Lauri Laine e Giangaetano Patanè. Arte senza confini, contaminazioni dell’immaginario culturale

di Carla GUIDI

Lauri Laine e Giangaetano Patanè: Baltico/Mediterraneo a confronto – Testo critico di Sergio Rossi

Lettura interessante e stimolante questo saggio del prof Sergio Rossi Lauri Laine e Giangaetano Patanè: Baltico/Mediterraneo a confronto, pubblicato nel dicembre del 2020 per conto di Etgraphiae Cartograf. Come sottolinea il prof Claudio Strinati nella prefazione, il libro si basa su di una dettagliata osservazione critica riguardante due personalità artistiche messe a confronto

Un artista finlandese profondamente radicato nella tradizione rinascimentale italiana, e un artista italiano che ci appare come remotamente connesso con le atmosfere intime e introspettive del mondo nordico per come lo conosciamo dal cinema di Ingmar Bergman. Due modelli culturali di immensa portata si incuneano nelle esperienze di due artisti che pur riflettendo storie, vite e situazioni molto lontane le une dalle altre, si ritrovano in questo libro in una sorta di dialogo continuo, profondo e coinvolgente.

Mi preme anzitutto sottolineare che il professore aveva già ideato e diretto una esposizione Italia e Finlandia a confronto, a Roma, 23 gennaio – 10 aprile del 2007, al Museo Nazionale di Castel S. Angelo, con il relativo catalogo e poi firmato la pubblicazione “Theory and Criticism of Literature & Arts” nella quale (vol. 4, no. 2 – dicembre 2019) era inserito al capitolo II – Baltico/Mediterraneo a confronto. Era questa una mostra che metteva per la prima volta a contatto alcuni degli artisti contemporanei più significativi dei due Paesi, evidenziandone differenze ma anche sorprendenti affinità.

E’ proprio riguardo queste affinità che, leggendo il libro, non ho potuto fare a meno di pensare a quello dell’ingegnere nucleare Felice Vinci pubblicato nel 1995 Omero nel Baltico. All’epoca questa personale interpretazione storico-letteraria, condotta dall’autore sull’ambientazione dell’Iliade e dell’Odissea suscitò un certo dibattito nel mondo accademico ed un discreto seguito mediatico. Tradotto in varie lingue suscitò interesse, e forse sgomento, l’ipotesi secondo la quale gli eventi narrati da Omero non si sarebbero svolti nel Mar Mediterraneo orientale, come si è sempre creduto, ma nei mari dell’Europa settentrionale (Mar Baltico e nord Atlantico).

Mi piace citare questo libro a dimostrazione che, ci piaccia o no, il mito come simbolico narrativo non ha confini, si contamina ma attinge al patrimonio universale dell’umanità come ha dimostrato egregiamente C. G. Jung. Nemmeno l’arte quindi che, più è grande ed universale, addirittura parlando un linguaggio complesso ed articolato, diviene comprensibile ed emozionante per la maggior parte delle persone.

Del resto Sergio Rossi è siciliano ed è stato forse da sempre orgogliosamente sensibile alle teorie che ipotizzano per esempio gli antichi Siculi, come popolo di stirpe indoeuropea oppure addirittura mediorientale, identificandone uno dei più antichi siti in quella che fu definita una proto-città, sorta attorno al 7000 avanti Cristo, Mehgarh tra India e Pakistan. Però non è solo questo un indizio della sua predisposizione a svelare collegamenti inusuali, la grande capacità del critico è dimostrata nel credere nella facoltà del linguaggio dell’arte di essere senza confini, pur attenendosi a puntuali richiami storici e stilistici, ma anche soprattutto elettivi e spirituali. Per fare questo non esita a citare passi significativi di testi critici di autori che hanno presentato queste due personalità artistiche in varie occasioni, ma soprattutto collegare l’interpretazione fattuale e compositiva dei dipinti ad opere letterarie e filmiche. Inoltre espressamente ci parla di una stretta ed impensabile affinità tra i due paesi, quasi un’attrazione di affinità elettive, di contrari che si completano, di caldo e freddo che si compensano …

