Le politiche matrimoniali del cardinale Bernardino Spada

di Maria Lucrezia Vicini

Il presente scritto è l’estratto di una più approfondita ricerca sul tema da me da tempo conclusa,  in attesa di essere pubblicata e resa  fruibile al pubblico dei visitatori del Museo, quale ulteriore  arricchimento della conoscenza della storia della Collezione Spada.

LE POLITICHE MATRIMONIALI DEL CARDINALE BERNARDINO SPADA

Entrando  nella prima sala della Galleria Spada, si coglie immediatamente con lo sguardo, un grande dipinto ad olio su tela(cm.136×2,22) dove si vede raffigurata  la marchesa Maria Veralli (1616-1686)  insieme a cinque dei suoi dodici figli viventi  avuti dal felice e fortunato matrimonio con Orazio Spada (1613-1687), nipote prediletto ed erede universale dei due fratelli Bernardino (1594-1661) e Virgilio Spada (1596-1662).

Attribuito al pittore danese Eberart Keyl, detto Monsù Bernardo (Elsingor, 1624- Roma, 1686), il dipinto ha fatto il suo ingresso al Museo solo nel 1999, quando, a seguito di una non facile rimodulazione museografica, da parte di chi scrive, della parete che era stata individuata per ospitarlo, vi poté essere fissato, e tutto questo grazie al comodato d’uso  offerto dall’eminente collezionista Luigi Koelliker che ne  era diventato proprietario, favorendo in tal modo il  rientro nella  sede originaria/Vicini, 1999).

Oltre ad essere un’opera notevole nell’ambito della ritrattistica italiana  subito dopo la metà del Seicento, è da considerarsi un documento importante nella storia della stessa collezione e dell’avvicendarsi dei nuclei familiari Spada nel Palazzo, quindi emblema ed esempio  rappresentativo della politica matrimoniale perseguita dal Cardinale  Bernardino, con il  forte sostegno di Virgilio.

 L’effigiata nel quadro era di famiglia illustre. La sua condizione di ottimo partito non dispiaceva  al  Cardinale che la scelse come compagna del nipote riuscendo nel suo intento di conferire lustro al suo casato e incrementarne il patrimonio.

Da diversi anni, come era nella volontà  di suo padre Paolo Spada (1541-1631) Bernardino aveva intrapreso una vera e propria politica familiare volta ad accrescere e  consolidare dal punto di vista economico e sociale il nome degli Spada, attraverso la conclusione di parentadi dei vari componenti con famiglie altolocate, sollecitato da arditi progetti che miravano alla suddivisione della Casa in quattro rami: due avrebbero dovuto sancirne l’origine romagnola, gli altri due stabilirne la presenza nel Lazio. Il matrimonio tra Maria Veralli e Orazio Spada, suggella il ramo romano.
I quatto rami di fatto non tardarono ad avere buon esito per i facoltosi matrimoni  che  riusci ad assicurare ai suoi nipoti primogeniti e secondogeniti, già dotati di titoli nobiliari o cariche onorifiche di rilievo. Le loro insegne campeggiano, intervallate da imprese racchiudenti motti moraleggianti. in  una stanza del Piano Nobile del Palazzo, cosiddetta dei Feudi, dalle vedute paesistiche relative a diversi Feudi acquisiti proprio con i  matrimoni e tra essi spicca la veduta di CastelViscardo, l’immenso podere con castello trasmesso agli Spada da Maria Veralli.

Orazio aveva appena sei anni quando venne adottato da Bernardino e Virgilio e allontanato da Brisighella, dove era nato  l’8 agosto dal 1613 dal loro fratello Francesco (1593-1643) e da Cecilia Severoli (+1627).

La conclusione degli studi giuridici presso la “Sapienza” di Roma nel 1634 rappresentò un traguardo importante per la sua vita futura.

Subito dopo gli zii avviarono le trattative riguardanti il matrimonio con la giovane Veralli, della famiglia  dei Veralli, originaria di Cori, una località della Diocesi di Velletri, la quale, una volta trasferitasi a Roma per l’amicizia che legava il capostipite,  Giovanni Battista Veralli a Papa  Paolo III, divenuto suo medico personale,  ricevette prestigio  e ricchezze per merito di due cardinali, Girolamo (1500-1555) e Fabrizio Veralli (1570-1624). Ma già al momento stesso degli accordi matrimoniali, la famiglia poteva vantare della presenza di un altro cardinale, Ciriaco Rocci, fratello della madre di Maria, Eugenia Rocci, già nominato nel 1633.

Tuttavia la famiglia Veralli, sebbene conducesse una vita agiata per i favori scaturiti proprio dall’amicizia con  papa Farnese, non era originariamente ricca di patrimoni. E la posizione si consolidò non tanto con il primo cardinale Girolamo, dalla cui lettura dei beni ereditari non emergono lasciti importanti,  ma da quando, alla metà del ‘500, il nonno di Maria, Matteo Veralli, sposò Giulia della Cervara che portò in dote il Feudo di Castelviscardo e altri possedimenti nel territorio di Viterbo e immobili in Roma (Maffei,1990).

Ulteriore incremento si ebbe con il loro figlio Fabrizio, che dopo la nomina a cardinale acquisì proprietà e titoli,  per un valore stimato di oltre 63.000 scudi (ASR,FV, vol.291).

 Tutti queste beni, per mancanza di primogeniture maschili nella famiglia, andranno a poco a poco a riversarsi sulla giovane sposa, la sola a contrarre matrimonio, fino ad un loro pieno possesso nel 1643, quando diventerà l’erede universale della famiglia (Vicini, in Cannatà Vicini, 1992, pp.91-103).

