Il “Magister Duilius” Cambellotti: una importante selezione di opere in mostra a Roma (fino al 23 dicembre)

di Mario URSINO

Duilio Cambellotti, il “Magister Duilius Romanus”

Negli storici spazi di via Margutta, 53/A, dove un tempo furono gli “Studi Patrizi”, destinati agli atelier degli artisti e dove persino Picasso ebbe il suo studio per tre mesi, dal febbraio all’aprile del 1917, per lavorare ai costumi, alle scenografie e al grande sipario Parade, per i balletti russi di Diaghilev (di cui ho già scritto su questo magazine in un mio recente articolo), è stata magnificamente allestita una interessante mostra dedicata a Duilio Cambellotti (1876-1960), artista poliedrico e molto versatile in diversi aspetti dell’arte, pittura, scultura, incisione, scenografia, decorazione, e degli  arredi. Una intensa attività svolta dai primi anni del secolo ventesimo, che potremmo definire una sorta di arts and crafts, in stile tra liberty e decó, analogamente a quella del pittore preraffaellita William Morris (1834-1896).

I curatori di questa  rassegna, ancora in corso fino al 23 dicembre, sono due valorosi storici dell’arte, Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, che hanno ripristinato e restaurato elegantemente alcuni ambienti al piano terreno degli storici spazi sopra indicati. E qui possiamo ammirare una selezionata scelta dalla vasta produzione di questo eclettico artista che Gabriele D’Annunzio definì aulicamente “Magister Duilius Romanus”. Definizione coniata dal nostro grande poeta e dettata in occasione del Cambellotti come scenografo, costumista e arredatore di scena per la tragedia La Nave che fu rappresentata al Teatro Argentina di Roma nel 1908.

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Nella dedica che il Vate scrisse sul suo volume La Nave, edito da Treves [fig. 1], si legge: “A Duilio Romano che prodigiosamente trasfigurò le materie vili nel rendere visibile la ricchezza di questo sogno”. A questo proposito, Marco Fabio Apolloni nel suo testo, Io sono Cambellotti, che è anche il titolo del catalogo della mostra [fig. 2], ha scritto: “Tra le materie vili, forse anche la trama, i versi di D’Annunzio, e la porporina trasformata in oro bizantino, e il fasciame della nave, tinta di minio e spalmata di catrame, che fu apparizione indimenticabile e mandò il pubblico in delirio” (cat. p. 13).

La scenografia fu uno degli aspetti creativi tra i più frequentati dal Cambellotti, anche per la precedente amicizia con il valente giovane Alessandro Marcucci (1876-1968), suo coetaneo, che organizzava spettacoli teatrali sulla terrazza della sua casa, con l’ausilio dell’artista. Ma Marcucci era anche un ottimo insegnante e si impegnò moltissimo per l’alfabetizzazione dei poverissimi abitanti nelle paludi pontine, che vivevano in maniera primitiva in quel territorio malarico e privo di ogni assistenza. Cambellotti conosceva bene questa regione derelitta per ragioni artistiche, avendo aderito intorno al 1904 al gruppo dei pittori, i cosiddetti “XXV della Campagna Romana”. In realtà codesto sodalizio era sorto per gaie escursioni domenicali negli spazi luminosi dell’Agro Romano per ritrarre liberamente la natura fuori da ogni canone accademico, per poi riunirsi la sera, al ritorno, in qualche osteria e procedere alla premiazione del dipinto considerato il migliore in quella tornata. Ma Cambellotti, sebbene affascinato dalla flora e dalla fauna (molto) e dal paesaggio di queste terre sì malariche, ma incontaminate, si impegnò anche lui nella bonifica morale e assistenza materiale di quella disgraziata popolazione che viveva ancora in primitive capanne; egli collaborò attivamente con i personaggi dediti a questo scopo per istituire attività sociali e sanitarie e per l’istituzione delle prime scuole rurali; essi erano il dottor Angelo Celli, il giornalista Giovanni Cena, Sibilla Aleramo e naturalmente Alessandro Marcucci. Ha scritto molto su questo argomento lo studioso, e compianto amico, Feliciano Jannella (1921-1992), noto storico locale dell’Agro Pontino

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Nel 1907 i promotori delle scuole incontrarono un uomo che darà mente e cuore per anni e anni alla scuola rurale italiana: Alessandro Marcucci. Favorì l’incontro il pittore piemontese Giacomo Balla, che propose al giovane Marcucci, da due anni insegnante provvisorio in una scuola romana, di prestare la sua opera in una di quelle scuole domenicali che si andavano aprendo nell’Agro […]. In un giorno di settembre del 1907, egli, in compagnia dell’amico Cambellotti, diede inizio all’esplorazione…” (Feliciano Jannella, Giovanni Cena e il suo disceplo Alessandro Marcucci, a cura di Angela e Mariarita Jannella, Roma 1994, p. 51 [fig. 3], cfr. anche Feliciano Jannella, Alessandro Marcucci e i “garibaldini dell’alfabeto”, Cisterna di Latina, 1991, a cura di Adolfo Gente). Si arriva così a dimostrare ufficialmente i primi positivi risultati di questa meritoria azione: nel 1911, in occasione della Grande Esposizione Internazionale che si tenne a Roma per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia. Cambellotti fu autore del manifesto del grandioso evento [fig. 4], e curò l’allestimento della mostra sulle scuole, ricostruendo una tipica capanna delle paludi e disegnò il significativo bozzetto del manifesto della sezione dedicata dall’Agro Romano

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che rappresenta un aratro che sorregge un libro, e sullo sfondo si delineano appunto le capanne (le cosiddette Lestre) [fig. 5]  (ripr. in Jannella, op. cit, p. 84).

