L’arte delle Maioliche si fonde con la storia dell’arte: il ‘caso’ della Manifattura Minghetti

di Matteo BECCARI

La manifattura Minghetti e la produzione di ceramiche in area emiliano-romagnola.

Si è da poco conclusa la mostra inaugurata il 15 dicembre 2017, a Casa Saraceni, dedicata alle meravigliose maioliche Minghetti realizzate per il duca di Montpensier, Antonio d’Orléans. Tale esposizione, curata dal Conservatore delle Raccolte d’Arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna Angelo Mazza, presentava i pezzi più raffinati di un servizio da tavola commissionato dal duca nel 1888 circa e destinato alla sua residenza a Bologna in Palazzo Caprara. Originariamente tale servizio era composto da 900 pezzi, per poi ridursi ad un gruppo di 381 maioliche che, nel 2016, veniva acquistato dalla Fondazione bolognese. Tra gli oggetti esposti era possibile ammirare fruttiere, centritavola, e grandi candelabri che ben dimostrano la raffinatezza esecutiva della manifattura Minghetti (figg. 1 e 2).

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L’esposizione ha fornito anche una preziosa occasione per ripercorrere la storia di tale manifattura, che si intreccia con quella della tradizione di maioliche in area emiliano-romagnola. Fondatore della fabbrica è Angelo Minghetti (Bologna, 1822-1885), che nel 1835 risulta iscritto all‘Accademia di Belle Arti di Bologna nelle classi di elementi d’ornato ed elementi di figura.Successivamente, nel 1848, inizia una collaborazione con la fabbrica di ceramica Bucci di Imola, fino al 1879, occupandosi anche del restauro di maioliche antiche su commissione di antiquari. Sempre in questo periodo si dedica alla realizzazione di ceramiche fortemente ispirate alla produzione rinascimentale, in particolar modo ai modelli dei Della Robbia. Nel

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1858 apre la sua prima fornace a Palazzo Pepoli, per poi aprirne una seconda in Palazzo Malvasia nel 1864, prova del successo di cui la fabbrica godeva in quegli anni. Minghetti, inoltre, nell’arco della sua carriera partecipa a diverse esposizioni nazionali ed internazionali: a Londra nel 1870, a Vienna nel 1873, a Napoli nel 1877 e a Parigi l’anno successivo, a Torino nel 1880 e a Milano nel 1881, ottenendo sempre dei prestigiosi riconoscimenti. Alla morte di Angelo Minghetti, nel 1885, saranno i figli Gennaro ed Arturo a succedergli nell’attività, per tramandarsi poi di generazione in generazione fino al 1967, anno in cui la fabbrica cessa di essere attiva.

Come accennato poco sopra, da un punto di vista stilistico la produzione Minghetti presenta un solido legame coi modelli decorativi e figurativi del Rinascimento. Tale rapporto può essere riscontrato sia nelle opere realizzate per grandi committenze, come quella del sopra citato duca di Montpensier o del principe bolognese Hercolani, sia nella vasta produzione di suppellettili destinata a decorare le dimore delle classi più abbienti. Il vaso biansato in fig. 3

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ne è un esempio, in quanto mostra chiaramente la vicinanza agli stilemi della produzione rinascimentale soprattutto nelle decorazioni a grottesche presenti sul collo e ai lati a delimitare le scene rappresentate (fig. 4).

Del resto va evidenziato che le influenze rinascimentali nelle arti “minori” sono ampiamente riscontrabili anche negli arredi di mobilio, come discusso in un precedente articolo sui mobili emiliani, ed il caso delle maioliche qui esaminato non fa altro che fornire un ulteriore esempio e conferma di tale influenza. Altri esemplari della produzione Minghetti -un calamaio e un sopra porta- sono presentati in figg. 5 e 6, per dimostrare la grande varietà di oggetti realizzati da tale fabbrica.

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La storia della manifattura Minghetti, va sottolineato, si inserisce in una tradizione di produzione di maioliche che si sviluppa principalmente in area romagnola durante il Settecento. Gli studi di Francesco Liverani, che è stato professore all’ Università di Modena impegnato sia in ricerche di matematica pura che di critica ceramica, chiariscono e ricostruiscono le tappe salienti della storia delle maioliche settecentesche in Emilia-Romagna. Di questa storia è opportuno riprendere in questa sede alcuni passaggi fondamentali. All’inizio del Settecento il barone Ehrenfried Walther von Tschirnhaus, aiutato dall’alchimista Johann Friedrich Böttger, scoprì come produrre ceramiche a pasta dura mediante l’aggiunta del caolino. Va ricordato che le ceramiche si classificano sostanzialmente in due categorie: quelle a pasta compatta o dura e quelle a pasta porosa. Le prime citate includono i gres e le porcellane, sono caratterizzate da una bassa porosità, elevata impermeabilità, e sono difficilmente scalfibili. Invece le ceramiche a pasta porosa, come le maioliche e le terrecotte, si contraddistinguono per la pasta tenera, assorbente, e più facilmente scalfibile. La scoperta delle ceramiche a pasta dura, quindi, ebbe un enorme successo per le proprietà che la caratterizzavano e nel giro di pochi anni la tecnica si diffuse in tutta Europa. Gli oggetti prodotti erano di grande qualità e raffinatezza, solitamente ispirati ai modelli orientali o al rococò francese. In Italia, tuttavia, le fabbriche che producevano tali ceramiche erano poche, e tra queste va certamente ricordata quella del marchese Carlo Ginori, fondata nel 1735 a Sesto Fiorentino. In particolar modo in area emiliano-romagnola la tecnica a “pasta dura” sembra non attecchire, essendo richiesta solo da un esiguo numero di aristocratici e ricchi borghesi, lasciando invece un ampio spazio alla produzione di maiolica, la cui diffusione era favorita da una vivace circolazione di merci, lavoranti, e imprenditori. Durante il Settecento si viene a costituire, dunque, una vera e propria tradizione popolare della maiolica. Il termine popolare, si precisa, fa riferimento sia alle tecniche “povere” utilizzate in queste produzioni, in cui solitamente si ricopriva un corpo poroso con degli smalti, sia alla larga diffusione che avevano tra i ceti popolari.