La mia scelta di proporre un confronto così serrato tra due nazioni apparentemente tanto diverse andava però ben al di là della semplice opportunità di presentare una serie molto nutrita di autentici capolavori. Perché geograficamente lontane Italia e Finlandia sono però spiritualmente molto più vicine di come si pensi, accomunate ad esempio, nel XIX secolo, dal medesimo spirito irredentista contro la dominazione straniera e dalla lotta per l’affermazione di una nuova identità nazionale. E gli artisti finnici, fin dall’Ottocento, hanno mostrato uno spiccato interesse non solo per la tradizione artistica italiana, soprattutto nelle sue espressioni rinascimentali, ma anche per il nostro patrimonio paesaggistico e ambientale e per l’intensità di una luce tanto diversa da quella delle latitudini nordiche. Così, il fatto che la più rigorosa e insieme attuale rivisitazione pittorica del nostro primo Rinascimento (Masolino, Masaccio, Piero della Francesca) si debba, come presto vedremo, a Lauri Laine, o che la versione più fedele e qualitativamente eccelsa del perduto S. Matteo e l’angelo di Caravaggio sia stata eseguita da Antero Kahila, può stupire solo chi non conosce la realtà culturale di questa nazione, dove l’amore per l’Italia è radicato in un modo che noi stessi stentiamo a comprendere.

In ogni caso fin dalla sua Introduzione (che chiama Ouverture, come fosse una composizione musicale) Sergio Rossi  tiene a sottolineare ed a schierarsi dalla parte di quella che si può chiamare una pacificazione dei dualismi. Cominciando dal primo e forse  più drammatico, tra arte figurativa ed arte astratta, con lontane radici iconoclastiche ma apparso come liberazione del formalismo delle accademie in anni recenti, oppure l’altro, assai più antico, quasi una barriera tra arte ed artigianato, infine bonificato dalla convinzione che ogni produzione manuale è anche una “fatica di mente”, per cui siamo finalmente tornati ad apprezzare (nell’epoca dei computer e del digitale) la bellezza e la cura di un’opera prodotta manualmente.

Infine l’autore cita il più pervicace dualismo, quello che tra razionalità e fantasia, tra ragione e sentimento … Allora basti ai nostri fini, riconoscere che

non vi è alcuna incompatibilità e che entrambi questi elementi siano necessari per la perfetta riuscita di un’opera d’arte.

Egli conclude questa prima parte introducendo le differenze significative relative ad Italia e Finlandia con le quali i due artisti si sono cimentati, una percezione psicofisica ed ottica che ha avuto una grande influenza sulla predilezione e l’uso dei colori. Qui la sua scrittura si fa poetica e quasi nostalgica:

Se tra i pittori italiani e quelli del paese baltico vi sono, come ho detto, evidenti affinità, vi sono comunque altrettanto evidenti differenze, a cominciare da quella del silenzio, perché quello finnico non è il silenzio che nasce dall’assenza totale di rumore, è piuttosto il silenzio di un passo ovattato sulla neve, di un bisbiglio sotto voce in un caffè, il silenzio insomma che tanto stupisce, e spesso affascina, noi italiani quando ci rechiamo ad Helsinki, dove anche gli ubriachi, in genere, sono abbastanza silenziosi: è il silenzio, per intenderci, che risuona nei film dei fratelli Kaurismaki, forse i più finlandesi, e insieme cosmopoliti, tra gli artisti contemporanei. L’altro elemento fondamentale, poi, è quello della luce. Da noi la luce è luce ed il buio è buio senza mezzi termini e senza mediazioni, in Finlandia no; anche la più cupa notte invernale può essere rischiarata dai bagliori argentini delle distese immense di neve e di ghiaccio così come la luce estiva delle notti bianche è una luce azzurra che sa di mistero (…)
Lauri Laine, Distanze

Per lasciare al lettore il piacere della scoperta dei due artisti, Lauri Laine e Giangaetano Patanè, presentati con accurata analisi del loro percorso dal prof. Sergio Rossi e non fare un impossibile riassunto, basti dire che anzitutto sono accumunati (caso abbastanza raro) dal fatto che le loro opere riflettono sostanzialmente il loro carattere e le loro qualità umane.

