L’anestesia storica di una generazione. In un libro di Carla Guidi storie, segreti ed eventi dal boom agli anni di piombo

redazione

Pubblichiamo con piacere questa recensione di Valerio Strinati al volume della giornalista Carla Guidi  “Estetica anestetica. Il corpo, l’estetica e l’immaginario nell’Italia del Boom economico e verso gli anni di Piombo” (Robin 2018) selezionato al XXIII PREMIO DI SCRITTURA FEMMINILE “IL PAESE DELLE DONNE” https://www.womenews.net/2022/11/02/xxiii-premio-di-scrittura-femminile-il-paese-delle-donne-graduatoria-2022/. L’articolo – rimasto inedito-  presenta un’analisi storica dettagliata ed esaustiva, andando al di là del valore letterario del testo e si dimostra di piena attualità.
Valerio Strinati è stato consigliere parlamentare del Senato della Repubblica dal 1986 al 2014. Redattore di Patria Indipendente, quindicinale dell’ANPI. Attualmente è segretario generale dell’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane (AICI). E’ autore di numerosi saggi di storia politica, istituzionale e sindacale. https://www.storialavoro.it/chi-siamo/i-nostri-soci/valerio-augusto-strinati/

Il libro prende in esame le radici storiche di quello che siamo oggi, sono moltissimi infatti i riferimenti storici ed antropologici riferiti, per dare a lettori informazioni utili per orizzontarsi e riflettere, fin dall’immagine metaforica di copertina da una foto di Valter Sambucini*. Una memorialistica a rappresentare anche la gioventù del dopoguerra (Baby Boomers) resiliente e, nonostante tutto, affamata della vita sottoposta alla mortificazione estetizzata di un periodo storico-sociale in cui iniziava la vera guerra commerciale ed il bombardamento dell’immaginario collettivo con nuovi accattivanti prodotti, anche addirittura stupefacenti, l’invasione delle plastiche e la distruzione dell’ambiente, l’ambiguità della Pop Art e dei media. Non a caso il libro inizia citando La società dello spettacolo di Guy Debord, che aveva già intuito che proprio la spettacolarità anestetizzante sarebbe diventata “il cattivo sogno della società incatenata”.

La narrazione passa, tra avvenimenti epocali ed attraverso una realtà stratificata che copre molti segreti. Dagli anni ‘50/’60 il sesso e la procreazione, insieme alla terribile verità sulla recente guerra che l’Italia contadina aveva perso, insieme alla propria dignità, abbandonata all’interno di un’agonia lunghissima, per infine rivelare come l’occultamento riguardasse i servizi segreti, i Colpi di Stato, gli uomini di Mussolini ancora al potere e mai processati, il vero scopo degli attentati e l’uccisione di personaggi divenuti scomodi.

Infine il libro si può leggere anche come un viaggio psicofisico attraverso un labirinto esistenziale, incontrando anche i mostri che lo popolano, sia nella Firenze dove vive la protagonista, metafora della rinascimentale Città Ideale, sia nella Roma, centro del potere, dove approda infine allo scadere della maggiore età, alla ricerca dell’illuminazione.

2 Valter Sambucini autoritratto
3 Valerio Strinati foto di Valter Sambucini

Non è facile ricondurre nell’alveo rassicurante di una definizione univoca e onnicomprensiva il lavoro di Carla Guidi: autobiografia, saggio critico, racconto di una generazione, libello politico, ognuna di queste etichette si rivela di volta in volta inadeguata o addirittura fuorviante, se rapportata a una scrittura rapsodica e vagabonda, posta costantemente in bilico tra narrazione individuale e storia collettiva, in un continuo gioco di specchi nel quale l’una spiega e rimanda all’altra.

Si tratta, in un certo senso, di un progetto letterario candidato a esercitare una peculiare e indiscutibile fascinazione sulla generazione a cui appartengono sia l’autrice, sia chi scrive. Una generazione che ha raggiunto la maturità senza avere conosciuto l’orrore della guerra, ma che della guerra, di quella terribile e devastante esperienza che è stato il secondo conflitto mondiale, ha percepito confusamente gli echi, a partire dai racconti di genitori e nonni, nel corso di un’infanzia trascorsa in un paese ancora ripiegato sul trauma della sconfitta e della catastrofe recente, povero, austero e parsimonioso, al di là delle appartenenze sociali.

