L’immagine della Sindone e il lenzuolo del Salterio di Utrecht: una lettura iconografica che contrasta l’idea del manufatto artistico

di Domenico REPICE

Domenico Repice, Cappellano Università Niccolò Cusano. Rettore della Chiesa di Santa Maria Immacolata all’Esquilino. Ha conseguito la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana, nell’anno accademico 2008-2009 con una tesi dal titolo Dall’immagine al Volto. Un percorso teologico nel solco di sant’Ireneo verso una rinnovata pratica dei sacramentali.Ha conseguito il Joint Diploma in Ecologia Integrale a partire dalla “Laudato si”, con una tesi dal titolo Ecologia Integrale e disabilità (in collaborazione con l’ing. Marco Bozzetti e l’ing. Riccardo De Simone) presso Pontificia Università Gregoriana in collaborazione con le altre pontificie Università di Roma, Anno Accademico 2017-2018. Ha conseguito il Dottorato in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana, nell’Anno Accademico 2019-2020 con una tesi dal titolo L’Icona del Sabato Santo. Il mistero dell’Acheropita e la luce della Sindone. Fondatore e animatore dell’associazione In Novitate Radix www.innovitateradix.it, ha al suo attivo alcune pubblicazioni inerenti la Sindone e l’iconografia cristiana. Ha collaborato all’organizzazione di vari convegni e seminari e offre corsi, conferenze e lezioni su queste tematiche.

Il Salterio di Ütrecht: un manoscritto carolingio del IX secolo.

Se l’immagine, misteriosa e affascinante, impressa sulla Sindone sia quella di Gesù Cristo è una questione ancora aperta. Il dibattito intorno all’immagine presente sul lenzuolo conservato a Torino assume contorni interessanti quando i partecipanti (scienziati, ricercatori, accademici, studiosi) portano argomenti significativi a sostegno delle loro tesi, ma diviene noioso se, ciclicamente, vengono ripresentate come possibili (o addirittura come indiscutibili) delle affermazioni che, oramai da tempo, le ricerche hanno abbondantemente smentito.

A dire il vero le acquisizioni scientifiche a sostegno del fatto che quell’uomo sia veramente il Gesù di cui si parla nei vangeli non sono poche. Tuttavia non ha molto senso lasciarsi prendere dall’entusiasmo, in ordine al tema della fede perché, qualora si stabilisse con certezza inoppugnabile che il lenzuolo sindonico sia effettivamente il telo funerario che ha avvolto Gesù quando venne calato dalla croce e semmai si decidesse di fare delle dichiarazioni ufficiali in tal senso, tutto ciò non darebbe necessariamente seguito a un’adesione di massa al cristianesimo o al cattolicesimo.

Il tema della Sindone è e rimane anzitutto (ma non solo) di carattere scientifico. È un dato certo che l’immagine presente sul lenzuolo sia il risultato di un qualcosa che le scienze, a tutt’oggi, non sappiano spiegare. Nessun tentativo di riproduzione in laboratorio ha saputo ricreare contemporaneamente tutte le caratteristiche microscopiche di quella immagine. Fra queste peculiarità ce n’è una che spazza via definitivamente l’ipotesi che l’immagine possa essere il risultato della perizia di un’artista medievale che, con il proprio finissimo pennello e utilizzando dei pigmenti di ocra, avrebbe realizzato un’opera di un realismo anatomico da far invidia persino a Caravaggio: sul retro del lenzuolo, infatti, come dimostrano anche le fotografie realizzate nel 2002 durante l’intervento di eliminazione delle toppe e delle bruciature cinquecentesche, l’immagine dell’uomo non c’è. La si può cercare all’infinito, ma non c’è traccia di un corpo umano.

