Le fonti siciliane di Caravaggio. Vincenzo Mirabella, l’orecchio di Dioniso e Caravaggio: una dichiarazione di naturalismo.

di Valentina CERTO

Iniziamo con questo articolo, la publbicazione dei contributi che la studiosa siciliana Valentina Certo (Messina 1989) ha acquisito e sta acquisendo circa i testi che riguardano le fonti siciliane di Caravaggio. Il progetto che comprende più articoli fa riferimento alle seguenti fonti commentate (e talvolta confutate): Vincenzo Mirabella, Placido Samperi, Ippolito Falcone, Francesco Aprile, Caio Domenico Gallo, Philippe Hackert e Gaetano Grano, Gaetano Grosso Cacopardo, Agostino Gallo. Iniziamo la serei con un saggio su Vincenzo Mirabella, accademico dei Lincei, che com’è noto ebbe la ventura di consocere direttamete il Merisi e di accompagnarlo nelle  famose latomie siracusane.

 

1. Ottavio Leoni, Ritratto di Caravaggio, 1621, Biblioteca Marucelliana, Firenze.

La prima attestazione di Caravaggio in Sicilia è quella di Vincenzo Mirabella, testimone diretto e oculare, che il pittore incontra a Siracusa nel 1608, subito dopo la fuga con infamia, come membro “putrido e fetido”, da Malta.

Caravaggio arrive sull’isola, probabilmente, nel mese di ottobre: sappiamo che in un verbale del Concilio dell’Ordine di Malta, riunitosi il 6 ottobre 1608, si chiedeva a due cavalieri di seguire le tracce del pittore fuggito dalla prigione del forte Sant’Angelo. A Siracusa, aveva una vecchia conoscenza, l’amico dei suoi primi anni romani, il pittore Mario Minniti. Qui, il senato della città, come scrisse lo storico e biografo messinese Francesco Susinno[1], gli affidò la commissione di una pala d’altare con Santa Lucia per l’altare maggiore della chiesa extra moenia di Santa Lucia al Sepolcro, luogo di sepoltura della santa, situata fuori dalla cittadella medievale di Ortigia. Susinno ipotizza anche un interessamento diretto da parte del Minniti, che si adoperò per procurare a Caravaggio la commissione presso il Senato.

Il dipinto[2] non rappresenta nè la gloria, né l’esaltazione del martirio ma il momento del seppellimento. In uno spazio vuoto che  fa da sfondo, Santa Lucia è raffigurata senza vita, accasciata sulla nuda terra, con un taglio in gola. La scena è desolante e tragica, attorno a lei frustrazione e pianto: una donna inginocchiata con le mani al volto, la folla che guarda incredula. Non ci sono la palma del martirio, l’intervento divino e salvifico o gli angeli per pensare a una scena ultraterrena. Il dramma è amplificato dalla luce, che esalta i lineamenti contratti dei presenti e il dolore, mentre due becchini, con espressioni assenti, stanno già pensando alla sepoltura di questa giovane donna, ultima tra gli ultimi.

2. Caravaggio, Il Seppellimento di Santa Lucia, 1608, Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, Siracusa.

Vincenzo Mirabella, storico e archeologo, membro dell’Accademia dei Lincei dal 1614, autore della Pianta delle antiche siracusae (Dichiarazioni della pianta dell’antiche Siracuse, e d’alcune scelte medaglie d’esse, e de’ Principi che quelle possedettero, descritte da Don Vincenzo Mirabella e Alagona cavalier Siracusano), pubblicata a Napoli nel 1613, scrive a proposito dell’incontro con Michelangelo Merisi e della loro visita presso le latomie siracusane, dette del Paradiso, a pag. 89 del libro, nel capitolo “Prigione di Dionigi detta la picidine”.