Dentro la mentalità collettiva di questa realtà di povertà e umiliazione, era germinata quasi spontaneamente, nella sfera familiare e privata ancor prima che in quella pubblica, una inclinazione, diffusa fino a diventare maggioritaria, ad accogliere la versione più conformista e retriva della morale cattolica, insieme pervasiva e persuasiva (egemonica, per usare un’espressione gramsciana). Questo proprio in virtù della sua straordinaria capacità di proporsi come regola flessibile di condotta individuale (anche per chi si collocava su altri e diversi versanti politici e religiosi) ed al tempo stesso di assecondare il desiderio collettivo di dimenticare e di essere dimenticati, di affidare all’oblio non solo gli orrori ma anche le responsabilità personali e collettive per quanto era avvenuto durante quella tremenda tempesta che si era abbattuta sull’Italia. Tutto questo anche in una città confortata dalla lungimiranza di un sindaco indimenticabile come La Pira.

4 Firenze foto di Valter Sambucini

E, se ci è consentito di introdurre qui una considerazione di ordine storico e politico più generale, proprio questa capacità di forgiare un senso comune rassicurante e “anestetico” (per dirlo con l’autrice) ha agevolato, tra l’altro, il passaggio – alla fine degli anni Quaranta del secolo passato – dall’antifascismo come presupposto della rinascita dell’Italia democratica, all’anticomunismo come ideologia dominante della vita pubblica sotto i governi centristi di De Gasperi e Scelba.

Che cosa poteva cogliere un bambino o una bambina di questi scenari politici e sociali? Frammenti, indizi – come quelli efficacemente descritti dall’autrice nelle pagine iniziali – che si aprono su pezzi di realtà scarsamente intellegibili, proprio per le reticenze degli adulti, ma che iniziano a essere decifrate attraverso le prime, piccole trasgressioni, incoraggiate, nel caso dell’autrice, da una nonna materna anticonformista e libertaria, in tacita ma costante tensione con il genero democristiano, comunque una nonna “molto diversa dalla mamma”, per iniziare un approdo al comunismo come conseguenza naturale dell’asprezza di una vita di lavoro e di lotte. Questo anche attraverso le prime scoperte, guardinghe e clandestine, della propria fisicità, come è avvenuto un po’ per tutta una generazione, a fronte del mondo degli adulti distratto nei confronti dell’infanzia e preoccupato solo di nascondere, sopire, rimuovere ogni irrequietezza, per delegare infine a un’ “educazione di strada”, magari a un coetaneo più smaliziato, la scoperta delle cosiddette “cose della vita”.

Si leggano, a questo proposito, le pagine sulla legge Merlin, e la realistica descrizione di come una bambina, condizionata da stereotipi femminili ed edificanti narrazioni – veicolate anche da canzonette di successo, come la famosa Profumi e balocchi – cerchi invano di farsi strada in mezzo all’ostinato silenzio di chi sa, semplicemente per tentare di comprendere in che cosa consista quella novità di cui tutti parlano, così dibattuta e contrastata in seno all’opinione pubblica, ma tenuta tenacemente nascosta dal perbenismo di adulti, molti dei quali (e non solo maschi, come ben scrive l’autrice) avrebbero del resto guardato con nostalgia e rimpianto alla fine dell’epoca delle “case chiuse”.

Si tratta di eventi, ma anche più semplicemente, di sensazioni, intuizioni e descrizioni che, nel passaggio a una dimensione più corale della narrazione, introducono ad uno scenario di transizione, non solo economica ma anche e soprattutto, sociale e culturale, che guarda ai primi incerti passi dell’Italia del benessere, ansiosa di liberarsi del plumbeo clima politico e culturale che aveva caratterizzato i primi anni del dopoguerra.

Siamo nella prima metà degli anni Cinquanta, all’esordio di quei Golden Thirty Years (1945-1975) lungo i quali si è andata svolgendo un’epoca di benessere, crescita e prosperità del mondo occidentale, mai eguagliata in seguito, in un momento nel quale anche nel nostro paese si iniziavano a percepire le avvisaglie di un’epoca nuova. Era annunciata dai segni ancora poco decifrabili del nascente consumismo, ma anche dalle prime manifestazioni di una nuova sensibilità e di nuove esigenze, spesso veicolate in forme troppo frettolosamente accatastate sotto l’etichetta della “cultura di massa”, in realtà costituite dalla confluenza di eventi, anche minori, emblematici però dell’imminenza e della necessità di un mutamento dei costumi, ancora prima che della vita pubblica. Allora come ora scarsamente recettiva nei confronti degli umori e delle irrequietudini che attraversano e scuotono la società civile.