Qualora il corpo martoriato, visibile nel verso da sempre conosciuto e anche recentemente ammirato nell’ostensione televisiva del Sabato Santo del 2020, sia quello del Cristo dei vangeli è legittimo ipotizzare che Gesù non abbia lasciato la sua impronta su quel Telo per caso e che non ci si trovi di fronte a una distrazione divina. Pur non chiamandola miracolo, in ossequio convinto alla serietà del dibattito scientifico, appare altrettanto irriverente liquidare la Sindone come qualcosa di facilmente riproducibile con tecniche conosciute nel medioevo. Sia perché i tentativi di riproduzione, estremamente interessanti, risultano ambivalenti, ambigui e in taluni casi completamente inaffidabili, sia perché, pur rimanendo saldi nelle proprie convinzioni, non si può scivolare, come è accaduto, in affermazioni che rasentano il ridicolo o, peggio ancora, tendono a denigrare e offendere chiunque ritenesse legittimo sostenere tesi autenticistiche. Numerose e non partigiane ricerche scientifiche hanno dimostrato, infatti, che l’immagine porta con sé caratteristiche tali da farla comprendere nella antica (e discussa) categoria delle acheropite, immagini non fatte da mani d’uomo.

L’immagine, per secoli balbettante, ha iniziato a parlare con una certa eloquenza dal 1898, forse proprio per comunicare al mondo contemporaneo, post-moderno, post-illuministico e post-ideologico, al mondo nel quale la società sussiste soprattutto per la comunicazione di immagini, piuttosto che per quella verbale, sempre più rarefatta e dominata dal vuoto e dalla insignificanza.

L’immagine dell’Uomo della Sindone comunica pace e serena ieraticità, ma anche sofferenza, dolore, tormento. Si mostra solenne, ma deformata, contorta e rassicurante. Esprime la lotta inevitabile e incredibile che l’uomo affronta con la morte e con i suoi derivati. Una lotta interiore, che impedisce di vivere e condiziona tutte le azioni. Ipotizza anche la sconfitta della morte, rappresentata ed evidenziata dalle ferite, dal sangue e dalla rigidità cadaverica, ma anche sfuggente per l’assenza, sul Telo, della sua conseguenza più nefasta e immediata: la corruzione del corpo. “Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione, mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza”, canta il salmo 15 nella liturgia della Veglia Pasquale.

Il testo del Salmo viene illustrato anche dalla scena della Resurrezione in una mirabile rappresentazione grafica, visibile nel Salterio di Ütrecht, dove alcuni elementi letterari presenti nei quattro vangeli vengono sinteticamente descritti.

Nell’antica Grecia Salterio era il nome generico dato agli strumenti a corde pizzicate direttamente con il movimento delle dita della mano e senza l’utilizzo di un plettro. Nella liturgia ebraica lo stesso tipo di strumento era ampiamente utilizzato e accompagnava il canto delle preghiere che per questo motivo presero il nome di Salmi. Il libro dei Salmi, soprattutto nel suo uso liturgico, sarà successivamente chiamato Salterio e, nel corso del tempo, ne sono stati realizzati innumerevoli esemplari.

Il Salterio di Ütrecht è il più famoso dei codici miniati carolingi ed è una delle opere d’arte più importanti del primo medioevo. È di proprietà della Universiteitsbibliotheek della famosa città olandese con il codice di conservazione MS Bibl. Rhenotraiectinae I Nr 32.

L’opera risalirebbe al IX secolo ed è fra le più importanti della miniatura carolingia anche perché venne realizzata in un momento di grande rinnovamento con ogni probabilità nello Scriptorium dell’abbazia di Hautvillers nella diocesi di Reims fra l’816 e l’835. Reims è una città importante della storica regione del nord-est della Francia, la Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena e non solo per essere il capoluogo non ufficiale della regione vinicola, ma soprattutto per la sua importanza nella storia di Francia. Se l’arco trionfale del III secolo, la Porta di Marte, ricorda il ruolo svolto dalla città in epoca romana, ancora più significativa è la cattedrale di Notre-Dame, nella quale, per più di mille anni, furono incoronati i re francesi.

Il prezioso volume sarebbe stato commissionato dall’Abate e arcivescovo Ebbone, poco prima di essere deposto. Egli fu una figura di spicco nel panorama politico all’indomani della morte di Carlo Magno (814) e importantissima per il rinnovamento della miniatura carolingia per aver raccolto libri di ogni genere ed epoca, oltre a radunare validi artisti e miniatori in grado di operare tale rinnovamento.