Lauri Laine, Figura VII e Figura 10

Infine qualche piccolo indizio sulla complessa pittura di Lauri Laine

Nell’ultimo decennio si può poi dire che Laine abbia affrontato un percorso inverso a quello di tanti grandi Maestri del XX secolo, passati dalla figurazione all’astrazione, perché nel suo caso si è andati invece dall’astrazione alla figurazione, nel senso che le pure forme geometriche o le piante architettoniche svolte su di un piano prima, i copricapi, i ventagli, i turbanti, le sfere, i triangoli che popolavano i suoi dipinti poi, sono andati assumendo sempre più nitidamente i connotati delle figure umane. Anche se lo stesso artista afferma di non dipingere mai una figura, ma la sensazione della sua presenza, l’attimo precedente allo sguardo consapevole e al riconoscimento degli elementi realmente esistenti nell’immagine.
Lauri Laine, Figura decorata VI

Poi riguardo la luce ed il colore nelle successive evoluzioni della sua pittura Sergio Rossi parla di “luce e dramma” o addirittura “il dramma della luce”:

che assume sempre più i connotati propri della pittura seicentesca di Caravaggio, Vélazquez, Zurbaran, che entrano in conflitto con i vari Piero, Masaccio, Masolino in opere assolutamente originali e innovative che ci appaiono come una sorta di rilettura sintetica di tutta l’arte occidentale (…)
Ammirando le splendide figure di musiciste e musicisti che almeno a partire dal 2012/13 popolano i suoi dipinti, sembra in effetti di ascoltare il celeberrimo Fandango della Serenata notturna di Madrid di Luigi Boccherini, una delle musiche che in assoluto più mi ha affascinato fin dalla mia adolescenza. O di rivivere certe scene di quel capolavoro misconosciuto e non adeguatamente apprezzato che è L’ultimo inquisitore di Miloš Forman, dove Stellan Skarsgard, Javier Bardem e una giovanissima Natalie Portman fanno a gara di bravura nel descrivere la Spagna a cavallo tra XVIII e XIX secolo in cui ha operato Francisco Goya, un pittore che a mio avviso ha avuto anch’esso un notevole influsso su Laine (così come su Patanè) anche se a prima vista meno riconoscibile rispetto ai pittori seicenteschi citati prima. La luce mediterranea è comunque filtrata attraverso quella nordica: Boccherini rivisitato attraverso Sibelius, il mito del Cid attraverso il Kalevala e quella di Lauri può ben essere definita la più autentica, se non l’unica, pittura “baltico-mediterranea” dei nostri tempi.
Lauri Laine, Alba

Così come Lauri Laine assume i caldi colori del barocco come appena descritto, ecco invece come l’autore introduce  Giangaetano Patanè:

“Vi sono pittori della notte, come Rembrandt o de la Tour, ma vi sono pochissimi pittori dell’alba, perché l’alba è l’ora della morte, l’ora della luce glauca. C’è Géricault, ma soprattutto c’è Caravaggio”. Così Denis Arcand fa parlare uno dei suoi protagonisti, un professore di storia dell’arte, nel corso del suo celeberrimo film Il declino dell’impero americano. Ma tra i pittori della luce glauca io inserirei almeno Jacopo Pontormo, Edward Munch, René Magritte e, tra i giovani artisti italiani, senza alcun dubbio, Giangaetano Patanè.