Impossibile ripercorrere in dettaglio la congerie di fatti pubblici e privati, politici, religiosi e di costume attraverso i quali le pagine che seguono, ricostruiscono il quadro del passaggio dall’Italia del dopoguerra a quella del miracolo economico. Si tratta di un caleidoscopio più che un mosaico, nel quale diversi  frammenti, di varia dimensione, entrano a comporre via via figure più complesse, così che sullo sfondo della vicenda individuale, si intrecciano gli eventi della piccola e della grande storia (ammesso che tale distinzione sia possibile). Appena un accenno a questo: – Il successo delle prime trasmissioni televisive Lascia o raddoppia? Il Musichiere e, poco prima che la censura che si abbatta sull’irriverente Canzonissima di Dario Fo e Franca Rame, ricordiamo l’importante e innovativo esperimento didattico sul piccolo schermo dell’indimenticabile maestro Alberto Manzi con il suo Non è mai troppo tardi. Poi le canzoni innovative di Domenico Modugno, di Mina e degli urlatori che scompaginano la melensa tradizione della musica leggera del dopoguerra; poi ancora l’apparizione di Barbie, l’immarcescibile giocattolo di provenienza statunitense che incorpora una precisa visione della donna, ma al tempo stesso ed al momento del suo lancio, vettore di una precisa e coordinata strategia di mercato.

Poi ancora la gara tra USA e URSS nella corsa allo spazio, accompagnata dai primi segnali di distensione tra le due superpotenze dopo la crisi di Cuba, la successione di Angelo Roncalli sul trono di Pietro, con le speranze suscitate dai primi umanissimi messaggi, profondamente distanti dall’algida ieraticità del suo predecessore, dissacrato post mortem da una sistema mediatico già avviato in direzione di uno scandalismo privo di scrupoli. La politica infine, con la crisi del centrismo e con la rivolta antifascista del luglio 1960, che blocca sul nascere il tentativo di svolta a destra intrapreso dal governo Tambroni ed apre l’avvio del dialogo tra socialisti e cattolici, con l’apertura a sinistra, assecondata da un contesto nel quale il difficile rinnovamento della Chiesa – con il papato giovanneo – si accompagna ad un più disteso clima delle relazioni internazionali ed alle aperture della presidenza di John Fitzgerald Kennedy.

5 Carla Guidi foto di Grazia Menna

Leggendo il libro di Carla Guidi si ha l’impressione di percorrere un’autostrada con numerosissime uscite laterali, ciascuna delle quali invita il lettore-viaggiatore a una sosta, provoca un incontro imprevisto o, quanto meno, spinge a una deviazione che poi riconduce, più o meno rapidamente, all’itinerario principale. Fuor di metafora, questo approccio solleva un interrogativo che si può cercare di formulare in questi termini: come ricondurre a una lettura unitaria una scrittura così articolata, nella quale alla narrazione autobiografica fanno continuamente da contrappunto i richiami a eventi e personaggi della cultura del Novecento, il commento politico, la nota di costume, e poi, di nuovo, la ripresa di un percorso più intimo e personale?

Aggirando dunque la tentazione di addentrarsi (e perdersi) in divagazioni su temi un tempo definiti “di varia umanità”, tentazione peraltro continuamente sollecitate da una scrittura nomade, sembra di potere ritrovare un provvisorio ubi consistam dell’intero libro in una riflessione in chiave autobiografica ed intima sulla trasformazione della società italiana, sul suo faticoso approdo a una modernizzazione. Per i nati nel dopoguerra questo si è tradotto in un continuo intreccio di vicende pubbliche e private, rese efficacemente, (nel nostro caso) attraverso una storia personale fatta di conquiste successive, nella quale anche gli incontri affettivi, sentimentali e sessuali, sono insieme scoperta di sé e occasione di allargare i propri orizzonti intellettuali e la propria coscienza critica.