Le caratteristiche del manufatto sono significative: eccellente qualità della pergamena (92 carte di pelle di vitello lavorate magistralmente); grande formato (33×25 cm circa); l’utilizzo di un tipo di carattere – la capitale rustica – caduto in disuso nel periodo carolingio; lo stile che sembra alludere a una precedente tradizione tardo antica.

Prodotto nel periodo della cosiddetta rinascenza carolingia, un tempo di assestamento culturale, ma anche di grande floridezza, in cui una delle grandi novità è rappresentata dall’uso della carolina, un carattere unico imposto per dare uniformità alla scrittura.

Non essendo il Salterio di Ütrecht un manoscritto canonico, ma qualcosa di pregiatissimo e di particolare al di fuori delle regole coeve, e non avendo un uso quotidiano, alcuni ricercatori ritengono sia un prodotto di lusso avente lo scopo di dare lustro al possessore. La tesi troverebbe conferma nell’utilizzo di un carattere antico e classico teso ad aumentare il prestigio e il valore del testo. L’opera contiene una serie di illustrazioni a inchiostro, almeno una per ogni salmo, assai interessanti, nelle quali si nota un’innovativa vitalità espressiva, e l’utilizzo di un segno grafico dinamico e virtuoso unitamente a uno stile narrativo efficace e sintetico.

Il Salterio Medievale è documentato come testo autonomo a partire dal VI secolo, ma non pochi studiosi ritengono che esistesse separatamente dagli altri testi biblici già a partire dal IV secolo e non solo per uso liturgico. Il Salterio di Ütrecht, per l’originalità espressiva e per le scelte iconografiche ancora in via di stabilizzazione, potrebbe essere dunque una versione di lusso per un committente.

Ciascun salmo è stato illustrato con disegni a inchiostro marrone. La composizione illustrativa risulta essere una poetica traduzione del testo in immagini concrete simbolico-narrative, ma anche metaforiche e allegoriche, come la rappresentazione del diavolo in gonnellina, la più antica conosciuta. Le figure furono realizzate con grande rapidità e maestria, con pochi tratti e curando soprattutto l’inserimento paesaggistico: tutto sembra essere in movimento, dalla natura ai gesti e alle espressioni delle singole figure che brulicano nelle scene quasi nervose con le tuniche svolazzanti agitate dal vento. Lo stile, dinamico ed espressivo, pur derivando certamente dai modelli antichi, ha, allo stesso tempo, un tratto originale che ha catturato l’immaginazione di molti artisti successivi.

Tra il 1000 e il 1200 il manoscritto si trova certamente in Inghilterra, nello scriptorium della biblioteca della cattedrale di Canterbury. In quella sede è studiato e consultato e il suo preziosissimo apparato decorativo preso a modello per le decorazioni miniate di altri manoscritti.

In particolare se ne conoscono tre in cui però le decorazioni monocromatiche prendono vita e colore e sono, a volte, inserite all’interno di cornici di contenimento. Il Salterio Harley (Londra, British Library, Harley Ms. 603), forse la prima copia realizzata in Inghilterra nel primo quarto dell’XI secolo, poco prima della conquista normanna. Al Trinity College di Cambridge è conservato il Salterio di Eadwine (Ms. R.17.1) la cui decorazione è datata agli anni sessanta del XII secolo, in un periodo in cui senza dubbio il Salterio di Ütrecht si trovava ancora a Canterbury. Il nome del Salterio lo si deve a uno dei suoi decoratori, il monaco Eadwine, che si è rappresentato all’interno di una miniatura nell’intento di decorare il manoscritto definendosi scriptorium princeps. Nella Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi è invece conservato il Salterio di Parigi (Ms. Lat. 8846), datato alla fine del XII secolo. In questa opera si trovano però numerosi cambiamenti rispetto ai precedenti in quanto la decorazione riflette pienamente il cambiamento culturale e artistico avvenuto con l’avvento del Gotico. L’opera è chiamata anche Salterio Anglo-Catalano in quanto la  decorazione venne completata nel XIV secolo, con uno stile molto differente, al tempo della permanenza del volume in Spagna.

