L’Architettura della Sicilia barocca (parte III^). Noto, il corso monumentale della città barocca

di Francesco MONTUORI

Migranti sull’About

di M. Martini e F. Montuori

CIVILTA’  ARCHITETTONICA  DEL  BAROCCO  SICILIANO

Terza  Parte

 Noto, il corso monumentale della città barocca

Il terremoto del 1693 sconquassò la Val di Noto, seminò morte, distrusse città e villaggi; il monaco Tortora lo visse personalmente e testimoniò:

“Nell’anno 1693, il 9 gennaio, ad ore 4 di notte, si intese un gagliardo terremoto che rovinò molte fabbriche con la morte di duecento e più persone e nel dì seguente ognuno si pose nelle pianure dentro e fuori della città, ed ivi per timore della replica d’un si grande flagello dimorò per tutta la notte del sabato …. Appena erano toccate le ore ventuno della detta domenica, compiendo l’ore quaranta, fece un terremoto così orribile e spaventoso che il suolo a guisa di un mare ondeggiava, li monti traballando si diroccavano e la città tutta in un momento miseramente precipitò con la morte di circa mille persone. Cessato questo si fiero terremoto, si turbò il cielo e s’annuvolò il sole, con dar piogge, grandini, venti e tuoni,”

Il duca di Camastra, incaricato dal vicerè spagnolo Useda della ricostruzione delle città siciliane, si mise immediatamente al lavori. Decise di abbandonare il modello urbanistico medioevale che si era dimostrato così vulnerabile; concepì la realizzazione di nuove strade rettilinee, rettificò i tracciati ancora esistenti e favorì una maggiore dimensione degli spazi pubblici, strade, piazze, slarghi. Pur nell’ improvvisa emergenza il duca di Camastra riuscì ad impostare un vasto programma di opere per la ricostruzione delle città devastate dal sisma. L’olandese De Grunembergh, esperto in fortificazioni e suo tecnico di fiducia, lo accompagnò nella visita delle città colpite dal terremoto.

Il 24 febbraio Camastra con il suo seguito arrivava a Noto, dove si fermò 14 giorni. Mentre a Lentini, Carlentini, Vizzini aveva deciso di ricostruire le città danneggiate nello stesso sito originario, a Noto non trovò che una montagna di macerie; il crollo di quasi tutti gli edifici della città costrinse il Camastra a cercare un nuovo terreno sufficientemente pianeggiante per la ricostruzione della città. Il terreno fu individuato a quattro miglia dalla città distrutta.

Attraverso un’azione rapida e decisa venne proposto un nuovo impianto urbano secondo lo schema regolare già adottato per le altre città terremotate, la pianta a “spina di pesce” di Hippodamos da Mileto. Un’impostazione che doveva permettere comunque la massima flessibilità, che tenesse conto delle ondulazioni del terreno prescelto e stabilisse precise gerarchie tra edifici pubblici, chiese, conventi ed edilizia residenziale.

Valutata la conformazione del luogo propose ai suoi architetti di disegnare larghe e diritte strade longitudinali e strade ortogonali fortemente in salita che prevedessero la possibilità di realizzare grandiose scalinate dirette al vertice di chiese alte e trionfanti.

Lungo il corso principale della città, sorsero una grande piazza destinata ai poteri politico amministrativo, il palazzo del Ducezio sede del Municipio, e del potere religioso, il Duomo di San Nicolò; una seconda piazza, attraversata da una croce di strade, venne destinata al mercato cittadino. Era un piano stradale aperto e pragmatico, che permetteva collegamenti semplici e rapidi come non avveniva nell’impianto medioevale; sul corso principale furono edificati gli edifici monumentali: il convento e la chiesa di San  Francesco, il monastero di San Salvatore, la chiesa e il convento di Santa Chiara, il collegio e la chiesa dei Gesuiti, il convento e la chiesa di San Domenico, il convento di Santa Maria del Carmelo (fig.1).

Fig. 1 Pianta della città di Noto nel Settecento

La rapidità della ricostruzione fu sorprendente ed in gran parte dovuta alle disposizioni finanziarie e alle donazioni che vennero messe a disposizione per la ricostruzione degli edifici religiosi.

Protagonisti della ricostruzione furono da un lato le maestranze locali, i capimastri, i lapidum incisores; dall’altro lato un gruppo di architetti siciliani alcuni giovanissimi, quasi tutti appartenenti agli ordini religiosi. Molti fra questi avevano completato a Roma la loro formazione, iniziata a Noto sui trattati che potevano essere consultati nelle biblioteche dei conventi. Una cultura architettonica che avevano appreso dal complesso linguaggio del Rinascimento e della Maniera e che si fuse con nuovi elementi di estro, di fantasia, di colore tipici della Sicilia del seicento. Le loro architetture furono improntate ad una profonda capacità di inserimento nel paesaggio urbano e naturale e ad un’attenzione particolare  verso la decorazione e il dettaglio architettonico: mensole, bugne, cornici, mostre, trabeazioni, ringhiere in ferro.