Quando Maria aveva sedici anni, ci fu un tentativo da parte del padre  Giovanni Battista di farla sposare con un nobile romano di nome Urbano Millini, di anni trenta, che gli era stato “raccomandato” dal cardinale Scipione Borghese. Nipote del cardinale Giovanni Garsia Millini, era l’unico erede della famiglia, con una rendita annuale di seimila scudi.  Ma al matrimonio si oppose lo zio cardinale Rocci forse per il fatto che non vedeva di buon occhio la differenza di età tra i due giovani, o verosimilmente per aver già concertato un tacito accordo matrimoniale a favore del nipote Orazio con il cardinale Spada, con il quale era legato da amicizia. In effetti, quando maturarono i tempi, il matrimonio venne combinato proprio da loro due. L’atto di ufficializzazione del matrimonio con la stesura dei capitoli matrimoniali,  reca  la data del 10 dicembre 1635. Orazio toccò la mano della sposa in presenza del cardinale Spada, del cardinale Rocci, di Giovan Battista Veralli, di Antonio Rocci, di Virgilio Spada, e di Pulcheria Maffei e Francesca, consorte e sorella di Antonio Rocci.

Mancava Giulia, la sorella di Maria (ASR,FSV,283 (Tavassi La Greca Valentini, 2004, p. 138; ASR,VS, vol.280). Forse i due giovani si conobbero per la prima volta solo in quella occasione, diventando marito e moglie appena un mese dopo, il 6 gennaio 1636 con la cerimonia che  si svolse nel salone grande del Palazzo, fintto di decorare proprio allora dai quadraturisti  bolognesi Agostino Mitelli e Michelangelo Colonna. Con il matrimonio Maria aveva di fatto portato in dote agli Spada la metà di un Feudo, il marchesato di Castel Viscardo, nei pressi di Orvieto, rilevanti cifre di denaro e ancora la metà del palazzo di famiglia situato in via del Corso, davanti la chiesa di San Carlo. A tutti questi beni si aggiunsero nel 1641, alla morte del padre, il palazzo Colonna che era stato di proprietà del cardinale Fabrizio e nel 1643 le rimanenti quote spettanti alla sorella Giulia

La dote portata da Maria agli Spada, oltre ad essere ingente, era anche preziosa per la presenza di una raccolta di dipinti e sculture di notevole pregio di proprietà sempre dello zio cardinale Fabrizio, che poteva includere un’altra minima parte proveniente dal suo predecessore Girolamo.

Dalle ricerche di archivio sono scaturiti  quattro inventari manoscritti che elencano tutte le opere della raccolta, già suddivisi per dipinti e  sculture. Di queste opere oggi non resta che un numero esiguo in rapporto alla originaria spessa quantità numerica.

Tra quelle importanti pervenute fino a noi vanno senz’altro ricordate la piccola tavola quattrocentesca raffigurante San Sebastiano, esposta nella seconda sala del Museo, ritenuta del pittore umbro Fiorenzo di Lorenzo, ma che gli ultimi studi riferiscono al suo conterraneo Sante di Apollonio; il San Giovanni Battista grande con cornice con filetti d’oro, da identificare con il dipinto di simile soggetto, copia da Raffaello, di proprietà della Galleria Spada in deposito dal 1964 all’Ambasciata Italiana presso la Santa Sede; la Santa Cecilia e La Madonna col Bambino,  di Artemisia Gentileschi; il  David con la testa di Golia, di Orazio Gentileschi; la statua di Filosofo seduto, copia romana da originale greco, forse bronzeo di epoca ellenistica databile tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C.; due altre statue di Ercole e di Apollo, in marmo lunense e in marmo bianco di arte romana della fine del II sec.d.C.; un busto di Diana di arte romana del I sec. d.C. e una serie di Bassorilievi datati intorno al II sec. d.C. raffiguranti scene mitologiche, murati sulle pareti della galleria della meridiana del piano nobile di palazzo Spada;.il putto su cavallo marino in marmo bianco di arte romana, databile tra il I e il II sec. d.C., e il busto di Diana con lunetta in testa, sempre in marmo bianco e di arte romana del II sec. d.C., entrambi esposti nella I sala del Museo e il vaso di marmo bianco con il suo coperchio, esposto in IV sala

Il quadro di Paolo III a sedere va visto nella copia tratta dal dipinto del Tiziano, esposta nella II Sala del Museo.

Il quadro di una Madonna con un Bambino nelle ginocchia va identificato con un dipinto analogo di Bartolomeo Cavarozzi della IV Sala.

Il quadro di San Francesco svenito con doi angeli con cornice negra, corrisponde al San Francesco svenuto sostenuto da due angeli esposto nella I Sala del Museo, già attribuito al pittore piemontese Guglielmo Caccia e ultimamente (Romano, 1972) riferito alla figlia, Orsola Maddalena Caccia.

Il quadro del Cardinale Girolamo Veralli vecchio è invece il ritratto collocato nella II Sala del Museo già identificato da Zeri come Girolamo Veralli, eseguito da Girolamo Siciolante.

Lo studiolo di noce intagliato con l’Annunciata e con l’impresa dei S.Veralli è da ritenersi il tabernacolo ligneo situato nella II Sala del Museo con al centro un rilievo in marmo raffigurante l’Annunciazione della scuola di Daniele da Volterra, fatto modificare dal cardinale Bernardino Spada successivamente.

I quattro sgabelloni in legno dipinto indorato con l’armi del Sig. Card.Veralli per sostenere quattro busti vanno riconosciuti nei quattro supporti quadrangolari della seconda metà del sec:XVI a forma di pilastri con base modanata, posti nella III Sala del Museo con le stesse funzioni di sostegni di sculture.

Maria Lucrezia Vicini ex direttrice della Galleria Spada  Roma Febbraio 2019