In seguito alla soppressione dei monasteri e dopo aver viaggiato per l’Inghilterra, il Salterio di Ütrecht divenne di proprietà privata e per un certo periodo fu conservato nella biblioteca di Robert Cotton. Venne poi acquistato dall’olandese Willem de Ridder, originario di Ütrecht, che infine lo donò all’Università della sua città nel 1716. Il capolavoro è oggi esposto nel museo del Catherijneconvent ad Ütrecht.

L’arte della miniatura era molto importante al tempo di Carlo Magno, probabilmente la manifestazione artistica più significativa, proprio per il grande interesse che il sovrano e i suoi successori dimostrarono per l’arte del libro. Le tecniche impiegate sono la pittura a guazzo o il disegno a penna. Esisteva una scuola di corte attiva ad Aquisgrana, alla quale vengono attribuiti vari manoscritti. Nell’ambito di questa scuola si sviluppò un nuovo stile strettamente legato alla tradizione pittorica del mondo classico e volto ai valori pittorici più che a quelli calligrafici, stile che è continuato principalmente dalla scuola di Reims, nella quale venne eseguito il nostro magnifico Salterio.

Recentemente il Salterio di Ütrecht è stato inserito nel prestigioso registro Memory of the World, dell’Unesco.

I Paesi Bassi lo considerano il fiore all’occhiello delle loro opere per quello che riguarda i manoscritti medievali per l’importanza e l’influenza che questo capolavoro ha fornito, il cui stile è precedente di un secolo a lavori simili compiuti in Francia e Regno Unito.

Molte però sono ancora le domande intorno al manoscritto. Il fatto che i disegni non siano colorati consente di ipotizzare che il lavoro in realtà non sia mai stato interamente completato. Sembra altresì strano che il tipo di personaggi raffigurati siano quelli risalenti all’epoca latina, cosa poco frequente nei libri dei Salmi di quel periodo. Per alcuni ricercatori pure le origini del manoscritto sono incerte anche se l’ipotesi più accreditata è che possa risalire attorno al IX secolo. Per alcuni non sono del tutto chiare nemmeno le ragioni per cui venne realizzato, tanto che si ipotizza che, a causa del carattere di incompiutezza, possa essere stato utilizzato per fini didattici e per insegnare ai giovani monaci come realizzare i Salmi. Altri studiosi ritengono che un’opera del genere, quasi monumentale, non possa essere stata realizzata da un’unica persona, ma da un’equipe di artisti tra copisti e decoratori, alternatisi nella sua produzione. Ciò che invece appare indiscutibile è che l’impaginazione del testo e delle illustrazioni sia stata architettata e studiata nel dettaglio, molto prima di cominciare a mettere mano sulla pergamena, tanta è la precisione e la regolarità con cui si susseguono scrittura e decorazione miniata nel corso delle 92 carte che compongono il testo.

L’illustrazione del Salmo 15 ha al centro la scena della Resurrezione.

Tre donne (le mirofore) sono fermate da un angelo seduto su una pietra ribaltata davanti all’entrata del sepolcro di Cristo. Le ali dell’angelo sembrano ancora muoversi quasi che l’essere spirituale sia da poco planato sulla pietra. Il sepolcro è rappresentato come un edificio alla cui sommità è posta una cupola, forse per ricordare l’edicola della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. L’interno della tomba sepolcrale è visibile.

L’interesse per lo studio della Sindone è nella particolarità di questa raffigurazione. L’immagine del lenzuolo all’interno della tomba aperta e ormai svuotata del cadavere – l’angelo annuncia che il morto non è più in quel luogo –  in realtà sembra ancora raffigurare un cadavere. Quella che è disegnata, però, è solo la sagoma di un volto (e di parte del corpo) avvolto dal lenzuolo. Il confronto tra i tratti somatici dei volti delle tre donne e quelli del Volto del Cristo nella tomba non lasciano molti dubbi.

