulla vita quotidiana di quel periodo storico. Carla Lonzi  non era interessata al prodotto artistico, o meglio all’opera d’arte,  quanto soprattutto  “al manifestarsi dell’autenticità dell’artista”.  Il ruolo del critico viene negato, per lasciare il posto alla necessità dell’artista di parlare in prima persona, per affermare la propria soggettività, componendo una molteplicità  di IO, che risuona in modo armonico ma anche dissonante.

Antonietta Raphaël Mafai, Testa di ragazza, 1945, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, Ph. Alessandro Garofalo
Foto n. 11, Silvia Giambrone, Il Danno, 2018, courtesy l’artista e Studio Stefania Miscetti, ph. Giordano Bufo

 

 

 

Alessandra Spranzi, La donna barbuta #17, 2000, fotografia in b-n/b-w photograph, cm.31×46, ed.5+2pda(3/5), ph. Carlo Favero, courtesy l’artista e P420, Bologna

Chiediamo a LARA CONTE, una delle tre curatrici della Mostra qual è la relazione fra arte e militanza: Questa mostra rimanda lo sguardo e la memoria ad una parola in particolare, ‘femminismo’.  In che modo artiste differenti danno corpo e sostanziano la loro arte negli anni che vanno dal 1960 ad oggi ?”

Risponde Lara CONTE:

“Le questioni inerenti la militanza che la mostra a vario modo sollecita possono aprire lo sguardo sui femminismi e su come molte pratiche artistiche hanno posto e continuano a porre in evidenza nel presente una politica dell’immaginario femminile collegata a differenti strategie di affermazione del sé. Tante artiste presenti in mostra operative a partire dagli anni Sessanta e Settanta hanno aperto molteplici scenari di riflessione partendo dal sé, lavorando attorno ai temi dell’autobiografia, dell’autorappresentazione, della dimensione simbolica femminile, mediante l’esplorazione di nuove modalità espressive, nella convergenza tra autenticità e rottura. La loro posizione femminista assume pertanto quella prospettiva di sguardo altro da cui guardare il mondo”.

Ed è proprio così che concludiamo la nostra visita alla Mostra I say I, con una riflessione e con uno sguardo diverso. Con occhi che cercano, come le artiste appena viste hanno cercato, una prospettiva diversa da cui osservare il mondo.

Ketty La Rocca, Con attenzione,1971, Stampa fotografica con intervento a pennarello, 12,6×17,4. The Ketty La Rocca Estate (managed by the artist’s son Michelangelo Vasta)

Licia UGO RACOVAZ   Roma 7 marzo 2021

NOTE

NOTA a.: Diotima : leggendaria sacerdotessa di Mantinea, maestra di Socrate; inoltre rivista femminista e filosofica.
NOTA b.: Rivolta Femminile nei primi Anni 60. Era il periodo della Contestazione, del primo, esplicito, grande rifiuto della donna sottomessa al potere maschile. Carla Lonzi nel 1970 aveva fondato anche una casa editrice, in mostra una serie di foto tratte dal suo archivio. Sono visibili on line su Google Arts and Culture all’indirizzo g.co/womenup.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione a cura di Silvana Editoriale con i contributi di: Cecilia Canziani, Lara Conte, Paola Ugolini, Linda Bertelli, Rosi Braidotti, Annarosa Buttarelli, Barbara Carnevali, Maria Grazia Chiuri, Giovanna Coltelli, Liliana Ellena, Maura Gancitano, Vera Gheno, Anna Gorchakovskaya, Massimo Mininni, Francesca Palmieri, Chiara Zamboni.

Le artiste in mostra:

Carla Accardi, Pippa Bacca, Elisabetta Benassi, Rossella Biscotti, Irma Blank, Renata Boero, Monica Bonvicini, Benni Bosetto, Chiara Camoni, Ludovica Carbotta, Lisetta Carmi, Monica Carocci, Gea Casolaro, Adelaide Cioni, Daniela Comani, Daniela De Lorenzo, Maria Adele Del Vecchio, Federica Di Carlo, Rä di Martino, Bruna Esposito, Cleo Fariselli, Giosetta Fioroni, Jacky Fleming, Linda Fregni Nagler, Silvia Giambrone, Laura Grisi, Ketty La Rocca, Beatrice Meoni, Marisa Merz, Sabrina Mezzaqui, Camilla Micheli, Marzia Migliora, Elisa Montessori, Maria Morganti, Liliana Moro, Alek O., Marinella Pirelli, Paola Pivi, Antonietta Raphaël, Anna Raimondo, Carol Rama, Marta Roberti, Suzanne Santoro, Marinella Senatore, Ivana Spinelli, Alessandra Spranzi, Grazia Toderi, Tatiana Trouvé, Francesca Woodman.