 Si legge: “Oggi detta Prigione si vede in essere, e chi ben considera l’artificio, e l’industria, con la quale dal Tiranno fù fatta, affine che i prigioni che in quella stavano, non potessero né anco fiatare, che dal custode non fossero sentiti, è forza che l’ammiri, e si stupisca. E mi si ricorda che avendo io condotto vedere questa carcere quel Pittore singolare dé nostri tempi Michel Angelo da Caravaggio, egli considerando la fortezza di quella, mosso da quel suo ingegno unico imitatore delle cose della natura, disse: Non vedete voi come il Tiranno per voler fare un vaso che per far sentire le cose servisse, non volse altronde pigliare il modello, che da quello, che la natura per lo medesimo effetto fabricò. Onde ei fece questa Carcere a somiglianza d’un Orecchio. La qual cosa sì come prima  non considerata, così dopo saputa ed esaminata, ha portato a più curioso doppio stupore. Ella è in vivo sasso incavata, che volteggiando si và à terminare in uno stretto canale posto dalla parte di sopra, qual canale uscendo per un buco fuori, nella stanza del custode, che stava sopra fabricata, era forza ch’ogni picciolo movimento scorrendo l’aria ripercossa in quel canale, nell’ultimo pertuggio s’avesse avuto à sentire. Oggi mancandovi il muro che otturava la bocca dinanzi non và la voce al canale sudetto, ma dalla medesima bocca uscěndo, fa un mirabile, e artificioso Ecco, qual luogo oggi per lo rimandare che fa della voce vien chiamato Grotta della Favella.”

Ritratto di Vincenzo Mirabella

Esponente della cultura umanistica siciliana, Mirabella, nato a Siracusa nel 1570, seppe destreggiarsi in varie discipline. Fu infatti storico, archeologo, architetto, poeta, musicista e compositore e anche matematico. Appassionato di arte, collezionava reperti archeologici e monete antiche. Per Mirabella il metodo della sua ricerca storica era dato dalla lettura, dalle testimonianze e soprattutto dalle esperienze visive, ed è per questo che seppe riconoscere l’osservazione naturalistica di Caravaggio.

Lo scrittore aveva avuto modo di frequentare anche lo scienziato Galileo, con il quale intrattenne un lungo rapporto epistolare. Mirabella era stato presentato da Federico Cesi a Galileo, con una lettera spedita il 6 settembre 1613 da Firenze, come Cavaliere “di grande lettura et erudizione, innamorato degli studi” sia letterari che scientifici.  Già l’anno seguente, nel 1614, nella lettera n 1040 spedita da Siracusa il 19 agosto, il siracusano chiede allo scienziato la spedizioni di due lenti, oltre ad ammirarlo, quindi, conosceva bene i suoi scritti.

Il paragone tra Mirabella e Merisi è palese, l’esperienza sensibile era alla base del metodo di entrambi: Caravaggio cercò di dare un senso scientifico a quelle profonde grotte artificiali, adibite a prigioni, tanto da darne un nome: “Orecchio di Dionisio”. Notando la particolare forma, somigliante a un orecchio umano, creata per ottenere un’acustica migliore per il tiranno e ascoltare così i suoi prigionieri, Caravaggio offre una singolare. “osservazione naturalistica[3]

Mirabella sembra comprendere il “naturalismo” di Caravaggio e, attraverso questo racconto, mette in luce la mentalità scientifica[4] del pittore.

Sappiamo benissimo dalle fonti, specie dai documenti del processo Baglione del 1603, che per Caravaggio essere pittori e valent’huomini voleva dire

“che sappi far bene, cioè che sappi far bene dell’arte sua, così  un  pittore valent’huomo, che sappi dipingere bene et imitar bene le cose naturali”.

Anche Van Mander[5] afferma che per Caravaggio sono «bagattelle, fanciullaggini o baggianate» qualsiasi cosa che

“non è presa e dipinta dal vero, e anche che nulla può essere realizzato di buono o di migliore senza imitare la natura. Perciò egli non traccia un solo tratto senza aderire alla natura, copiandola e dipingendola. Questa non è certo una via sbagliata per giungere a un buon fine […] Tuttavia bisogna prima di tutto che il pittore sia giunto a tanto giudizio da saper distinguere le più belle manifestazioni della vita fra le belle e quindi saperle scegliere”.