Fig. 2 Noto. Rosario Gagliardi, chiesa di San Domenico, 1703-1727

Gli architetti natini che ricostruirono la città furono Vincenzo Sinatra, Paolo Labisi e il fratello Angelo Italia; altri pervennero a Noto da diverse località come Gagliardi che, nato a Siracusa, aveva potuto vedere le architetture di Vermexio, del Pincherle, del Palma. Si aggiunse infine un nuovissimo adepto, il frate carmelitano Alberto Maria di San Giovanni Battista.

La loro cultura era vasta, non “localista” né provinciale; sia il Gagliardi che il Sinatra e il Labisi avevano maturato un chiara identità architettonica; avevano studiato a Roma facendo capo all’Accademia di San Luca dove avevano potuto consultare i voluminosi libri dell’archivio disegni. Fondamentale sarà per loro l’influenza di Carlo Rainaldi. La facciata convessa della chiesa di San Domenico (fig.2) e quella lineare del Duomo di San Nicolò (fig.3),

Fig. 3 Noto. Vincenzo Sinatra e Rosario Gagliardi, Duomo di San Nicolò, 1703
Fig. 4 Roma. Carlo Rainaldi, chiesa di Santa Maria in Campitelli, 1667

arricchite da libere e nette colonne, sono una meditata interpretazione del fronte di Santa Maria in Campitelli, opera di riferimento fondamentale per lo sviluppo del barocco romano e non solo (fig.4)

L’architettura di Noto non rappresenterà dunque un episodio regionale, ma un contributo di grande rilievo europeo.

Via Vittorio Emanuele è la principale arteria della città, asse generatore dell’organismo urbano, teatro degli avvenimenti pubblici e religiosi. E’ corso della città, orientato in senso est-ovest, una passeggiata ampia e diritta su cui convergono le vie ortogonali; sulla grande strada si affacciano chiese, conventi, monasteri, palazzi. (fig.5)

Fig. 5 La città di Noto e il corso Vittorio Emanuele negli anni ’70 del ‘900
Fig. 6 Noto. Arco di trionfo di Ferdinando II, 1838
Fig. 7 Noto. Chiesa di Santa Chiara, progetto di Rosario Gagliardi, 1730

Si entra su via Vittorio Emanuele attraverso l’Arco di trionfo (fig.6), eretto all’estremità ovest del corso in occasione della visita di Ferdinando II nel 1838; percorrendo il corso verso occidente si giunge ad uno spiazzo; tre edifici monumentali, gli antichi conventi di Santa Chiara (fig.7), di San Francesco (fig.8) e il monastero del SS.Salvatore (fig.9) sono tutti qui concentrati.

Fig. 8 Noto. Frà Angelo Italia, chiesa di San Francesco, 1745
Fig. 9 Noto. Monastero del SS. Salvatore,1723

La chiesa di San Francesco, detta anche l’Immacolata, in cima ad un’impervia gradinata, è elemento di snodo nella storia della cultura architettonica siciliana; nella chiesa di Santa Chiara il frate gesuita Angelo Italia rielabora un’analoga organizzazione dello spazio interno (fig.10) di quanto Guarino Guarini realizzerà a Torino per la chiesa della Sacra Sindone. Di fronte al San Francesco la lunga facciata del monastero di San Salvatore è rotta da una torre massiccia coperta a piramide, caratterizzata da ondulazioni borrominiane. La via in salita che li separa è pavimentata da strisce nere che ne sottolineano il tragitto, chiusa in alto dalle larghe cornici degli edifici che convergono con effetto prospettico, imprevisto e scenografico.

Fig. 10 Noto. Chiesa di Santa Chiara, interno

Le due esedre ai lati dell’imponente scalinata del Duomo di San Nicolò (fig.11), rappresentano un ulteriore episodio di rottura che il frate Angelo Italia, introduce nell’impianto urbano a scacchiera scelto dal duca di Camastra. Intervento ampio e non casuale in quanto ideato da un gesuita appartenente ad un ordine che fondava città in tutto il mondo, in particolare in America Latina, e che quindi aveva maturato un’esperienza urbanistica che lo ricollegava ad un profondo universo culturale.

Fig.11 Noto. Il Duomo di San Nicolò, la chiesa di San Francesco e il Ducezio di Vincenzo Sinatra del 1746

La piazza è articolata su due eventi: il Duomo di San Nicolò presenta un’imponente scalinata di accesso alla Matrice ed è delimitato da due strade in salita; scalinata e salita costituiranno i due fattori dell’impianto scenografico: abbracciano la molteplicità degli eventi urbani, collegano gli elementi architettonici, danno ordine agli effetti visivi; le due strade spezzano la regolarità e la geometria dell’impianto urbanistico della città.

Fig.12 Noto. Rosario Gagliardi, monastero di San Carlo Borromeo, 1730

Al lato opposto della piazza è collocato il Ducezio, il municipio della città intitolato al suo fondatore, opera dell’architetto Vincenzo Sinatra del 1746; era un organismo architettonico originariamente ad un solo piano, purtroppo in seguito modificato con l’aggiunta di un secondo piano.

