Lo straordinario ritrovamento delle statue bronzee a San Casciano dei Bagni. Parla Jacopo Tabolli: “L’unica possibilità di condurre uno scavo del genere è l’interdisciplinarietà”.

di Lori FALCOLINI

Nel santuario ritrovato del Bagno Grande a San Casciano dei Bagni (SI) riemerge il più grande deposito di statue in bronzo rinvenuto nell’Italia antica

“Nella prima delle Epistole (I, 15), il poeta latino Orazio racconta che il suo medico personale, Antonio Musa, piuttosto che nei bagni nella splendida Baia, nei Campi Flegrei, gli avrebbe consigliato di curare i dolori alla testa e allo stomaco presso le aquae Clusinae, le fonti di Chiusi… Qui, l’estate del 2020 ha portato alla luce un nuovo ed eccezionale complesso, che fu forse parte delle aquae Clusinae consigliate a Orazio: il Bagno Grande di San Casciano dei Bagni. Non ci troviamo di fronte solo a un grande impianto termale come in altri casi nel territorio, ma a un vero e proprio santuario”.

(da Gli dèi dal fango di Emanuele Mariotti e Jacopo Tabolli, Inserto- Archeo n. 434, 2021).

Dalle prime ricerche nel 2018, gli scavi archeologici di San Casciano dei Bagni e Bagno Grande diretti da Emanuele Mariotti con il coordinamento scientifico di Jacopo Tabolli, hanno portato alla luce, in un lungo percorso di ricerche interdisciplinari ancora in corso, le vestigie di un complesso termale di età etrusca e romana rivelatosi un vero e proprio santuario dedicato al culto delle acque, con il ritrovamento di tre altari di età imperiale con dediche ad Apollo, Fortuna Primigenia e Iside, una statuetta in marmo raffigurante Igea e la presenza di orecchie ed altri ex voto nella vasca sacra.

Carletti – Basilissi – Salvi – Mariotti – Tabolli

L’ultimo straordinario ritrovamento, nell’ottobre 2022, consiste in migliaia di monete, oggetti votivi e 24 capolavori di toreutica deposti sul fondo della vasca probabilmente al momento di una dismissione della vasca più antica, alla metà del I secolo d.C.. I materiali in lega di bronzo del II e I sec. a.C. emersi dal fango caldo che ne ha consentito la perfetta conservazione, attraverso le iscrizioni in lingua latina ed etrusca “fotografano” un’Etruria in dialogo con il processo di romanizzazione. Le iscrizioni dedicatorie raccontano una “koinè toreutica e culturale ellenistica dell’Etruria interna” (Jacopo Tabolli) legata alla sacralità del luogo e ad un santuario che riuniva in una convivenza pacifica etruschi e romani in un periodo storico spesso di grande conflittualità tra le due comunità.

Questo santuario ha continuato ad essere attivo per lunghissimo tempo.

Il santuario in corso di scavo

Gli scavi archeologici di San Casciano dei Bagni con tutti i ritrovamenti attuali e pregressi fanno luce su un periodo di circa 700 anni arrivando fino agli inizi del V secolo d.C., epoca di profondi mutamenti religiosi e sociali nel territorio di Chiusi. I reperti verranno esposti in un nuovo museo grazie all’acquisto da parte del Ministero della Cultura di un palazzo cinquecentesco nel centro storico di San Casciano dei Bagni.

Jacopo Tabolli

About Art ha chiesto al prof. Jacopo Tabolli, etruscologo dell’Università per Stranieri di Siena, coordinatore scientifico degli scavi archeologici di San Casciano dei Bagni (Santuario Etrusco e Romano al Bagno Grande) e promotore di un approccio multidisciplinare all’archeologia sul campo, qual è l’importanza dei ritrovamenti e che novità comportano per lo studio e la maggiore conoscenza dei rapporti tra Etruschi e Romani.

-Prof. Tabolli, cominciamo dall’inizio, dall’orto incolto acquistato dal comune di San Casciano su proposta di un team di archeologi. Un’intuizione ? o già sapevate attraverso le nuove tecnologie utilizzate in archeologia cosa poteva esserci in profondità?

R: L’orto abbandonato, prossimo alle vasche medicee, in realtà non aveva dato segnale dal punto di vista geofisico nell’ambito delle campagne di survey condotte nel 2018. Dalla siepe che separava il campo dalle vasche di acqua calda ancora in uso si vedevano affiorare due colonne. Non erano in realtà nella posizione originaria bensì riposizionate da un contadino a dieci piedi romani di distanza dal muretto a secco, ma a noi sono apparse come una testimonianza tangibile del passato archeologico del territorio, preservato solo dal toponimo del luogo: “il Podere Montesanto”. Così abbiamo pensato che questo orto potesse essere il luogo dove approfondire lo scavo. La fortuna ha voluto che lo scavo in questo orto abbandonato abbia portato alla luce il santuario intatto.

-Che significato ha la collocazione del santuario di San Casciano rispetto al territorio?

