Maestri, suore e donne ricamatrici per l’Abbazia benedettina di San Martino delle Scale. L’apertura al pubblico di due nuovi spazi espositivi

di Elvira D’AMICO

*Si ringrazia la dott.ssa Maria Oliveri per la fornitura di gran parte delle foto.

L’ Abbazia medievale di San Martino delle Scale dei monaci benedettini cassinesi, sita sulle alture che sovrastano la città di Palermo, ha aperto di recente al pubblico due nuovi spazi espositivi, dopo un parziale restauro, secondo l’intendimento del nuovo Abate, il Rev.mo don Vittorio Giovanni Rizzone, di avvicinare un sempre più  vasto numero di fedeli alla spiritualità abbaziale anche tramite la fruizione dei beni storico-artisici in essa contenuti. Il primo è il suggestivo ambiente cinquecentesco dell’antica Spezieria (Figg. 1-2), decorato da singolari pitture murali con figure di aromatari, santi e filosofi dell’antichità che ebbero a che fare con l’arte medica (cerchia di Mario di Laurito?), arredato con una collezione di alambicchi ed albarelli perfettamente replicati da quelli delle botteghe siciliane di un tempo, che furono alienati in seguito alle soppressioni conventuali del 1866 (cfr. il saggio di Rosario Daidone nel prossimo numero di About Art).

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Il secondo è l’ex dormitorio benedettino realizzato dal Marvuglia alla fine del secolo XVIII (Fig.3),

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che accoglie accanto ad opere già note, pubblicate nel catalogo della mostra tenutasi nel 1997 (1), altre meno note o totalmente sconosciute. In quest’ottica si possono ammirare sontuosi repositori d’argento sei e settecenteschi, calici e ostensori rinascimentali e barocchi, antichi corali miniati (Fig.4),

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preziosi reliquiari (Fig.5)

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e dipinti significativi  della committenza artistica dei monaci dal ‘500 al ‘700 (Figg.6-7).

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Pure nell’ambito degli arredi e paramenti sacri (Fig.8),

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assieme a veri capisaldi del patrimonio tessile benedettino, come il piviale quattrocentesco donato dal bay di Tunisi a fra’ Giuliano da Mayali  (2) (Fig.9),

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vi sono opere inedite come la preziosa cappa in velluto nero, con ricami in  oro a palmette e reticolati di stile barocchetto (Fig.10), che reca sulla fibula un delizioso agnello mistico raggiato (Fig.11).

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Non mancano nemmeno parti inedite di parati completi solo parzialmente noti, come il piviale ricavato dal manto nuziale della regina Maria Carolina di Borbone (Figg.12-13), da lei donato ai monaci nel 1800 e uscito verisimilmente dalle fabbriche di San Leucio (3).

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L’esposizione presenta inoltre delle vere e proprie rarità che possiamo ora contestualizzare grazie all’analisi comparata coi documenti d’archivio (4). E’ il caso  della preziosa mitria in seta gialla decorata da grosse pietre semipreziose e perle scaramazze (Fig.14), identificabile con quella ‘rifatta’ nel 1721, con il concorso di diverse maestranze: l’orefice Salvatore Pipi per la fornitura di

“n. 16 pietre crisologhi, amatisti e topazzii,… p.l’oro dell’ingasti di dette pietre… per mastria di detti 16 ingasti e per l’oro a 14 pietre aggiunte nelle 14 gioie antiche e puritura di dette 14 gioie-“ ;

il rivenditore Severino Berocal “per una golera di perle grosse”, il tiratore d’oro “per  spoglo d’oro”, ed infine

Antonino Barone ricamatore per sita e filatura delle dette spoglie e per suoi travagli e attratto per la renovatione della Mitra antica di perle gemmate che fu nuovamente ricamata nel Monastero di S.Teresa”.

L’importante documento ci rivela dunque, per tali manufatti a mezzo tra oreficeria e ricamo, una stretta collaborazione tra svariati artigiani e addirittura tra ricamatori diversamente specializzati: il rinomato Antonino Barone cui spetta probabilmente il nuovo disegno dell’opera e il ricamo in oro e argento filato col motivo della griglia schiacciata, che si ripete sulle infulae, simile a quella che egli apporrà poco dopo sul piviale dell’Abate Bellacera (1723) (5); e le suore palermitane del monastero di S.Teresa, che contornano verisimilmente con perfili di perle le pietre cabochon, le foglie lanceolate, la ‘vasca’ sottostante e i ciuffi arborei delle infulae. Le suore carmelitane di Palermo si vengono così ad annoverare a buon diritto tra le altre religiose siciliane che tra Sei e Settecento effettuavano il ricercato ricamo con perle, in primis le bendettine.