Nella metà del settecento la piazza principale trovava la sua unità dalla posizione degli edifici che la circondavano e dalla presenza di un obelisco e di fontane, collocazione influenzata dalle realizzazioni tardo-barocche della Roma seicentesca; le fontane nella piazza, oggi trasferite alla piazza del convento di San Domenico, sottolineavano la lunghezza e la ristrettezza dello spazio, rafforzando l’asse centrale. Gli angoli sud orientale e sud occidentale della piazza sono delimitati da due edifici conventuali: il monastero di Santa Chiara e quello di San Carlo Borromeo (fig.12) adiacente al collegio dei Gesuiti (fig.13).

Fig.13 Noto. Rosario Gagliardi, collegio dei Gesuiti, XVIII sec.

La loro disposizione agli angoli della piazza è calcolata in modo di accrescere la grandiosità del grande complesso monumentale. In seguito saranno edificati i due lotti quadrati ai lati delle due esedre, e la lunghezza della piazza ne risulterà notevolmente ridotta.

Subito dopo Piazza del Duomo il corso Vittorio Emanuele interseca la prospettiva in salita di via Nicolaci chiusa in fondo dalla chiesa di Montevergine dello stesso Sinatra (fig.14);

Fig.14 Noto, via Nicolaci. Vincenzo Sinatra, chiesa di Montevergine, 1695-1697

sulla ripida salita i balconi si affacciano come logge di un teatro sullo spettacolo della strada; le mensole figurate che li sostengono, guarnite di mostri dai volti ilari e grotteschi, contribuiscono a rafforzare la scansione prospettica che è conclusa dal fronte convesso della chiesa, racchiuso da due campanili.

Fig.15 Noto. Vincenzo Sinatra, chiesa di San Domenico, 1703-1727

La massa architettonica del collegio dei Gesuiti e del monastero di San Carlo Borromeo prospettano sul corso poco prima dell’imbocco della piazza del Mercato. Sul lato nord della piazza furono edificate nel 1727, ancora su progetto del Gagliardi, la chiesa ed il convento di San Domenico; il fronte ricurvo scandito da colonne si affaccia sulla piazza: colonne ormai definitivamente espulse dai partiti murari, soluzione ricorrente del barocco siciliano, seguono liberamente la geometria dell’edificio e segnano con nette ombre il loro distacco dalla muratura di fondo (fig.15).

Chiudono il corso sul lato occidentale la chiesa di San Michele Arcangelo e il convento di Santa Maria del Carmelo.

La chiesa di San Michele Arcangelo (fig.16) realizzata con pianta ellittica da Rosario Gagliardi, consacrata nel 1763, presenta un fronte leggermente convesso a tre ordini; nel primo ordine due colonne con capitelli corinzi delimitano il portale; nel secondo ordine un finestrone con cornice arcuata e decorato con ghirlande è nascosto da una spessa grata di ferro; nel terzo ordine spicca l’apertura ad arco della cella campanaria sormontato da un timpano.

Fig.16 Noto. Rosario Gagliardi, chiesa di San Michele Arcangelo, 1763

Sull’altro lato del corso il convento la chiesa di Santa Maria del Carmelo ancora del Gagliardi ha un’impostazione analoga a tre ordini (fig.17); il fronte con una leggera concavità presenta un unico portale, sormontato da un grande scudo raffigurante lo “stemma dei Carmelitani” sorretto da due angeli; la semplice trabeazione, con un semiarco centrale è sorretta da quattro coppie di lesene; il secondo ordine ha una finestrone centrale inserito fra due coppie di lesene; volute laterali sono decorate da figure scolpite a bassorilievo. Il terzo ordine è rappresentato, anche in questo caso, da una torre campanaria centrale composta da tre nicchie sormontate da pinnacoli.

Fig.17 Noto. Rosario Gagliardi, chiesa di Santa Maria del Carmelo, 1743

L’aspetto più stupefacente della città barocca di Noto è il grande numero di chiese, monasteri, conventi, oratori; la nuova città sembra costruita per alloggiare una popolazione di preti, suore, seminaristi; nel 1748, quando Noto aveva poco più di diecimila abitanti, si contavano trentadue chiese, venti delle quali annesse ad istituti religiosi. Saranno le confraternite a garantire i servizi vitali per tutta la popolazione della città.

Gli architetti che ricostruirono Noto inserirono chiese e conventi nei punti nevralgici della città, spesso su terrazze e alti ripiani per conferire loro maggiore evidenza.

Avevano visto a Roma la scalinata di Ripetta dello Specchi e la salita di Trinità dei Monti del De Sanctis; così a Noto, come a Modica e Scicli, misero l’accento sulle scalinate esterne, sulle strade in salita e, con abili artifici, ottennero forti effetti di convergenza e scorci prospettici per ingannare lo spazio. La ricchezza dei dettagli e delle decorazioni fanno apparire le piazze, le strade, gli spazi comuni come spettacolari interni, articolati e decorati con la stessa ricchezza delle numerose chiese barocche che a Noto, rinata dal terremoto, furono in gran numero edificate.

A Noto la forma urbana  diventò scenografia.

Francesco MONTUORI  Roma 20 dicembre 2020