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Dell’amicizia del Cambellotti con Marcucci vi è una bella testimonianza nella mostra in oggetto: si tratta di un gesso dell’artista, patinato in terracotta, cm. 20×60, del 1902-1903 [fig. 6], inteso a rappresentare il verso 42 del XXXIII Canto dell’ Inferno dantesco: “Di che pianger suoli”, parole incise anche sul gesso, riferite all’episodio centrale di Ugolino della Gherardesca, che il Marcucci aveva fatto oggetto nel suo testo, Conferenze dantesche, pubblicato a Roma nel 1903; in testa, sul frontespizio, è riprodotto il disegno del gesso (cfr. cat. mostra, pp. 26-27).

Cambellotti, in anni successivi darà prova di essere anche un grande illustratore con la serie delle xilografie per le copertine della rivista “La conquista della terra. Rassegna dell’Opera Nazionale Combattenti”, dal 1935 al 1938, tutte ispirate dal duro lavoro dei braccianti con una efficacia espressiva che sottolinea lo sforzo e la tenacia di quelle genti dell’Agro Pontino [fig. 7].

Sempre nel campo dell’illustrazione notevoli sono gli esempi in mostra, selezionati dai curatori Apolloni e Cardarelli, con i manifesti per il teatro: si vedano il bozzetto per il manifesto di Edipo a Colono,  1948 [fig. 8], una bellissima tempera su carta in tre colori cm. 98×85, dell’Archivio Cambellotti (n. 34 cat., pp. 104-105), o i bozzetti per i costumi per Cassandra, Agamennone e Clitemnestra, 1942 [fig. 9], tempera su carta, cm. 20×48,5 (n. 35 cat,. pp. 106-107); o ancora le Eumenidi di Eschilo del 1948, tempera su carta, cm. 70,3×74, Archivio Cambellotti, potentissima scena sacrificale, come recita l’accurata scheda in catalogo: “è la prima idea del manifesto che include la madre di Oreste, Clitemnestra, ancora sanguinante, accanto al figlio lordo del suo sangue” (Parisi); anche qui il disegno tagliente cambellottiano racchiude vampate di essenziali colori: il marrone, il rosso del sangue e del fuoco divampante, e il verde delle serpi che avvolgono le teste delle Erinni [fig. 10] (n. 36, cat. pp. 108-109).

Di notevole interesse sono anche il disegno preparatorio e la xilografia de Le rovine di Terracina devastata dai bombardamenti del 1943 [figg. 11-12]. Di Terracina, apprendiamo dalla puntuale scheda dell’opera, quanto Duilio Cambellotti tenesse a questa città, descritta nel suo lungo articolo sulla rivista “Storia”, Paesi e Genti di Terracina (1938). Dieci anni dopo, nel 1948, egli “torna in quei luoghi amati, chiamato a restaurare il Monumento ai Caduti del 1920 e fatalmente riunisce in un fermo immagine quei «diversissimi elementi d’arte», che sembrano riemergere dalle loro stesse rovine” (Monica Cardarelli, cat., p. 116).

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Cambellotti è stato inoltre autore di opere monumentali, e vanno ricordati i lavori per la decorazione e gli arredi del Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari, 1931 [fig. 13]; il ciclo pittorico La Conquista della Terra per una Sala del Palazzo del Governo di Latina, 1934, ora sede della Prefettura [fig. 14]; nello stesso anno decora con pitture murali le sale della nuova Prefettura di Ragusa [fig. 15]. Poco noto è sicuramente il grande Studio di vetrata per la Cattedrale di Teramo, 1931, inchiostro su carta lucida, cm. 265×260, presente in mostra [fig. 16], recuperato e restaurato per la cura di Apolloni e Cardarelli. Proviene, mi ha detto la curatrice, dalla collezione di Cesare Maria de’ Vecchi, conte di Val Cismon (1884-1959), uno dei più noti protagonisti negli anni del fascismo. Un recupero davvero importante di un lavoro che altrimenti sarebbe andato perduto. Esso rappresenta, in una fitta trama lineare, l’Assunta tra gli angeli, immersi in una foltissima composizione floreale. A Roma, invece, sono molto note le eleganti decorazioni vetrarie su disegni del Cambellotti,  di gusto floreale, del 1914 [fig17]  per la Casina delle Civette, a Villa Torlonia.

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Ancora vanno segnalati, come esempio di committenza pubblica, gli Studi e disegni per il concorso per la Porta per la Basilica di San Pietro del 1949 (cfr. cat. pp. 122-127) [fig. 18] e i relativi modelli in gesso delle porte e delle formelle [fig. 19], presentati in mostra da Francesco Parisi, già autore di un precedente saggio sulla partecipazione di Cambellotti a detto concorso, pubblicato dalla Galleria Laocoonte nel 2013.

La mostra Io sono Cambellotti, nel sullodato spazio di Via Margutta, della Galleria Laocoonte [fig. 20], era già stata presentata a Sabaudia presso il Museo Emilio Greco dal 19 maggio al 16 luglio 2017, con la presentazione dello scrittore Antonio Pennacchi, le schede dei due curatori, e quelle degli studiosi Anna Maria Damigella, Francesco Parisi e Francesco Tetro.

La versione romana è arricchita da pregevoli esempi di arredi che il Cambellotti esegue con grande gusto e mirabile maestria in un personale stile decó [fig. 21], che ancora una volta stupisce per la sua forza creativa e manualità fuor del comune.

di Mario URSINO    Dicembre 2017