Secondo Vincenzo Giustiniani, per Caravaggio “tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori come di figure[6]”. Opere come la Canestra di frutta, il Bacco, il Bacchino malato ne sono testimonianza. Respingeva, quindi, ogni tipo di discriminazione tra fare e ideare e tra soggetto ed oggetto. Contro ogni gerarchia di genere, fulcro della sua ricerca pittorica era la verità della rappresentazione e l’adesione ad un naturalismo fatto di un’imitazione che giungeva quasi all’estremo delle cose naturali.

Caravaggio fu il primo dei naturalisti se non come scrisse Scannelli nel 1675, nell’opera Microcosmo della pittura, il “primo capo de’ naturalisti” poiché “nell’imitazione dell’opere più vere della natura, pare che non riuscisse inferiore a nessuno[7]”.

Valentina CERTO Messina 6 giugno 2021

NOTE

[1] Scrive Susinno nelle Vite, del 1724, a pagina 110: “fuggì in Sicilia, e ricovratosi nella città di Siracusa fu ivi accolto dall’amico suo e collega nello studio di pittura, Mario Minnitti pittore siracusano, da cui ricevette tutta la compitezza che poté farle la civiltà di un tal galantuomo. Lo stesso supplicò quel senato della città acciò impiegasse il Caravaggio in qualche lavoro, e così potesse aver campo di godere per qualche tempo l’amico ed altresì osservarsi a qual grado di altezza erasi portato Michelagnolo, mentre se ne udiva grande il rumore e ch’egli fosse in Italia il primo dipintore. L’autorità di quel magistrato non pose in non cale l’occasione, ed insubito l’impiegò nella fattura di una gran tela della vergine e martire S. Lucia siciliana. Oggi giorno ammirasi nella chiesa de’ Padri Riformati di S. Francesco, dedicata alla stessa gloriosa santa, fuori le mura della medesima città. In questa gran tela il dipintore fece il cadavere della martire disteso in terra, mentre il vescovo con il popolo viene per sepellirlo e due facchini, figure principali dell’opera, una di una parte ed una dall’altra, con pale in azzione che fanno un fosso acciò in esso lo collochino. Riuscì di tal gradimento questa gran tela che comunemente vien celebrata, ed è tale di questa dipintura il meritato  concetto che in Messina ed altresì in tutte le città del regno se ne veggono molte copie. L’inquietissimo cervello di Michelagnolo, amando vagare pel mondo, lasciò gli agi della casa dell’amico Minnitti. Portossi alla città di Messina”.
[2] La prima fonte per il dipinto è quella di Bellori, nel 1672. Scrive nelle Vite a pagina 210: “Pervenuto in Siracusa, fece il quadro per la Chiesa di Santa Lucia, che stà fuori alla Marina: dipinse la Santa morta col Vescovo, che la benedice; e vi sono due che scavano la terra con la pala per sepelirla”.
[3] F. Bologna, L’incredulità del Caravaggio…, cit., p. 169.
[4] Ferdinando Bologna fa notare come Caravaggio si sia sempre circondato di intellettuali raffinati, con la passione per la scienza. Ad esempio, Roma il cardinale Giustiniani, il cardinale Francesco Del Monte, e il fratello di quest’ultimo, Guidobaldo Del Monte, in rapporti con Galileo Galilei.
[5] K. Van Mander, Vite di Caravaggio, cit., pp. 35-36.
[6] V. Giustiniani, Al Signor Teodoro Amideni (1620-30) in S. Samek Ludovici, Vita del Caravaggio dalle testimonianze del suo tempo, Esperia, Edizioni del Milione, Milano 1956, p. 38.
[7] F. Scannelli, Il microcosmo della pittura, libro I, cap VII, ..cit. pp. 51-52.