Tutto ciò ha uno dei possibili inizi nei primi anni Sessanta: anni in cui il panorama della cultura italiana viene progressivamente popolandosi di novità rilevanti, importate per lo più dal mondo anglosassone, nel campo della narrativa, della musica, delle arti visive e della comunicazione; dalla beat generation al fenomeno Beatles alla Pop art, tutte accompagnate dal dilagare della televisione come strumento di egemonia e unificazione culturale delle società occidentali. Le pagine che l’autrice dedica alle sue personali scoperte e riflessioni sui singoli artisti e sulle nuove tendenze nelle arti figurative sono infatti emblematiche di un approccio che, ad avviso di chi scrive, accomuna tutta la generazione approdata alla protesta degli anni Settanta. Un approccio riassumibile in una ricerca che non fu mai semplice approfondimento erudito, ma svelamento di sé attraverso un percorso di apprendimento quasi mai lineare, gesto di autocoscienza che nelle affinità e nelle discordanze con autori, artisti e filosofi, fa costantemente risuonare la nota dell’avventura intellettuale come atto di fondazione di una personalità indipendente dalle proprie origini sociali e dalla propria storia familiare.

Ogni novità di quell’inizio di decennio ha lasciato in effetti una traccia profonda nelle giovani generazioni che, sostenute da un benessere ignoto ai loro genitori e nonni, iniziano a rivendicare una vita più piena e libera, spesso scontrandosi con un mondo ancora dominato da un conservatorismo duro a morire. Questa aspirazione emancipatrice finisce spesso – non solo con lo scontrarsi con un comune sentire ancora in larga misura ostile – ma incorre anche nei rigori della legislazione penale, regolata all’epoca dal codice fascista che porta il nome di Alfredo Rocco, il guardasigilli di Mussolini. In un clima di scontro, destinato a dividere profondamente l’opinione pubblica, vengono celebrati processi destinati a fare storia, come quelli  contro don Lorenzo Milani e contro i giovani della Zanzara, accomunati dalla rivendicazione di un diritto al dissenso su temi lasciati lungamente in ombra, come l’obiezione di coscienza e l’educazione sessuale; o come il processo contro Aldo Braibanti, il mite intellettuale condannato per “plagio”, un reato dichiarato molti anni dopo incostituzionale dalla Consulta. Sono eventi rivelatori del pervicace conservatorismo che attraversava parti ancora molto consistenti della società italiana, che si manifesterà con andamento carsico nel corso dei decenni, per riemergere poi con prepotenza con la svolta di Tangentopoli e la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica.

Contestualmente, in quel difficile e complesso decennio che furono gli anni Sessanta, si veniva enucleando un nuovo e più insidioso produttore di consenso e di conformismo che si manifestava, sull’onda del Miracolo economico, con il progressivo abbandono delle forme più esplicite di autoritarismo istituzionale e la nascita di una forma morbida (anestetica diremo nuovamente con l’autrice, che dedica a questo proposito pagine molto convincenti, anche alla progressiva sottomissione di alcuni artisti, nati “sovversivi”, alle logiche del mercato) di inquadramento e omogeneizzazione collettiva.

Sotto l’egida di un rassicurante consumismo, funzionale anch’esso ad assicurare gli equilibri sociali e politici dati, non più attraverso la coercizione, ma in virtù di una dimostrata capacità di depotenziare ogni manifestazione di insofferenza, di conflitto e di ribellione, si procede verso la sua trasfigurazione in un innocuo prodotto commerciale da pubblicizzare e scambiare alla stregua di qualsiasi altra merce.

6 Firenze foto di Valter Sambucini

Ancora eventi: il 4 novembre 1966, l’alluvione di Firenze è una catastrofe inattesa, che lascia l’Italia “percossa e attonita”, ma è anche l’annuncio di una nuova stagione di protagonismo giovanile, con l’afflusso imprevisto da tutta la Penisola di volontari impegnati nel salvataggio del patrimonio culturale nella città, dove la scrittrice vive. È una forma di impegno civile che prelude all’esplosione della protesta del 1968. Scrive l’autrice a questo proposito:

Anche l’Italia era cambiata e stava cambiando il suo modello di sviluppo. Il proletariato analfabeta aveva lasciato il posto, nelle piazze, ai giovani affamati di cultura che volevano emanciparsi, che si univano ai figli dei borghesi contro il dominio dei conservatori, rimasti arroccati dentro le loro fortezze istituzionali, non concedendo aperture e riforme nemmeno davanti alle sacrosante proteste”.