Artista colto e visionario, pieno di riferimenti letterari ed artistici, ma anche una forte personalità dimostrata da un’indagine senza limitazioni, poiché …

“le figure o gli oggetti sono i protagonisti assoluti delle sue tele, ma anche pittore astratto, nel senso letterale del termine, perché le stesse figure e gli stessi oggetti assumono spesso il valore di pure astrazioni ideali, quasi metafisiche, come sospese nell’incanto fluttuante di una dimensione onirica. (…) Pittore (e scultore) insomma, nel senso pieno e totale del termine; e basta anche osservare la grande versatilità delle tecniche usate per rendersene conto, olio, cera, terracotta, bronzo, spesso assemblati in inconsueti accostamenti che fanno sì che non sappiamo, a volte, se le sue siano pitture a rilievo o sculture a colori. Questa dimensione di virtuosismo tecnico non è però mai fine a sé stessa, anzi è sempre rapportata alla profonda dimensione di “racconto” che tutte le sue opere hanno.
Giangaetano Patané, (dall’alto a sx),Testa di donna, Sognando tra Scilla e Cariddi, Los Fusilamientos 1, los Fusilaminentos 2

Spesso le sue opere trasmettono

una cupa premonizione che sembra avverarsi, perché nel frattempo degli uomini armati, (banditi, soldati di ventura?), che naturalmente noi non vediamo, irrompono nella stanza dove lui sta sognando e lo costringono ad inginocchiarsi nudo, come per essere fucilato. Siamo così giunti alla bellissima serie delle Fucilazioni, mutuate dal celebre dipinto di Goya, ma un Goya rivisitato con gli occhi e i colori di Degas, Cézanne, Fancis Bacon, ma soprattutto con gli occhi e i colori del Picasso del periodo rosa, figure comunque sempre isolate e costrette a lottare da sole contro il loro destino.
Giangaetano Patanè, (dall’alto a sx), Limits, Ricordi in giallo, Barriere sui toni del verde, Ischtar-tor, Due figure femminili
In realtà si tratta piuttosto di strisce di colore, dal verde intenso al grigio tenue, spesso polimateriche, ora sviluppate in senso orizzontale, più spesso in quello verticale, con minuscoli visi di uomini o donne, ora posti in alto, come ne Il giardino di Dio, come fronde di alberi [fig.25], ora in basso, come schiacciati da un enorme peso. Penso in particolare a Ci saremo tutti, dove questi lacerti figurali acquistano le parvenze di una folla di profughi intenta a cancellare le proprie impronte e svanire nel nulla [fig.26], dipinto che a me parrebbe la perfetta illustrazione di quella che considero la più bella, straziante e ironica poesia del nostro Novecento, Questo mi dissero scritta da Bertolt Brecht nel 1933:
Giangaetano Patanè, (dall’alto in basso) Il giardino di Dio, Ci saremo tutti, Tra noi

Introducendoci verso un universo figurativo che non potrebbe che definirsi esistenzialista Patanè è inserito in un percorso …

nel senso che anche i lacerti di teste maschili e femminili scompaiono, per fare posto dapprima a frammenti di alberi, paesaggi, evocazioni naturalistiche, fino a che le tele vengono occupate solo da quelli che chiamerei filamenti polimaterici (piombo dipinto applicato su legno, frammenti di muro, ecc.) che si richiamano alle origini dell’arte povera ma con una coscienza autenticamente ecologica che sicuramente mancava a quel movimento, se di movimento si può parlare. Anzi, se un termine si può coniare per la nuova produzione del nostro artista quello più calzante mi sembra green art, nel senso di un approccio veramente rispettoso della natura e ad impatto zero del procedere artistico.
Questa produzione più recente può anche essere letta in una chiave puramente formale, come la conseguente evoluzione di tutto il percorso artistico di Patanè, dove le linee di contorno e i fondali delle tele sono diventati i protagonisti, hanno letteralmente espulso ogni riferimento figurale ma nello stesso tempo è come se le figure stesse possano ritornare da un momento all’altro, riappropriarsi della scena senza alcun problema perché, come dicevo fin dall’inizio, per Patanè come per Laine figurazione ed astrazione sono i due rovesci della medesima medaglia, che è l’opera d’arte in sé compiuta, tanto se è costituita da pure linee, colori, forme geometriche, quanto se rappresenta esseri umani, nature morte, paesaggi.
Giangaetano Patané, Freschezza bis