R: Ci troviamo a sud del territorio di Chiusi; la città stato aveva certamente un confine aperto a sud verso Orvieto da una parte e Vulci dall’altra, quindi la Val di Paglia possiamo intenderla come una cerniera. Al territorio di Chiusi si accedeva da sud attraverso il fiume Paglia, passando i fines clusinorum. I santuari di confine- e questo di San Casciano è uno dei santuari nel confine di Chiusi-  facevano un po’ da biglietto da visita di Chiusi verso le realtà marittime come Vulci, e, Orvieto che in età classica e con l’avvicinarsi della romanizzazione fu la sede in cui si riuniva la federazione delle dodici città, presso il santuario del Fanum Vultumnae. In realtà quello del Bagno Grande è soltanto uno di forse quattro o cinque santuari nel territorio di San Casciano dei Bagni tutti legati all’acqua termo-mineralogica. San Casciano ha oltre 40 sorgenti di acqua calda e sei di queste, che sono le più interessanti dal punto di vista idro-geologico anche se a differenti temperature, sono associate ad un deposito archeologico. Questo è il motivo per cui Etruschi e Romani, sulla base dell’effetto terapeutico dell’acqua, avevano selezionato alcune di queste sorgenti e le avevano poste sotto controllo sacrale.

Il santuario durante gli scavi

-La presenza dell’acqua era quindi fondamentale per la sacralità del luogo e per la ritualità riparativa delle malattie.  

R: La scelta del luogo sacro si basa principalmente sulle caratteristiche chimico-fisiche delle acque termo-mineralogiche. Questa è una costante di tanti santuari. Al Bagno Grande osserviamo come l’insieme di pratiche mediche che si associavano alle acque termali furono almeno dal II secolo a.C. poste sotto la protezione divina.

-Il santuario e le officine in cui venivano costruite le statue in bronzo, gli ex voto- l’indotto religioso se possiamo chiamarlo così- costituiva un’area fuori dai conflitti, una “koinè toreutica e culturale ellenistica dell’Etruria interna”.

R: Certamente. Il santuario è un grande luogo dove si fa contrattazione di appalti, funziona come una banca per la tesaurizzazione sacra, è anche e soprattutto luogo di mercato. L’indotto religioso è economico, sociale, politico; il santuario è un luogo d’incontro per eccellenza. Così il valore di luogo di incontro e di scambio si lega alla medicina termale. È plausibile che qui avvenissero effettive pratiche mediche. Lo strumentario medico che noi troviamo deposto all’interno del santuario dà l’idea che lì ci fosse una prassi consolidata. Occorre ribadire come nella grande vasca votiva – dove c’erano le offerte – i fedeli non si bagnavano, però intorno è molto probabile che ci fossero altre piscine dove avveniva il bagno sacro ma anche di chi andava a curarsi al santuario.

-Mi ha colpito, in molte statue votive ritrovate, il motivo delle braccia alzate. Erich Neumann nel volume La grande Madre, a proposito delle rappresentazioni del femminile archetipico nel neolitico dice che “la dea con le braccia alzate” esprime un’intenzione magica che viene poi conservato nelle statue votive come preghiera o invocazione.

R: Sono interpretazioni – peraltro difficilmente sostenibili – che ancor più in questo caso non possono essere applicate (sarebbe una forzatura interpretativa!). Qui occorre fare un’analisi di ordine contestuale: le braccia alzate votate nel santuario sono molto più banalmente espressione dell’arto che deve essere curato – per problemi come l’artrosi per esempio- e sono anche il gesto dell’offerta stessa, come spesso avviene in molti contesti dell’Italia preromana. Qui, la differenza grossa è che chi compie l’offerta appartiene ad una élite territoriale di alto livello e quindi l’offerta rappresenta anche un valore economico.

-Escludete quindi culti magici in questa zona nonostante la presenza di Iside tra le divinità.

R: Ci sono sicuramente culti magici però dipende da quale quota archeologica analizziamo. In questa prospettiva, l’elemento fondamentale è l’acqua, mentre le variabili sono le divinità. La religione antica non va intesa solo in senso istituzionale, non può essere letta solo in base alla divinità che in un dato momento è venerata ma occorre assumere anche la prospettiva della Living Ancient Religion, ossia, è molto più interessante andare a vedere i gruppi sociali, i singoli fedeli, le loro azioni. In questo senso, anche le tracce “magiche” – ma di una fase cronologica molto successiva – come le piccole lamine defixiones, le maledizioni, – pensate, ad esempio, a quelle trovate nella fontana di Anna Perenna a Roma – costituiscono un’altra sfumatura del racconto di insieme rituale e cultuale presso la fonte termale.

-Quanto è importante in questo scavo archeologico la presenza di un team internazionale e multidisciplinare?

R: L’unica possibilità di condurre uno scavo del genere è l’interdisciplinarietà, non abbiamo un’altra strada. Qui ci sono tanti campi diversi che s’incontrano. L’importanza di questo contesto non risiede soltanto ovviamente nelle meravigliose statue che abbiamo trovato ma nel fatto che abbiamo nel team botanici, epigrafici, numismatici, geologi, esperti delle acque e della parte medico terapeutica. In questo consiste la vera fortuna dello scavo.

-Non si possono sottrarre le statue alla complessità del contesto a cui appartengono.

R: Non si deve.

Lori FALCOLINI  Roma 4 Dicembre 2022