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La produzione di questo tipo di ceramiche era comunque molto vasta: alcune avevano una funzione esclusivamente decorativa, altre erano utilizzate per contenere acqua o altri alimenti, come il tragno in fig. 7, tradizionalmente utilizzato per contenere l’aceto e per farlo invecchiare. Altre maioliche avevano invece una funzione puramente devozionale, destinate ad adornare gli interni delle abitazioni o delle stalle, o dei pilastrini lungo le strade di campagna. In questo caso le iconografie erano legate sia a specifici luoghi di culto, come nel caso della Beata Vergine di San Luca (figg. 8 e 9), sia a rappresentazioni più antiche come la Madonna del Rosario, particolarmente frequente a partire dalla Controriforma (fig. 10).

Da questa esigenza devozionale derivavano quindi piastrelle solitamente dipinte su ingobbio, una tecnica di ricopertura della ceramica attraverso uno strato a base di argilla finalizzato a garantirne maggiore impermeabilità ed a ridurne la rugosità della superficie. Sopra a questa superficie di rivestimento, poi, venivano applicati dei pigmenti o con il pennello o spruzzandoli per creare piacevoli effetti cromatici (fig. 11, esempi di ceramiche dipinte su ingobbio). Degno di menzione, poi, è il Museo Civico di San Rocco a Fusignano, che raccoglie più di 150 esemplari di targhe devozionali in ceramica, riunendo un gruppo di maioliche certamente di grande interesse per la tradizione romagnola e non solo.

fig 11

L’impiego delle ceramiche a pasta porosa a scopi devozionali non si limita solamente alla produzione delle piastrelle sopra descritte, ma riguarda anche sculture in terracotta ispirate sia ai grandi modelli iconografici della tradizione cristiana, come il tema della deposizione (fig. 12), che a quelli coevi. L’esempio riportato in fig. 13, che mostra San Francesco di Paola con alcuni angioletti, rientra in quest’ultimo caso.

fig 12

Da un punto di vista iconografico, infatti, l’opera deriva dalla scultura in stucco di medesimo soggetto realizzata dal rinomato Angelo Gabriello Piò (Bologna, 1690-1769) per la Chiesa di San Benedetto a Bologna. Tale artista, che tra il 1744 ed il 1747 fu impegnato nel cantiere del santuario della Madonna di San Luca producendo più di venti opere in stucco a grandezza naturale, influenzò certamente un significativo numero di plasticatori, che si ispiravano ai celebri modelli del maestro riproducendoli per decorare chiese o dimore private.

fig 13

In conclusione, la produzione di ceramiche in area emiliano-romagnola tra Settecento e Ottocento si caratterizza per una rielaborazione di modelli ed idee che venivano rivisitati e condivisi dagli artisti dell’epoca, pervenendo ad esiti di grande interesse. La tradizione popolare che si era venuta a costituire, infatti, per quanto potesse risultare “meno aulica” rispetto a quella romana, più legata alla lavorazione del marmo, rifletteva pienamente la vivacità ed il dinamismo della società in cui si era sviluppata. Sfortunatamente il carattere devozionale di questa produzione di ceramiche che, come si è detto, erano spesso destinate alle abitazioni private, ne ha certamente favorito la dispersione, non impedendoci tuttavia di studiare quanto è stato rintracciato in collezioni pubbliche e private.

Matteo BECCARI     Bologna maggio 2018

Fonti e bibliografia

  1. Biancini, La fabbrica Minghetti e l’arte della ceramica in Bologna, Bologna 1927;
  2. Galli, L’arte della ceramica in Imola, Imola 1928;
  3. Barberini – M. Conti, Ceramiche artistiche Minghetti, Bologna, Sasso Marconi 1994;
  4. M.G. Morganti, La fabbrica Minghetti, in La ceramica dell’Ottocento nel Veneto e in Emilia Romagna, a cura di R. Ausenda – G.C. Bojani, Modena 1998
  5. Liverani, Maioliche Settecentesche dell’Emilia Romagna, Artioli 1981;
  6. Buti, La Manifattura Ginori: trasformazioni produttive e condizione operaia (1860-1915), L.S. Olschki 1990;
  7. Ceramiche devozionali nell’area emiliano-romagnola, cat. a cura di P. Guidotti, G. L. Reggi, A. Taracchini, Imola 1975;
  8. Cecchetti, Targhe devozionali dell’Emilia Romagna, Faenza 1984.