 

 

 

Quale era dunque l’obiettivo dell’artista? Quello di raffigurare all’interno della tomba ancora il Cristo defunto? Ma come è possibile questo? L’angelo sta annunciando la Resurrezione avvenuta, la tomba è aperta ed è evidente che il contesto descritto sia quello della Domenica di Pasqua. Il Salmo 15, che la scena della Resurrezione deve descrivere e spiegare, è profezia della Resurrezione del Messia. Quindi l’artista che cosa sta rappresentando? Ciò che si vede all’interno della tomba è in realtà il lenzuolo, la sindone di cui parlano i vangeli, il telo comprato da Giuseppe d’Arimatea con il quale insieme a Nicodemo egli ha avvolto il cadavere di Gesù dopo averlo calato dalla croce, svuotata però del suo contenuto. La corretta esegesi del vangelo di Giovanni, in riferimento alla visione che il discepolo amato ebbe una volta entrato nella tomba, sembra accordarsi con quanto si osserva sul Salterio di Ütrecht. I teli funerari poggiati, anzi come afflosciati, su loro stessi.

La suggestiva ipotesi derivata da un manoscritto medievale del IX secolo, e studiata dal prof. Gino Zaninotto negli anni Novanta del secolo scorso, va approfondita dalle ricerche che esperti potranno compiere, ma non appare azzardato e illegittimo ipotizzare che il miniaturista, e tutto l’ambiente monastico nel quale il Salterio di Ütrecht venne realizzato, avendo una effettiva dimestichezza con le lingue antiche e coi testi sacri abbia potuto tranquillamente realizzare graficamente quello che il testo giovanneo esprime con le parole. Il lenzuolo si trova esattamente nel modo in cui era quando conteneva il cadavere di Gesù ma, a causa dell’avvenuta Resurrezione, è svuotato del martoriato ospite che ha avuto il privilegio di accudire per circa 36 ore.

Molte immagini (manoscritti, icone, affreschi)  nel corso del tempo hanno rappresentato il particolare del racconto della Resurrezione in modo simile.

Si segnala la bella immagine del XII-XIII secolo conservata in Iran al s.Isfahan-Mus.-armeno-ms.arm_.-404-f.5r-825×1024-1:

l’affresco del monastero di Mileševa in Serbia del XIII secolo:

Dalle acquisizioni scientifiche derivate dalle ricerche sulla Sindone si può concedere cittadinanza all’ipotesi della totale mancanza di manomissione soprattutto per le nitidezza delle macchie di sangue. La Sindone ha certamente avvolto un cadavere che, dopo circa 36 ore, ha “abbandonato” il lenzuolo. Non sono visibili, né tantomeno deducibili, tracce sul reperto archeologico che possano far pensare l’intervento di qualcuno che abbia spostato il cadavere da quel luogo. Appare altresì senza senso che invece di portare via il cadavere con tutto il suo avvolgimento costui (o costoro) abbia avuto l’idea di lasciare il lenzuolo nella tomba per portare via il morto interamente denudato.

L’ipotesi che il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo ed è rappresentato nel Salterio di Ütrecht sia rimasto svuotato dal suo contenuto trova quindi una conferma sia da una corretta esegesi del testo della Scrittura, quanto da ciò che è possibile conoscere dalle misurazioni scientifiche fatte sulla Sindone.

Forse la Sindone di Torino potrebbe essere realmente il lenzuolo di cui parlano i vangeli e che il Salterio di Ütrecht descrive in modo così originale? Lasciamo che gli studiosi, ciascuno nel proprio ambito e anche in un lavoro sinergico, si dedichino a questo lavoro. Plausibile è però ritenere, anche alla luce di queste semplici acquisizioni iconografiche, che sia ormai impossibile e fuori luogo, descrivere l’immagine sindonica come un manufatto artistico medievale, o di qualsiasi altra epoca.

É possibile sfogliare il salterio di Utrecth:

https://web.archive.org/web/20150405035915/http://www.utrechtpsalter.nl/

Domenico REPICE   6 maggio 2020