“JAGO The Exhibition”, in mostra a Palazzo Bonaparte opere dello scultore che scruta nell’anima del contemporaneo.

di Nica FIORI

Quando pensiamo al nome Iago, lo associamo spesso a uno dei personaggi dell’Otello di Shakespeare, quello che fa credere falsamente a Otello che la moglie lo tradisca.

Un uomo spregevole, ben diverso dallo scultore che Vittorio Sgarbi ha definito “Jago l’onesto” nel testo critico della mostra che gli viene dedicata a Roma a Palazzo Bonaparte: un giovane artista talentuoso che si è affermato prepotentemente negli ultimi anni a livello internazionale, con le sue immagini universali, diffusissime sul web. Un artista talmente onesto da raccontare anche la nuda verità dei corpi senili, che rifugge dai canoni tradizionali di bellezza, come ha fatto nella sua Venere: un’opera potente che nell’asperità della superficie rugosa, nella gobba delle spalle e nei seni cascanti ribadisce l’aspetto contemporaneo di un inevitabile deterioramento dovuto al tempo.

Dopo il grande successo della presentazione della Pietà di Jago nella chiesa romana di Santa Maria in Montesanto (a piazza del Popolo), la mostra “Jago. The exhibition”, a cura di Maria Teresa Benedetti, presenta una summa delle sue opere, dai sassi di fiume scolpiti inizialmente, quando non aveva i mezzi per comprarsi i marmi di cui aveva bisogno, fino alle sculture monumentali di più recente realizzazione (Figlio Velato e Pietà), passando per una creazione “storica” e mediatica come Habemus Hominem.

Jago, Pietà, bozzetto in argilla, in mostra a Palazzo Bonaparte

Come ha dichiarato Iole Siena, presidente di Arthemisia (gruppo leader nella realizzazione di grandi mostre), non si può negare un “fenomeno” come Jago che, pur avendo solo 34 anni, è stato paragonato a Michelangelo per il sapiente uso dello scalpello.

Parliamo, in effetti, di un artista in senso classico, che lavora il marmo con forza e con grande capacità tecnica e che al tempo stesso è un manager di sé stesso. Essendo un figlio del nostro tempo, Jago affronta temi di attualità e fa grande uso dei video e dei social, dove condivide i suoi processi produttivi, dal concepimento iniziale al “parto” finale. Grazie a questa capacità comunicativa è diventato per molti giovani un esempio da seguire. Il suo messaggio è che chiunque, come lui, può fare della propria passione la propria vita.

Nel video “Scolpisci il tuo futuro”, Jago afferma:

Nel mio caso io fin da bimbo sono stato catapultato in luoghi per così dire della tradizione, dove vedi un certo tipo di arte, e mi sono riconosciuto in quelle cose, e non mi vergogno di dire che mi sono paragonato, ma mi sono paragonato con quello spirito di emulazione puro, sincero di un bambino che desidera diventare grande. …  Io per quanto mi riguarda mi sono occupato del mio desiderio del fare. Io voglio essere per tutta la mia vita un bambino che si entusiasma, un bambino che gioca, un bambino che è felice di fare delle cose, perché sono la sua unica opportunità per fare esperienza, per essere contento, per vivere in armonia. Se domani mi viene in mente di fare un grande monumento … non lo faccio per alimentare il mio ego, ma lo faccio perché è l’unico modo che ho per dimostrare a me stesso che ce la posso fare. … Un risultato fatto di opere per il momento è l’unica cosa che mi tiene in vita, l’unica cosa che mi condurrà verso la felicità”.

Nato a Frosinone nel 1987, Jacopo Cardillo (nome anagrafico di Jago) nel 2010 ha mollato gli studi dell’Accademia ed è andato per la sua strada, incarnando la complessa figura dell’artista che si affida solo a sé stesso, senza un maestro di riferimento. Attraverso le sue opere, che hanno la figura umana come soggetto prevalente, fornisce al pubblico una lettura personale della storia, utilizzando un materiale nobile come il marmo, appartenente alla tradizione, e procedimenti esecutivi classici, dal disegno al modello, dal bozzetto d’argilla, al calco in gesso.

È un processo a togliere quello della scultura e in questo modo Jago toglie il “suo” superfluo per evidenziare ciò che c’è dentro. Quello che produce è il tentativo di rendere visibile a se stesso la propria interiorità. Allo stesso tempo egli sente il bisogno di condividere entusiasticamente tutto ciò che realizza con i suoi followers, che lo amano, anzi lo adorano, come succede alle rockstar di successo.