Pur mantenendosi sempre sul doppio registro pubblico/privato, la narrazione non manca di cogliere e sottolineare la caratteristica più significativa del Sessantotto, quella cioè di essere stato un movimento globale, dagli Stati Uniti, scossi nella loro identità imperiale, alla protesta contro la guerra del Vietnam, dalla lotta di emancipazione degli afroamericani alle metropoli occidentali, percorse da fiumi di ribellioni studentesche, ai movimenti di liberazione dei paesi del Terzo Mondo fino ai paesi dell’Est europeo, con atti che anticipavano di venti anni la crisi del comunismo e dell’impero sovietico.

Non sembra fuori luogo soffermarsi brevemente su questo tema, poiché lo sguardo “lungo” che l’autrice getta sulla modernizzazione italiana, pur privilegiando un punto di vista autobiografico, non manca tuttavia (anche per l’esemplarità della vicenda narrata) di prestarsi a una riflessione di carattere più generale. Proprio per quanto si è detto finora, la protesta giovanile alla fine degli anni Sessanta si radica nei mutamenti del costume e della mentalità collettiva, maturati in precedenza, ma al tempo assume rispetto ad essi una prospettiva diversa e ne propone una lettura più ampia.

Con il tentativo di tradurre l’irrequietudine intellettuale del decennio precedente in un progetto politico antagonista nelle enunciazioni generali, basato fondamentalmente – al di là della rappresentazione che i movimenti offrivano di se stessi – su un’ipotesi di ridefinizione e redistribuzione di risorse e saperi, si cercava di far sì che il processo di modernizzazione in atto nella società italiana potesse essere declinato in una prospettiva democratica. Prospettiva declinata sia nel senso di superare gli squilibri strutturali tradizionali, (a partire dallo storico dualismo territoriale) sia in quello di ampliare la sfera dei diritti civili e sociali ed incentivare nuove forme di cittadinanza attiva, di partecipazione. In sostanza, un tentativo di delineare un esito progressivo della crisi di crescita della società italiana. Si può formulare un giudizio complessivo, in termini di successo o insuccesso di un simile sommovimento?

Certamente il modello di democrazia, bloccata negli anni della contrapposizione bipolare, ha impedito che esso si strutturasse nella forma di progetto di governo. Al tempo stesso, i contestatori degli anni Settanta non hanno saputo tenere adeguatamente conto delle vischiosità e delle resistenze di una società complessa che, già alla fine del decennio, si apprestava ad avviare il processo di  passaggio dal modello fordista a quello post industriale, dispiegatosi in pieno quando già i movimenti di protesta avevano largamente esaurito il loro slancio iniziale. Ma non c’è dubbio che il lascito di lungo periodo del Sessantotto, (quel lascito, peraltro, che dovrebbe essere sottoposto a un obiettivo e spassionato vaglio critico per scongiurare il rischio che il cinquantenario si risolva in una celebrazione, esorcistica o nostalgica, secondo i diversi punti di vista) consista proprio nell’avere spostato equilibri politici e sociali.

Spezzato altresì modelli egemonici apparentemente inscalfibili e nell’avere indotto modificazioni nel costume e nella mentalità collettiva che, anche se sempre reversibili, hanno tuttavia consentito nel passato di compiere passi in avanti molto significativi sul terreno della partecipazione democratica e dei diritti. Si pensi, ad esempio, alla narrazione al femminile delle pagine che seguono che invitano a rintracciare la radice della grande rivoluzione culturale rappresentata dal movimento femminista, ai grandi passi in avanti compiuti dal referendum sul divorzio in poi, sui temi non solo della parità ma anche della valorizzazione delle differenze di genere.

C’è forse, da questo punto ci vista, un eccesso di unilateralità nel giudizio dell’autrice sulla diretta filiazione del terrorismo rosso dalle proteste degli anni Settanta. Non che questo legame non esista, ma esso, pur innegabile, non è riducibile nei termini di un ineluttabile nesso di causalità, mentre si può rappresentare piuttosto come l’esito di una degenerazione del radicalismo politico espresso in seno ai movimenti di protesta. Senza dimenticare però che si tratta di uno degli esiti prevedibili, ma non certo dell’unico e neppure di quello maggioritario. La tragica vicenda del partito armato, con il suo seguito di devastazioni e di lutti, ha proiettato un cono d’ombra sull’intera sulla società italiana negli anni Settanta, riuscendo così a offuscare il lascito più vitale, significativo e fecondo della protesta giovanile e operaia. Ovvero offuscando la continuità di una presenza critica impegnata, con alterni risultati, nel contrasto alle culture della restaurazione, così diffuse negli ultimi anni, nell’affermazione dei valori della partecipazione democratica, dell’eguaglianza e della solidarietà … a partire da un impegno che ha operato e continua a operare sui diversi versanti del volontariato, della tutela dell’ambiente e della salute, dell’istruzione e nelle più diverse sedi, sociali e istituzionali.