Notevole la conclusione di questo viaggio nel nomadismo dell’arte e dei dialoghi visivi tra due grandi artisti. Il prof Sergio Rossi annota ancora il suo riferimento al film L’ultimo inquisitore di Milos Forman riguardo le figure spagnoleggianti di Laine, mentre per quanto concerne l’intera produzione di Patanè cita …

un film apparentemente crudo e quasi sgradevole e invece intimamente e disperatamente romantico, Il cattivo tenente di Abel Ferrara, dominato da un grande Harvey Keitel, il cattivo tenente, appunto, drogato, corrotto, ormai sulla strada della perdizione, che di fronte ad una giovane suora che si ostina a voler perdonare due balordi che l’hanno violentata, prima non capisce, poi trova infine un suo insperato anche se tardivo riscatto. È l’eterno, e romantico per eccellenza, tema di amore e morte che trova qui la sua sublimazione, perché l’amore non è quello verso una singola donna (o uomo) ma è l’amore verso tutta l’umanità peccatrice.

Carla GIUDI  Roma 18 luglio 2021

Lauri Laine è nato ad Helsinki (dove tutt’ora vive e lavora) nel 1946. Sue opere si trovano tra l’altro presso l’Amos Rex e l’Helsinki Art Museum di Helsinki; il Kostmuseum di Malmö, il Moderna Art Museet di Stoccolma e la City Art Collection di Tampere. I testi citati nel saggio sono stati tratti dalle seguenti pubblicazioni: Altti Kuu-samo, Lauri Laine. L’enigma degli oggetti, Galerie Forsblom, Helsinki; Altti Kuusamo, Sergio Rossi, Johanna Vakkari in Baltico/Mediterraneo. Italia e Finlandia a confronto, Catalogo della mostra a cura di Sergio Rossi (Roma, Museo Nazionale di Castel S. Angelo, 23 gennaio-10 aprile del 2007); Liisa Lindgren, Lauri Laine. La luce e il dramma, Parvs Publishing, Helsinki 2009; Timo Valjakka, Lauri Laine. Pitture di luce e spazio, Parvs Publishing Helsinki 2012; Otso Kantokorpi, Astrazione barocca, in Lauri Laine. Dipinti 2013-2016, Palombi editore, Roma 2016; Sergio Rossi, Baltico/ Mediterraneo a confronto. Capitolo II, in “Theory and Criticism of Literature & Arts”, vol. 4, no. 2, (dic. 2019). Hanno inoltre scritto di lui, tra gli altri: Flaminio Gualdoni, Minerva Keltanen, Kuutti Lavonen, Simo Örma, Antonella Perna, Gertrud Sandqvist.

Giangaetano Patanè è nato a Roma (dove tutt’ora vive e lavora) nel 1968. Sue opere sono conservate tra l’altro presso la Basilica di S. Maria in Ara Coeli e l’Autorità bacino del Tevere Roma;il Museo Roberto Ruggi d’Aragona a Rende e la sede di BNL Bnp Paribas; tra le sue esposizioni principali si citano quelle presso il Chiostro del Bramante, il Complesso del Vittoriano, la Fondazione Memmo e l’Archivio di Stato a Roma; gli Istituti italiani di Cultura di Berlino e Vienna, il Palazzo Reale di Napoli ed il Museo Michetti di Chieti. I testi citati nel saggio sono stati tratti dalle seguenti pubblicazioni: Arnaldo Romani Brizzi ed Eleonora Pecorella in Giangaetano Patanè. Ogni espressevità è possibile, Roma 2004; Sergio Rossi e Claudio Strinati, in 32 rooms, Gangemi editore, Roma 2005; Sergio Rossi in Baltico/Mediterraneo. Italia e Finlandia a confronto, Catalogo della mostra a cura di Sergio Rossi (Roma, Museo Nazionale di Castel S. Angelo, 23 gennaio-10 aprile del 2007); Sergio Rossi, Baltico/Mediterraneo a confronto. Capitolo II, in “Theory and Criticism of Literature & Arts”, vol. 4, no. 2, (dic. 2019). Hanno inoltre scritto di lui, tra gli altri: Enzo Bilardello, Lina Calenne, Elena del Drago, Nica Fiori, Danilo Maestosi, Enzo Montefoschi, Tommaso Strinati, Thomas Wulffen.