Ha avuto ovviamente anche critiche, disprezzo, vandalizzazione di una sua opera (Look down esposta per un certo periodo in piazza del Plebiscito a Napoli), ma tutto è servito per far riflettere i giovani sullo status dei nostri tempi e andare avanti nel processo evolutivo del suo “umanesimo”, nella creazione di nuove forme in grado di sollecitare forti emozioni e sviluppi inaspettati.

Jago, First Baby, in mostra a Palazzo Bonaparte
Jago, Venere (part.), in mostra a Palazzo Bonaparte

La prima scultura che accoglie i visitatori della mostra raffigura un feto ed è intitolata First Baby. È un’opera piccolissima, ma che evoca l’infinito, perché è stata portata nello spazio nel 2019 dalla missione Beyond dell’ESA e riportata sulla terra nel 2020 da Luca Parmitano, capo della missione, che ha scattato la foto che mostra l’opera all’interno della stazione spaziale, con l’orbita terrestre a farle da sfondo.

Le si contrappone la già citata Venere (2018), una scultura in marmo alta quasi due metri e seminascosta da una tenda entro un ambiente pieno di specchi, che enfatizzano la postura classica della dea, raffigurata nell’atteggiamento della Venere pudica, ma con gli evidentissimi segni della vecchiaia.

Jago, Habemus hominem, in mostra a Palazzo Bonaparte

Un’altra nudità che ci colpisce è quella del pontefice Benedetto XVI in Habemus hominem (2016), che sigilla il gesto del pontefice di radicale spoliazione per ritornare uomo dopo la rinuncia al papato.

Quando nel 2010 Jago venne selezionato da Sgarbi per partecipare alla Biennale di Venezia, su segnalazione di Maria Teresa Benedetti, l’opera scelta era proprio il busto-ritratto di Benedetto XVI (un’opera che sarebbe stata poi premiata con la Medaglia Pontificia). Ma, in seguito all’abdicazione del pontefice del 2013, Jago decise di trasformare l’opera, che evidentemente non gli sembrava più attuale, spogliandola dei paramenti liturgici e scoprendo così il suo busto scarno e drammatico, che contrasta con lo sguardo e con il sorriso del pontefice tornato a essere uomo. In una teca sono esposti i frammenti di marmo tolti dalla precedente versione della scultura e in un filmato proiettato sul soffitto si può seguire l’iter creativo dell’artista, stando distesi su un lungo divano, concepito ad hoc per facilitare la visione.

Jago, La pelle dentro, in mostra a Palazzo Bonaparte

Come emerge dalla mostra, inizialmente Jago ha manifestato un preciso interesse per elementi apparentemente inanimati che lui ha trasformato in opere d’arte, come i “sassi”, scarti del processo di cavatura del marmo gettati nel fiume Serra presso le Alpi Apuane.

Nell’opera giovanile La pelle dentro (2010), il lavorio incessante dell’acqua sul sasso diviene metafora dell’intervento creativo dell’uomo, rappresentato dalla mano dello scultore che penetra all’interno ed è emblematicamente assunta a strumento principe di ogni possibile realizzazione umana.

Nella misteriosa Sphynx (2015) egli rappresenta in realtà il feto di un gatto.

Jago, Sphynx, in mostra a Palazzo Bonaparte

Un’immagine di fragilità che torna in Memoria di sé (2015) con la raffigurazione di un bambino al di sopra del volto di un adulto, a simboleggiare lo scorrere del tempo.

Jago, Memoria di sé (part.), in mostra a Palazzo Bonaparte

Il suo vuol essere un inno alla vita, che ci induce a meditare sulla nascita e sul destino umano.

Jago Excalibur, in mostra a Palazzo Bonaparte

Nell’opera Excalibur (2016), il cui nome evoca la spada nella roccia di re Artù (ma anche quella di San Galgano in Toscana), il sasso è assunto a contenitore per la rappresentazione del kalashnikov, vistoso strumento della violenza del nostro tempo. Un rapporto tra l’aggressività e l’antico ideale cavalleresco citato nel titolo è segno di ironico contrappasso o ampliamento di contenuti ambiguamente presenti nella nostra cultura.

