di Flavia ROVETTA
Città In-Visibili
Città In-Visibili – Carlo D’Orta | Patrizia Dottori
a cura di Flavia Rovetta
Carlo D’Orta Artstudio Gallery, Pzza Crati 14, 00199 Roma 29/04/2021 – 28/05/2021
La città immaginata è un luogo di possibilità, in cui tutto è plasmato dal linguaggio, sia esso verbale o meno. L’obiettivo fotografico, al pari della parola, descrive e riscrive il suo profilo: non più forme chiuse e definitive, bensì un’architettura liquida, multiforme e senza confini.
Non esistono contraddizioni in un luogo simile, poiché la sua stessa essenza si nutre di imprevisti, discordanze, paradossi. Ecco dunque che appaiono come città vibranti, galleggianti, distorte, che fremono di una vita brulicante.
Per adempiere a questa impresa di decostruzione e smaterializzazione, la macchina fotografica si immerge nella dimensione del doppio. Le immagini prodotte sono connotate da quella che si potrebbe definire quasi una “transmedialità” intrinseca, che le rende organismi complessi.
Il primo medium è lo specchio, che è sia il materiale strutturale di cui l’architettura si compone, sia la superficie di una primaria autorappresentazione: la città reale incontra quella riflessa. Il secondo è l’obiettivo, l’occhio meccanico che cattura questa prima immagine spontanea, rendendola altro da sé. La città attraversa liberamente diversi spazi di esistenza, trovandosi al contempo fuori dallo specchio, dentro di esso, dentro la lente. Il terzo, infine, è la superficie di stampa, mediante cui l’immagine in transito si ancora ad una posizione distinta.
Tutt’altro che fissa, la fotografia stampata si nutre delle caratteristiche fisiche del supporto – plexiglass, carta metallizzata o alluminio – per espandersi nuovamente, muovendosi attraverso le trasparenze del vetro e gli abbacinanti bagliori metallici. In una circolarità perfetta, tale corpo materiale esprime una corrispondenza significante con ciò che vi è rappresentato: il vetro e il metallo degli edifici non sono semplicemente evocati, ma fisicamente presenti.
La città è luogo e immagine, l’immagine è luogo e materia, la materia è immagine e luogo.
Carlo D’Orta e Patrizia Dottori non si limitano a rappresentare le città, ma hanno la facoltà demiurgica di costruirle, di configurarle come Città In-Visibili: eteree ed evanescenti e, al contempo, concretamente visualizzate all’interno dell’occhio fotografico, che permette di vedere perfino più di quanto appare. In-visibili non significa dunque che non possano essere viste, bensì che la loro struttura più profonda può essere compresa solo penetrando nei meandri dei meccanismi visivi.
Le Città In-Visibili sono il riflesso di ciò che è stato o può ancora essere: luogo vivido e reale nell’immaginazione, o solo lucidamente immaginato nella realtà. Immaginifiche, ma non per questo meno vere.
Le città e gli occhi – Carlo D’Orta
Lo specchio ora accresce il valore alle cose, ora lo nega. (I. Calvino, “Le città invisibili”)
Visioni oniriche e psichedeliche, in cui le forme subiscono deformazioni espressionistiche e il colore si espande in grandi campiture cromatiche, accendendosi di pulsazioni vitali. L’occhio meccanico viene indagato nelle sue più estreme potenzialità espressive e condotto oltre i suoi limiti strutturali.
Il progetto fotografico Vibrazioni di Carlo D’Orta possiede una qualità pittorica, che supera la rigorosa aderenza alla realtà oggettiva, per esplorarne gli aspetti astratti, surreali e visionari. La prospera ambiguità del medium è poi potenziata dall’accostamento ai dipinti di Carlo ispirati alle sue fotografie, che innescano un circolo virtuoso di reciproci rimandi tra fotografia e pittura. La sua serie Vibrazioni ha una connotazione sinestetica, producendo stimoli sia visivi che sonori. Le immagini intessono così una riflessione sui meccanismi percettivi, che coinvolgono più sfere sensoriali: il doppio, che si materializza nel riflesso, diventa dunque la dimensione rivelatrice del possibile. Le città, animate dalla vibrazione, non si esauriscono nella loro configurazione primaria, ma si espandono e conquistano nuovi spazi multiformi di esistenza.
Le città e la memoria – Patrizia Dottori
Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata.(I. Calvino, “Le città invisibili”)
Il ricordo è di per sé intangibile, ma la fotografia dona un corpo all’invisibile, rendendo perpetuo un istante che non esiste più. Il progetto Americana Breakfast table set, nato dalle ceneri dell’evento traumatico dell’11 settembre 2001, intende ricostruire i frammenti della memoria di New York.
Lo scorrere del tempo definisce sia la trama della tragedia, sia la ricucitura paziente delle ferite. La Grande Mela dialoga con il suo passato, si nutre dell’onda dei ricordi e si espande.
Patrizia Dottori, nella serie Reflexion, restituisce le molteplici sfaccettature della città, che si delineano nella selva specchiata delle sue architetture. Distorta e destrutturata, questa seconda New York vive nella dimensione ambigua del doppio. Da un lato sfuggente e irreale, dall’altro materializzata e resa imperitura. Reflexion è al contempo riflesso, visione fugace, e riflessione, meditazione esistenziale. Dopo essersi confrontata con la dolorosa dimensione del non essere più, New York si apre gioiosamente a quella del poter essere ancora, negli occhi di chi la guarda.
Flavia ROVETTA Roma 25 aprile 2021