di Lev M. LOEWENTHAL
LUSCENGOLA DI STEFANO MADERNO DAÂ BISSONE, SCULTORE DI GRAN FAMA
Dâun calesse lontano un’eco fuggevole. Passi celeri sul selciato e … la cecia (1) sul trabiccolo sâè tosto freddata:
âSfondrato, stramaledetto cardinal tignoso, ho guazza gelata sotto il coltrone!â.
Stipendiato da quel pitocco pittima del Cardinale Sfondrato, Stefano Maderno da Bissone, scultore, aveva il proprio giaciglio in una bettolaccia romana di letichini farisei, ai quali doveva lemosinare anche un poco di foco per incalorirsi il letto.

Mentre, la notte del 22 novembre 1599, il sonno prendeva a ravvolgerlo, con lâocchio ancora dischiuso egli intravvide un rettile sul tavolaccio, proprio tra il pane raffermo e la coltella da formaggio.
Una luscengola che s’avviticchiava su quel bronzato dâErcole e Anteo, châegli aveva fatto per addestrarsi un poco nellâarte dâimitar gli antichi. E sâattorceva su dâuna calĂŹa donatagli come gran cosa dal suo Monsignor Mignatta.
Quel corpo selenico bislungo, ricoperto di squame sfolgoranti, luceva nella sorgente diafana dâun barlume di luna che entrava da una losanga della finestra e mandava tuttâattorno bagliori nella cameraccĂŹa buia.
âVarda, varda come sguizza la saetta, che tronada malarbetta, varda i fĂŹamm, varda lassĂš …â.
Per non rimanere folgorato, Stefano Maderno nascose il capo sotto le lenzuola fredde. Una musica d’organo e una melodia latina piovvero allora dal soffitto come da cantorĂŹa. Una voce gutturale, appena velata, sottile, rĂŹsuonava di leggeri innumerevoli accordi, come se riproducesse il timbro dei piĂš svariati strumenti musicali antichi e moderni e ancora da costruirsi, e pareva che nessuna sua nota fosse stata mai catturata da alcun pentagramma. Come accompagnamento alle parole incomprensibili sâudiva il passaggio di venti lunari.
Il Maderno, scultore affamato, fece capolino da sotto il coltrone e risguardò:
âIl vino era annacquato: o sogno, o la follia della fame, in questâeufonia, inizia a visitarmi!â.
La luscengola gli sorrideva con labbra umane e volto di fanciulla bionda, adorna dâunâaureola rilucente di fiamme vive, come dâEssenza eterna. Non umana, quel sorriso esprimeva una gioia, quasi una divina letizia.
Stefano Maderno, con un colpo di reni, si trovò in piedi, si precipitò sul tavolaccio, afferrò la coltella da formaggio e menò tre fendenti alla cieca contro quella luce dâastri. I venti lunari turbinarono e in un mulinello dâaria capricciosa si spensero i tanti accordi âŚ
I passi sul selciato si fecero piĂš vicini. Tutto, se mai era accaduto, doveva esser durato il tempo dâun baleno. Stefano Maderno da Bissone udĂŹ quel ticchettio ritmato di passi varcare il portone della taverna, salire lentamente le scale e fermarsi dinnanzi alla porta del suo antro ora, nuovamente, buio.
Un ometto candido, con piedi piccoli entro scarpini lucidi e mani minuscole ben curate entrò senza bussare, portando su un vassoio una lepre macerata nellâolio dâalloro e cotta nel vino.
Il messo del Cardinale!
Stefano Maderno sâaccigliò, divorò la lepre e lâolio dâalloro gli rigò il mento.
âSe il Cardinal Pitocco mi pasce come un bue, vorrĂ pur ben che gli renda un qualche servizio!â.
âPresto, presto, è stato ritrovato, il corpo della santa, ancora intatto. Il Cardinale ordina che il suo scultore si rechi immantinente in Trastevereâ. Sussurrò in un fiato lâometto.
Nel pulirsi i denti con la lingua, Stefano Maderno sentĂŹ un lontano sommessissimo lamento, come un pianto composto ed armonioso.
âLa luscengola? Devo averla vista nel delirio della fame âŚâ.
Lâomino argenteo ticchettò col piede in terra, e su, su, sâha da far presto, lesto, lesto, Sua Eminenza attende.
In chiesa il corpo selenico dâuna giovane, le braccia e le gambe compostamente abbandonate, come se dormisse, stava disteso sotto lâaltare maggiore, coperto dâuna morbida tunica bianca.
Nella nebbia mattutina, il primo raggio di sole che filtrò dalla vetrata si specchiò in quel chiarore diafano. La giovane aveva il capo timidamente volto allâindietro.
Il pallido collo scoperto, offerto alla vista del Maderno, era orribilmente deturpato da uno squarcio profondo nella carne, che pareva ancora tutta palpitare.
Dopo quattordici secoli il corpo di Cecilia era intatto.
Lev M. LOEWENTHALÂ Lugano 28 marzo 2021
NOTE