La nuova esposizione inoltre dà modo, tramite un esame ravvicinato, di identificare manufatti ’minori’ ma indicativi della variegata e multiforme committenza dei monaci benedettini nella seconda metà del secolo XVIII, alcuni identificabili con quelli citati nelle carte d’archivio, altri assegnabili a ben precise manifatture del tempo. Nel primo caso rientra l’elegante paliotto ricamato in seta policroma a punto pittura (Fig.15) con una ‘alzata’ centrale ricolma di melagrane, garofani e tulipani, ed altri rami fioriti su tutta la superficie, su cui si posano i simbolici pavoni e colombe, che sembra ispirato a un arazzetto francese di stile Luigi XV.

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Esso, per la libertà dagli schemi compositivi convenzionali, la tecnica esecutiva non omologata che si avvale di giustapposizioni nette di colori, potrebbe ascriversi a una delle manifatture femminili che si affacciavano a quella data all’orizzonte e identificarsi con quello retribuito nel 1779 :

o. 14 pagate alla raccamatrice per prezzo di paliotto riccamato con fiori alla Persiana”.

Non documentato è invece il sontuoso avantialtare in seta cremisi a vistosi motivi fitomorfi alternati a greche e un ovale centrale con stemma vescovile recante emblemi benedettini (Fig.16).

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Non par dubbio che il disegno imperfetto, lo stile ‘ingenuo’ e il luccichio degli ori suggeriscano per esso una manifattura monacale. Infatti la strettissima somiglianza del manufatto con un altro inedito, ascrivibile alle suore benedettine della vicina città di Corleone, ne rivendica con certezza la realizzazione a queste ultime. A ciò fa propendere pure la sigla D.A.M.C. seguita dalla data 1794 sul cartiglio centrale (Fig.17), che potrebbe riferirsi al perduto monastero della Maddalena di Corleone (7).

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Da tale monastero proviene pure il paliotto di raffronto (oggi alla chiesa madre) (Fig.18), che presenta un cartone pressoché identico al primo, tranne che per la raffigurazione centrale contenente simboli eucaristici, ed analoga è pure la particolare tipologia di ricamo rinforzato da larghe fasce in lamiglia dorata a formare il motivo neoclassico delle greche.

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Si può dunque ipotizzare che si tratti di un dono fatto da un alto prelato o dalla stessa Badessa benedettina corleonese del tempo alla vicina Abbazia di San Martino delle Scale per una speciale ricorrenza, ipotesi suffragata dal fatto che nelle pur particolareggiate carte d’archivio del convento non vi è traccia alcuna di una simile commissione, come avviene ad esempio per il coevo baldacchino processionale della chiesa (Fig.19), documentato al 1793: “spesa di o.42 per un baldacchino ed ombrella riccamati”.

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I due nuovi paliotti d’altare peraltro vengono ad accrescere il rinomato patrimonio manifatturiero delle suore benedettine corleonesi, oggi alla chiesa madre della cittadina, caratterizzato da uno stile particolarmente originale nel disegno marcato e nell’utilizzazione di perle scaramazze accanto ai consueti filati preziosi fino al Settecento inoltrato (9) (Fig.20), caratteristiche che si riscontrano su altre loro opere rimaste a tutt’oggi inedite (Fig.21).

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di Elvira D’AMICO  Palermo 2 Luglio 2023

NOTE

1.cfr. L’eredità di Angelo Sinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, a cura di M.C.Di Natale e F.Messina Cicchetti, Palermo 1997
2.R.Civiletto-M.Vitella, Catalogo dei paramenti sacri, n.1, in L’eredità…, 1997, cit.
3.R.Civiletto-S.Lanuzza, Catalogo…, n.43, in L’eredità…, 1997, cit.
4.v.Regesto di documenti inediti, in L’eredità…, 1997, cit., pp.304-318
5.E.D’Amico, Un disegnatore di drappi nella Palermo del XVIII secolo, in “Jacquard”, Fondazione Arte della seta Lisio, n. 42. 2000, pp.2-3
6.R.F.Margiotta, Il complesso monastico di Santa Maria Maddalena di Corleone, in Sacra et Pretiosa.Oreficeria dai monasteri di Palermo Capitale, a cura di M.C. Di Natale et alii, Palermo 2019, pp.201-213
7.E.D’Amico, Corleone. Catalogo opere, II,15-20, in Gloria Patri. L’arte come linguaggio del sacro, a cura di G.Mendola, Palermo 2001