BIBLIOGRAFIA

  • B. Agucchi, Trattato della pittura, in D. Mahon, Studies in Seicento art and theory, London 1947.
  • Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, opera di Filippo Baldinucci, fiorentino accademico della Crusca, con note e aggiunte, Firenze 1681-1728, ed. a cura di F. Ranalli, ristampa a cura di P.Barocchi, Firenze 1975.
  • Barbera – D. Spagnolo, Dal Seppellimento di santa Lucia alle Storie della passione: note sul soggiorno del Caravaggio a Siracusa e a Messina, in Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, catalogo della mostra, Napoli, Museo di Capodimonte, (23 ottobre 2004 – 23 gennaio 2005), Napoli 2004, pp. 80-87.
  • Barbera – D. Spagnolo, L’adorazione dei pastori restaurata e le “osservazioni” del Caravaggio in Sicilia, Messina 2010.
  • Barbera, scheda 8, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Seppellimento di Santa Lucia, in Caravaggio in Sicilia, il suo tempo, il suo influsso, catalogo della mostra, a cura di V. Abbate, Siracusa, Museo Regionale di Palazzo Bellomo, (10 dicembre 1984 – 28 febbraio 1985), Palermo 1984, pp. 147-52.
  • P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma 1672, ed. a cura di E. Borea, Torino 1976.
  • Bologna, Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, in Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, catalogo della mostra (Napoli, Museo di Capodimonte, 23 ottobre 2004-23 gennaio 2005), Napoli 2004.
  • M Cuppone, M. Romano, Caravaggio a Siracusa: un itinerario nel Seicento aretuseo, Ragusa, 2020.
  • Di Sivo, Uomini valenti. Il processo di Giovanni Baglione contro Caravaggio, in Caravaggio a Roma: una vita dal vero, catalogo della mostra (Archivio di Stato di Roma 11 febbraio-15 maggio 2011), Roma 2011, pp. 90-104
  • Giansiracusa, Caravaggio a Siracusa 1608, Siracusa 2018.
  • Giustiniani, Discorso sopra la pittura, in Discorsi sulle arti e sui mestieri, (1620-1630 circa), ed. a cura di A. Banti, Firenze 1981.
  • Gregori, Caravaggio, Milano 1994.
  • Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio: fonti e documenti (1532 – 1724), Roma 2010.
  • Mancini, Considerazioni sulla pittura, (1618-1621 circa), ed. a cura di A. Marucchi e L. Salerno, Roma 1956-57.
  • Militello, Il disegno della storia. Storici e immagini nella Sicilia d’età moderna, Acireale – Roma 2012.
  • Militello, Il disegno della storia: Vincenzo Mirabella e le antiche Siracuse (1612 – 1613), in Rivista Storica italiana fasc III, 2010.
  • Militello, L’isola delle carte: cartografia della Sicilia in età moderna, Milano 2004.
  • Militello, Ritratti di città in Sicilia e a Malta (XVI – XVII secolo), Palermo 2008.
  • Mirabella, Dichiarazioni della pianta dell’antiche Siracuse, e d’alcune scelte medaglie d’esse, e de’ Principi che quelle possedettero, descritte da Don Vincenzo Mirabella e Alagona cavalier Siracusano, Napoli, 1613.
  • Scannelli, Il microcosmo della pittura, Cesena, 1657, ed. a cura di G. Giubbini, Milano 1966.
  • Scaramuccia, Le finezze de’ pennelli italiani, Pavia 1674, ed. a cura di G. Giubbini, Milano 1965.
  • Spagnolo, Caravaggio a Messina. Note sul soggiorno del Caravaggio a Messina, Messenion d’oro : quadrimestrale di cultura e informazione, N.s., n. 3 ( gen./mar. 2005), pp. 17-32.
  • Spagnolo, La fuga e l’approdo: da Forte Sant’Angelo alle coste siciliane, Karta, 5, 2010, 2-5.
  • Vodret, Caravaggio, Cinisello Balsamo, 2009.