Le opere in mostra non sono tante, perché ognuna di esse ha avuto lunghi tempi di lavorazione (fino a 18 mesi) e a ognuna è assegnato un ampio spazio espositivo. Un’intera sala è dedicata al Figlio Velato (2019), donato da Jago alla Cappella dei Bianchi nella chiesa di San Severo fuori le Mura, a Napoli.

Jago, Il Figlio velato, in mostra a Palazzo Bonaparte

Chiaramente ispirato al capolavoro settecentesco Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, collocato nella celebre Cappella San Severo sempre a Napoli, questo fanciullo, che giace inerme su una lastra marmorea, racconta di una sorte oscura e drammatica e ci appare come eterno simbolo di morte. In quest’opera Jago mostra la sua perizia virtuosistica nel rendere l’aderenza di un panno, che non è levigato e liscio, come nel Cristo velato, ma dà l’idea con la sua minuta ruvidezza di una stoffa attuale, come potrebbe essere un asciugamano di spugna. La realizzazione di quest’opera è avvenuta a New York, dove l’artista si è trasferito per un certo tempo a seguito di un’esposizione all’Armory Show di Manhattan, e al suo rientro in Italia Jago ha preferito portare con sé la scultura (lunga due metri) e donarla alla sua città di adozione, piuttosto che venderla a una cifra altissima.

Jago, Pietà, in mostra a Palazzo Bonaparte

Una forte carica evocativa di sofferenza, che ci appare in sintonia con le atrocità della guerra che stiamo vedendo attualmente, si riscontra nella Pietà, introdotta dalla fotografia di un padre che piange la morte del figlio ad Aleppo (in Siria) nell’ottobre del 2012.

Diversamente dalle varie Pietà di Michelangelo, quella di Jago mostra, in effetti, un uomo (al posto della Vergine Maria), afflitto da un indicibile dolore, mentre sorregge il corpo inanimato di un adolescente. Come scrive Maria Teresa Benedetti nel suo testo di presentazione:

L’insieme massiccio della figura paterna è indizio di un dolore atemporale e compatto che ricorda la cruda efficacia di certa scultura altomedievale, mentre il compianto si distende in morbido abbandono nell’atteggiamento del giovane corpo. L’insieme, collocato su un alto piedistallo, offre un’impressione di grandiosità scabra e solenne”.

Un’opera che si discosta da tutte le altre, che sono marmoree, è l’installazione costituita da trenta cuori di ceramica bianca, disposti in circolo su pilastri rossi e con sullo sfondo l’animazione in 3D di un vero e proprio cuore pulsante. Si tratta di Apparato Circolatorio, rappresentazione iconica del battito cardiaco in ognuna delle sue fasi dedicata a un amico scomparso. Un cuore continua a battere al di là della vita, nel pensiero di chi è stato amato: sembra suggerire l’autore.

Jago, Apparato circolatorio, in mostra a Palazzo Bonaparte

Jago, nonostante la sua giovane età, ha avuto occasione di lavorare più volte all’estero, di tenere lezioni in alcune università e ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali. Dopo il successo a Napoli, dove ha letteralmente conquistato i giovani del rione Sanità, dove risiede, e le personalità della cultura, anche Roma ha accolto con grande favore il lavoro dell‘artista, come ha ricordato la curatrice, tanto che

alla presentazione della Pietà, all’ingresso della Chiesa di Santa Maria in Montesanto in Piazza del Popolo, si è assiepata una folla di straordinarie dimensioni. Avvicinare i giovani ad un luogo nel quale forse non sono mai entrati è sintomatico di una grande forza di comunicazione”.

E, proprio in virtù dell’importanza che l’artista dà alla comunicazione, per chiunque voglia seguire la realizzazione di un suo lavoro in fieri, Jago ne eseguirà uno nello stesso palazzo Bonaparte, nel corso della mostra che sarà visitabile fino al 3 luglio 2022.

Nica FIORI  Roma  13 Marzo 2022

“JAGO. The exhibition”

Palazzo Bonaparte. Piazza Venezia, 5 (angolo Via del Corso) 00186, Roma

Dal 12 marzo al 3 luglio 2022

Orario: dal lunedì al venerdì 9.00 – 19.00; sabato e domenica 9.00 – 21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Informazioni e prenotazioni: tel. 06 871511   www.mostrepalazzobonaparte.it

http://www.arthemisia.it