La Madonna Estheràzy capolavoro di Raffaello in mostra a Palazzo Barberini (fino all’8 aprile)

di Massimo FRANCUCCI

                MADONNA ESTHERAZY

mostra a cura di Cinzia Ammannato

Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma – Palazzo Barberini
31 gennaio – 8 aprile 2018

Nel corso del 1508 giunse a Raffaello l’agognata possibilità di cimentarsi sul più importante palcoscenico artistico di allora e di contribuire da protagonista a scrivere una delle pagine più importanti della storia dell’arte: Giulio II della Rovere ne richiedeva i servigi a Roma. Stando al Vasari il suo nome era stato suggerito al pontefice dal fidato e geniale architetto Donato Bramante che del Sanzio era conterraneo, al fine di collaborare alla decorazione delle Stanze, una collaborazione di breve durata dal momento che, riscosso l’apprezzamento del volitivo pontefice, Giulio II, licenziati tutti gli altri, volle che egli solo le conducesse a termine.

Lasciate alcune opere incompiute, altre affidate invece a colleghi fidati, il giovane urbinate aveva abbandonato Firenze portando con sé lo stretto necessario, tra cui una piccola tavoletta raffigurante la Vergine col Bambino e San Giovannino che, sebbene non terminata, avrebbe potuto in breve acclararne il talento agli occhi dei nuovi committenti, oltre che palesarne la cultura artistica conquistata nel corso delle peregrinazioni che lo avevano condotto infine in riva all’Arno. Proprio qui, in  un soggiorno che in quell’anno volgeva al termine dopo poco meno di un lustro, Raffaello aveva fatto suoi, ad esempio, gli insegnamenti leonardeschi, che si riscontrano con agio nella composizione del dipinto e nella sua mirabile compenetrazione di figure e paesaggio.

La bella tavoletta è però divenuta celebre con un nome che a Raffaello sarebbe sembrato esotico, ossia quello dei nobili ungheresi Esterházy, che ne sono entrati in possesso nel corso del Settecento e la cui collezione è confluita nel 1870 allo Szépművészeti Múzeum di Budapest.

È la celebre Madonna Esterházy, dunque, ad essere offerta alla devozione del pubblico nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, in seguito ad uno scambio che, favorito dai lavori di ristrutturazione del museo ungherese, la vede rimpiazzare la Fornarina volata a sua volta a Bergamo in occasione della mostra Raffaello e l’eco del mito all’Accademia Carrara.

Un’opera paradigmatica, dunque, pur nella sua incompiutezza che lascia più volte trasparire, al di sotto della leggera pellicola pittorica, il tratto del disegno che Raffaello aveva tracciato aiutandosi con lo ‘spolvero’: il disegno preparatorio si trova oggi agli Uffizi e in mostra se ne presenta una bella riproduzione. Al contrario si allude solamente al disegno di Leonardo della Royal Library di Windsor che è stato giustamente indicato quale importante precedente per la composizione raffaellesca, poiché mostra allo stesso modo la figura della Vergine guadagnare in plasticità e in movimento grazie alla posizione di tre quarti.

Dal menzionato foglio fiorentino la tavoletta si distingue solo nel paesaggio, ma non è un particolare di poco conto, poiché nella tavola si scorgono rovine antiche modellate su quelle del foro romano e ritratte con una nitidezza tale che può essere figlia solo di una conoscenza diretta. Ciò è stato spiegato da coloro che hanno voluto datare il dipinto nel pieno degli anni fiorentini con un primo viaggio a Roma, ma è più semplice ipotizzare una variante in corso d’opera al momento del trasferimento nell’Urbe e leggervi semplicemente l’esito di una prima fascinazione dell’antico sulla creatività di Raffaello: altrimenti perché non ve ne sarebbe traccia alcuna nel disegno?

Oltre a questo il dipinto continua a celare numerosi segreti a partire dal perché della sua incompiutezza, per proseguire col silenzio delle fonti per un paio di secoli, prima che Clemente XI Albani lo donasse nel 1708 alla principessa Elisabetta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel, in occasione della sua conversione, da luterana, al cattolicesimo in vista delle nozze con Carlo d’Asburgo. Alla sua morte il dipinto deve essere passato nelle mani di sua figlia Maria Teresa prima di finire, in un momento imprecisato, in quelle degli Esterházy e giungere, come detto, nelle collezioni di Budapest quale gemma più preziosa. Le avventure purtroppo non finiscono qui poiché nel 1983 il dipinto fu rubato assieme ad altre cinque opere prima di essere recuperato dai carabinieri italiani in un monastero in Grecia. Ma ora fortunatamente la Madonna Esterházy è qui, a Roma, quale incunabolo dell’attività di Raffaello nella Città Eterna cui rendere un doveroso omaggio.

Massimo FRANCUCCI      Roma 31 gennaio 2018