Miti omerici storie romane imperiali e bellezze naturalistiche, il formidabile incrocio nell’antro di Sperlonga

di Nica FIORI (foto di Francesca Licordari)

La grotta di Tiberio a Sperlonga

Sperlonga Grotta di Tiberio

Insieme al pittoresco borgo medievale arroccato sul Colle San Magno, Sperlonga offre ai suoi visitatori ampi segni di presenze culturali stratificate nei secoli. Le bellezze naturalistiche del sito, oggi tanto apprezzate, avevano già colpito gli antichi romani, che ne fecero uno dei luoghi più esclusivi per la villeggiatura marittima. L’ospite più importante fu l’imperatore Tiberio, che vi costruì una sontuosa villa e trasformò in ninfeo-triclinio la più grande delle grotte affacciate sul mare. Eppure, di quell’antro ricordato dalle fonti classiche (la spelunca probabilmente all’origine del toponimo Sperlonga) si era persa nel tempo la memoria, sia per la vaghezza dei dati topografici (che parlano di una grotta presso Terracina), sia per i mutamenti morfologici del luogo che era stato semisommerso dalla sabbia e nascosto dalla vegetazione.

Sperlonga grotta Tiberio (immagine ravvicinata)

Fu solo dopo il 1957 che, in seguito al rinvenimento di alcuni pezzi di marmo lavorato durante i lavori per la sistemazione della via Flacca (la strada litoranea tra Terracina e Gaeta), si procedette a uno scavo regolare del sito. Nell’antro vero e proprio

Sperlonga interno della grotta

e nelle piscine adiacenti (che un tempo fungevano da peschiere) sono venuti alla luce a poco a poco migliaia di frammenti di imponenti gruppi scultorei legati ai miti omerici di Ulisse, quegli stessi miti che tanta importanza hanno ancora nelle tradizioni storiche della zona del Circeo. La frammentarietà delle sculture ha fatto pensare a una distruzione volontaria, probabilmente dovuta a un eccesso di fanatismo da parte di un gruppo di monaci insediatisi a Sperlonga nel VI secolo. Dopo un lunghissimo lavoro di assemblaggio e restauro, è stato creato il museo archeologico annesso alla villa di Tiberio proprio per ospitare i celebri capolavori, tra i quali risalta la fantastica immagine della nave di Ulisse alle prese con Scilla, il mostro marino descritto da Omero come un’enorme piovra e riproposto dagli autori dell’opera come una donna con due lunghe code di pesce e dai cui fianchi escono famelici cani, che divorano l’equipaggio dell’eroe greco.

Sperlonga. Gruppo di Scilla

Il rinvenimento di un’iscrizione marmorea recante i nomi degli scultori Athanadoros, Agesandros e Polydoros, della scuola rodia, è stata attribuita a questa impressionante opera. Ricordiamo che all’officina

Sperlonga. Gruppo di Scilla (part)

di questi scultori appartiene anche il celebre Laocoonte rinvenuto a Roma nelle Terme di Tito e conservato nei Musei Vaticani.

L’altro gruppo spettacolare, ricostruito in una sala del museo, è quello dell’accecamento di Polifemo, ottima copia romana della prima età imperiale da un originale greco della media età ellenistica, ascrivibile alla corrente rodio-pergamena. La ricostruzione, realizzata con resine epossidiche e affiancata dai resti dei marmi originali, è quella proposta dall’archeologo Baldassarre Conticello. Il gruppo è formato dal Ciclope semisdraiato su una pelle di pecora, immerso in un profondo sonno provocatogli dal vino che uno dei compagni dell’eroe gli aveva versato da un otre, che ancora regge con la mano, mentre intorno a lui sono Ulisse e alcuni compagni con il palo appuntito, pronti a conficcarlo nell’unico occhio del Ciclope.

 

Sperlonga. Gruppo di Polifemo

 Ulisse è in alto sulla roccia a dirigere l’azione. Il corpo è ricostruito quasi integralmente; fortunatamente integra ci è giunta invece la testa con il pileus (berretto orientale), di altissima potenza espressiva.

Sperlonga. Gruppo di Polifemo (part) Compagni di Ulisse

La grotta era stata concepita come un “teatro dell’Odissea” con quattro gruppi principali raffiguranti, oltre l’episodio di Scilla e quello di Polifemo, il ratto del Palladio e Ulisse che trascina il corpo di Achille. Davanti a questa splendida scenografia, pare che i poeti dell’epoca fossero rimasti senza parole.

Raffigurazioni di questo tipo non erano inconsuete nell’antichità, ma questa era particolarmente grandiosa e carica di significati simbolici, perché Tiberio voleva sottolineare la discendenza della sua famiglia di origine, la gens Claudia, da quel mondo di eroi. I Claudii infatti consideravano come loro progenitore Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, e, secondo una tarda leggenda, inconsapevole assassino del padre. Ed è proprio la maga che era di casa al Circeo che attira la nostra attenzione nel museo, raffigurata in una statua di marmo bianco del III-II secolo a.C., di dimensioni inferiori al vero, riconoscibile dalla presenza di tre porcellini (i compagni di Ulisse da lei trasformati in maiali). Doveva far parte della collezione scultorea della villa, insieme ad altre figure mitiche come Andromeda, a statue di divinità e a maschere teatrali.

