La corporalità di Kiki Smith a Palazzo Pitti; con un testo di Eike Schmidt (fino al 2 giugno)

redazione

Kiki Smith

What I saw on the road

Palazzo Pitti, Firenze, 16 febbraio – 2 giugno 2019 

Arriva alle Gallerie degli Uffizi il progetto What i Saw on the road, prima mostra monografica in Italia dedicata a Kiki Smith nella cornice di un’istituzione pubblica, ospitata nello spazio dell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, ormai consacrato in primavera alle grandi protagoniste dell’arte al femminile.
La mostra riunisce una quarantina di opere che offrono un quadro esaustivo della produzione dell’artista degli ultimi vent’ anni, tra coloratissimi arazzi in cotone jaquard, fragili sculture in bronzo, argento e legno, opere su carta.
Rivendicando con orgoglio un posto nell’arte cosiddetta femminista, la tematica centrale e pressoché esclusiva del discorso di Kiki Smith è stata fino agli anni novanta la corporeità, e il corpo femminile in particolare, fragile, mortale, spesso lacerato e addirittura smembrato, ma anche eroicamente e fieramente capace di riscatto e ribellione. Nella produzione più recente, esposta in mostra, la sua riflessione si è allargata invece a considerare in maniera più articolata ciò che accade fuori dal corpo: What I saw on the road. E’ ciò che capita di osservare e interagisce con la nostra esistenza se si presta attenzione e si considera con sguardo poetico il rapporto tra corpo e mondo e tra uomo, natura e cosmo.

KIKI SMITH, LA RIVOLUZIONE E LA PIETAS

di Eike D. Schmidt

Direttore delle Gallerie degli Uffizi

Per il terzo anno consecutivo, la primavera alle Gallerie degli Uffizi ospita, nello spazio intimo dell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, una protagonista dell’arte del nostro tempo. Nel 2017 avevamo reso il dovuto omaggio all’austriaca Maria Lassnig e alla sua intensa, dolorosa opera d’introspezione; nel 2018 è stata la volta dei fili di Maria Lai, della sua poetica della tessitura. Anche quest’anno accogliamo una “donna forte”, Kiki Smith – che sulla scena internazionale è una delle interpreti di spicco del movimento femminista nelle arti visive – con una selezione significativa della sua ultima produzione comprendente arazzi, sculture e opere su carta: per la prima volta un museo pubblico italiano dedica una mostra monografica all’artista, a suggellare un percorso che, in Italia, l’aveva vista presente in importanti gallerie private e alla Biennale di Venezia. Il ritardo rispetto alle istituzioni straniere dipende forse dalla mentalità della struttura museale nel nostro paese, refrattaria a espressioni estetiche estreme, di denuncia e di sfida concettuale, ma in questa nuova fase raccogliamo tuttavia l’eredità preziosa delle opere prodotte da Kiki Smith negli ultimi anni, la cui potenza comunicativa evita lo scontro frontale o la brutalità dell’indagine sul corpo, ma non è meno coraggiosa né meno spiazzante.

Kiki Smith, Girl, 2014
figura in argento su base in bronzo.Vigevano, collezione Angela Kokrhanek
Per gentile concessione della Lorcan O’Neill Gallery

Semplicemente, cambiano i riferimenti e il risultato è una rischiosa fragilità dell’essere umano in rapporto alla natura e al cosmo. Così la superficie luminescente e preziosa del metallo, nella scultura Girl, rende ancora più evidenti i segnali di una sessualità femminile vulnerabile, disarmata, esposta alla violenza; e le figure umane di tanti arazzi sono come smarrite in un universo dove serpenti, pipistrelli, perfino i rami secchi di un albero possono costituire altrettanti pericoli mortali. Gli animali sono umanizzati, osservati con meraviglia, ma anche con profonda simpatia, e diventano protagonisti di un moderno bestiario: fratelli o nemici, impauriti oaggressivi, sono anch’essi persi in intrichi vegetali densi di mistero e di minaccia.

La cultura figurativa e il ricchissimo immaginario di Kiki Smith scandagliano gli aspetti spirituali e viscerali dell’essere umano, in un percorso che in precedenza ha trovato una sintesi quasi archetipica nella corporeità femminile – come ben illustrato in catalogo da Demetrio Paparoni – e che oggi si esprime attraverso la «favola della natura» di cui parla Renata Pintus: una favola popolata da compagni di viaggio animali, vegetali, siderali e anche extraterrestri in un universo tanto vasto quanto familiare e di cui le donne continuano a essere le indiscusse protagoniste.

Kiki Smith, Cathedral (Wolf)
2012 arazzo in cotone jacquard, Roma, collezione Giulio di Gropello
Per gentile concessione di Galleria Continua, San Gimignano – Beijing – Les Moulins – Habana

L’elegantissima grazia di questi ultimi lavori di Kiki – la cui materia spesso fragile e preziosa è una metafora efficace della condizione umana e femminile in particolare – ha come obiettivo altamente etico di ricreare unità e armonia in una realtà che spesso si presenta invece come brutale e dissonante e sprigiona un’energia profondamente rivoluzionaria: è il linguaggio di una nuova, inaspettata, spiazzante pietas. La mostra e il catalogo si addentrano nel difficile terreno dell’evoluzione poetica di Kiki Smith, che rifugge da grida e proclami, ma che trova pace nell’osservazione, nello sperdimento.

Si avverte certo un elemento autobiografico in queste opere – se si pensa ai boschi e alla qualità selvaggia dell’Upstate New York, dove l’artista vive e lavora –, tuttavia la grande arte contemporanea, questa arte, non è eccentrica né autoreferenziale, ma entra nella carne viva dei nostri giorni, e diventa un fondamentale strumento per leggere la complessità del reale, per attivare in tutti noi un indispensabile pensiero critico.