Di certo il sentimento di smarrimento, per la cappa di piombo calata sul paese intero dopo l’assassinio di Aldo Moro, segna un momento difficilmente dimenticabile per chi ha vissuto quel momento in età già adulta. È questo uno degli ultimi eventi accennati nella narrazione, l’epilogo pubblico di un processo di rientro nel privato che per l’autrice, come per molti che hanno vissuto la sua stessa esperienza, segna un momento di disillusione, ma anche di maturazione personale, di più decisa e assertiva affermazione di sé. Per dirla in altri termini, di congedo definitivo da una certa irrequietudine adolescenziale percepita ormai come non più compatibile con la necessità di definire se stessi e il proprio ruolo sociale.

7 Roma foto di Valter Sambucini

La consapevolezza del declino della stagione della partecipazione e dell’impegno traspare, negli ultimi capitoli del libro, da una maggiore propensione alla narrazione autobiografica e ad una più attenta riflessione sul tema della formazione personale. Certamente si tratta di una scelta che è fortemente tessuta di un senso di ripiegamento e di disillusione, reso più acuto, ancora una volta, dagli scenari esterni, punteggiati, nel corso degli anni ’70, dall’emergere dell’eversione nera, dalla strage di Piazza Fontana fino all’attentato alla stazione di Bologna. Come scrive l’autrice, lasciando risuonare il tono più pessimistico della narrazione

Alla fine di questo 1969, finita la grande ubriacatura, quasi tutti erano ritornati al privato, pur provando molta delusione nel riflusso della grande marea. Quasi tutti erano ormai convinti che il Sistema non si poteva abbattere, ma nemmeno cambiare in tempi brevi; quel Sistema che continuava a tenere sotto controllo il Paese, nascondendosi sotto modalità demagogiche, ambigue, complesse.”

Si può essere più o meno d’accordo con questo giudizio (di sfuggita, va detto che proprio nel corso degli anni Settanta e Ottanta, si sarebbero evidenziate crepe e conflitti di un sistema politico e istituzionale la cui realtà finiva con il risultare molto meno monolitica dell’apparenza). E’ però innegabile che esso coglie un aspetto non secondario dello stato d’animo di chi andava comprendendo che le spallate assestate dai movimenti di massa, per quanto robuste, non erano riuscite a incidere in profondità sugli equilibri politici e sociali che ci si proponeva di scardinare. Di qui, il ripiegamento sulla dimensione più privata della narrazione: alle esperienze di studio e di lavoro, raccontate dall’autrice con oggettività tessuta di ironia, non cessa peraltro di accompagnarsi la contemplazione, più distante ma pur sempre partecipata, agli eventi esterni.

Da qui il districarsi, ancora una volta, dai nodi del pubblico e del privato, la progressiva maturazione nel distacco dall’ambiente familiare, l’addio a Firenze e l’approdo a Roma, emblematica conclusione di un percorso personale, nel quale però molte lettrici e molti lettori potranno ritrovarsi o sul quale potranno quanto meno confrontarsi. Perché è proprio questo il fascino delle storie di vita: partire dall’irripetibilità dell’esperienza individuale per offrire a chi legge un’occasione, un pretesto, per riflettere sulla propria, sovrapporre l’una all’altra, cercando le coincidenze e marcando le distanze.

8 Roma foto di Valter Sambucini

In un momento come quello attuale, nel quale il valore della memoria è costantemente insidiato dall’eterno presente nel quale sembra sprofondare il nostro tempo, la ricostruzione di un percorso individuale, con i suoi mille risvolti e le mille implicazioni, può adempiere meglio di altri tipi di narrazione al compito forse più essenziale dell’arte di raccontare, quello cioè di riallacciare i molteplici nodi che vincolano le nostre esistenze a quelle dagli altri, cercando in questo delicato e complesso percorso esistenziale la riserva di valori alla quale attingere nei momenti di smarrimento che un presente denso di insidie e incertezze tende purtroppo a moltiplicare.

Roma 20 novembre 2022

*La foto di copertina del libro è stata scattata da Valter Sambucini in occasione di Lucca Comics & Games del 2011

Roma 20 Novembre 2022