Sperlonga. Circe e tre compagni di Ulisse trasformati in maiali

Nella grotta veniva allestito un vero e proprio triclinio sotto un padiglione dai tendaggi sottilissimi, per riparare i convitati dal sole o dalla brezza della sera. L’imperatore, ovviamente, aveva un posto d’onore che condivideva con pochi privilegiati. Egli era succeduto ad Augusto nel 14 d.C., in seguito alla morte degli altri pretendenti, ovvero i figli adottivi di Augusto (Gaio e Lucio, figli della figlia Giulia) e il fratello di Tiberio, Druso. Sua madre Livia, moglie dell’imperatore, si era data molto da fare per far sì che il potere andasse nelle mani del figlio che, almeno inizialmente, non sembrava molto interessato, tanto che già all’epoca del suo disastroso matrimonio con la sorellastra Giulia (sciolto per il comportamento trasgressivo della donna, relegata per questo motivo dal padre nell’isola di Pandataria, oggi Ventotene), scelse di vivere a Rodi in una sorta di esilio volontario (tra il 6 a.C. e il 2 d.C.), prima che Augusto lo richiamasse a Roma.

La sua residenza di Sperlonga, una delle tante ville marittime sorte sulla costa laziale all’inizio del I secolo a.C., probabilmente gli venne trasmessa in eredità dalla madre. Le fonti dicono che l’imperatore, grande amante del mare, era solito soggiornare qui per periodi sempre più lunghi soprattutto dal 23 d.C, anno della morte del figlio Druso Cesare, fino al 26 d.C., quando si ritirò definitivamente a Capri. Un incidente sarebbe stato la causa di questa sua scelta. Svetonio e Tacito ricordano, in effetti, un drammatico episodio capitato all’imperatore nell’ottobre del 26 mentre stava banchettando in una grotta-ninfeo, che oggi viene identificata con l’antro di Sperlonga. Il crollo improvviso di alcuni massi di pietra aveva provocato la morte di molti dei presenti e avrebbe potuto rivelarsi fatale per lo stesso Tiberio se il prefetto del pretorio Seiano non gli avesse fatto scudo col proprio corpo. Quando i soccorritori un’ora dopo penetrarono nella caverna, la cui entrata era ostruita, lo trovarono illeso ma profondamente colpito da quanto era avvenuto, anche perché qualche ora prima l’astrologo Trasillo gli aveva predetto che verso mezzogiorno sarebbe caduta su lui “un’ora di tenebre”.

Sperlonga. Andromeda

Il prefetto si guadagnò con il suo gesto ulteriori onori e la fiducia illimitata di Tiberio che, ritiratosi pressoché definitivamente da Roma, gli affidò pieni poteri. Seiano ne approfittò per cercare di impossessarsi del regno. C’è da credere che Livia, che nel passato aveva più volte cercato di mettere in guardia il figlio contro Seiano, avesse ragione sul vero carattere del prefetto del pretorio. Fu proprio il fatto accaduto a Sperlonga a convincere Tiberio che Seiano gli fosse, invece, devoto e anzi, da allora, i suoi rapporti con Livia peggiorarono.

Il ritiro a Capri alimentò le voci, riportate da Svetonio, di strani comportamenti privati dell’imperatore (come quello di praticare baccanali tra gli alberi), ma più probabilmente egli si sentiva ormai nella fase del declino e preferiva un clima più salubre di quello romano. In realtà continuò a governare da lontano, tant’è che dopo cinque anni, resosi conto che Seiano, dopo aver eliminato tutti gli avversari a corte, stava tramando per farsi associare al trono, lo denunziò al senato con una lettera che in pratica lo condannava a morte. Dopo l’esecuzione, il cadavere di Seiano fu gettato giù dalle scale Gemonie (dall’alto del Campidoglio). La plebe ne fece scempio per tre giorni. Anche i suoi tre figli vennero giustiziati, compresa la figlia di quattordici anni, che, essendo vergine, venne prima violentata, come riferisce Tacito, perché la legge romana proibiva l’esecuzione di una vergine.

Sperlonga, interno grotta

La madre dei ragazzi per il dolore si uccise.

La visita del sito è estremamente affascinante proprio per questa commistione di storia e di bellezze naturalistiche. La grande grotta naturale, già frequentata in epoca preistorica, conserva ancora oggi parte della ristrutturazione di epoca imperiale (tra cui una piscina centrale quasi circolare, in comunicazione con altre peschiere esterne),

Sperlonga, piscine davanti alla grotta

ma è solo con l’ausilio di un’immagine ricostruttiva che possiamo immaginarcela con il gruppo di Scilla e della nave su un basamento al centro dello specchio d’acqua circolare,

Sperlonga Ipotesi ricostruttiva
Sperlonga, particolare della grotta con Ganimde

il gruppo di Ulisse e Achille (variante del c.d. gruppo del Pasquino) sulla sinistra e il gruppo del ratto del Palladio sulla destra della stessa piscina circolare. In fondo alla grotta sulla destra era il grande gruppo di Polifemo, mentre all’esterno, a ornare l’entrata dell’antro, era collocato Ganimede rapito dall’aquila di Zeus, come evidenziato da una copia.

Sperlonga Villa di Tiberio

Anche questo mito doveva piacere tanto a un imperatore che ambiva alla sua divinizzazione dopo la morte. Ganimede non era certo un eroe come Ulisse, ma era l’esempio lampante della possibilità, data ad un mortale, di raggiungere l’immortalità nell’Olimpo degli dei.

Nica FIORI    Roma giugno 2018