Il tema della Spada nel processo Creativo di Caravaggio, la “pulsione a dare-ricevere morte”. Dall’opera dipinta, alla personalità dell’autore.

di Giuseppe RESCA

Giuseppe Resca, valente studioso e collezionista di dipinti antichi, è psichiatra e psicoterapeuta; in questo articolo, con cui inizia la sua collaborazione con About Art, spiega come è nato il suo ultimo libro “Caravaggio Profiling. Il volto dell’assassino” (Nicomp Laboratorio Editoriale, Firenze 2022), e in particolare come ha riletto, in base alla metodologia clinica dell’individuazione di identità persecutorie, la figura e l’opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio, partendo dal doppio autoritratto dell’artista nel David e Golia, che non esita a considerare “la pietra angolare non solo della vicenda umana e artistica di Caravaggio, ma della stessa storia della pittura: senza esagerazioni”. In questo saggio, l’autore prosegue nell’indagine iniziata con “La Spada e la Misericordia (Caravaggio e il demone della violenza)” (Armando editore 2001), attraverso una lettura del tutto originale e anticonvenzionale dell’artista e delle sue opere.

Il Processo Creativo in Caravaggio

Copertina del libro di Giuseppe Resca, Caravaggio Profiling. Il volto dell’assassino. (Nicomp Laboratorio Editoriale, Firenze 2022)

Posso comprendere la perplessità di un lettore al cospetto di questo volumetto, né grande né piccolo, che tratta di un personaggio la cui fama ha travalicato le colonne d’Ercole, più famoso quasi di Ulisse.

Lo sconcerto del lettore si somma al mio, e non deriva tanto dalla presunzione implicita di aggiungere qualcosa all’immensa letteratura che investe Caravaggio, ma dalla confusione dei generi letterari che il formato, il titolo, i sottotitoli, la grafica stessa, suggeriscono.

Ci si troverà alle prese di un romanzo, di un noir, di un saggio? Avrà un taglio storico, fantasioso o letterario?

Di ogni cosa un po’. Non nego di aver romanzato l’indagine, per renderla più accattivante; la stessa scelta di un Profiler quale protagonista della narrazione lo dimostra. Ma non avevo altra scelta per oggettivare un metodo di indagine nuovo, in storia dell’arte, che parte dall’osservazione diretta di un quadro, anche solo di uno, per individuare il nucleo di personalità dell’autore. Questi, se l’ipotesi è giusta, si ritroverà sempre e comunque in ogni altra sua opera, e informerà di sé ogni azione che caratterizzerà la sua stessa biografia.

Nel caso specifico, il dipinto cui faccio riferimento è il Davide e Golia Borghese che, come avevano già individuato i contemporanei, concentra l’attenzione sul conflitto tra i due protagonisti, che sono anche autoritratti dell’autore, Caravaggio, sia giovane e vittorioso nel Davide, che sconfitto, decapitato, e morto dunque, in Golia. Ma ancora cosciente.

Questo doppio autoritratto è la pietra angolare non solo della vicenda umana e artistica di Caravaggio, ma della stessa storia della pittura: senza esagerazioni.
Caravaggio, David con la testa di Golia, Roma, Galleria Borghese

Se c’è un prima e un dopo, questo dipinto ne segna lo spartiacque. Dare e ricevere morte sono momenti dialettici della vicenda umana, che trovano sintesi spesso in un unico gesto. Ma dare-ricevere morte, per un solo individuo (il protagonista), è concesso soltanto a un suicida. Se, però, lo stesso suicida si sdoppia in due individui diversi per fisionomia ed età, che in un unico gesto compendiano due fasi successive una all’altra, la cosa si fa ingarbugliata. Non c’è più un prima e un dopo, ma un ora e un adesso. E al contempo non si può più parlare di un carnefice e una vittima, ma di due nature compresenti in una sola creatura, a mo’ di centauro. Una creatura fantasmatica, ma cosciente di essere vittima di se stessa. Disposta a darsi-ricevere morte, fin dalla notte dei tempi.

Caravaggio ha battezzato la psicoanalisi: perché ha introdotto la dinamica dell’inconscio nell’espressione visiva, come Freud l’ha introdotta nella coscienza verbale.

L’enigma di questo fantasma bicefalo ha indotto il Profiler a ipotizzare in Caravaggio una pulsione a dare-ricevere morte, quasi fossero due facce della stessa medaglia. Tradire è come tradirsi; l’offesa offende colui che offende. Non sono giochi di parole, ma parole pesanti come un destino che non lascia scampo.

Prova ne è l’omicidio, reale, non fantasmatico, di Ranuccio Tomassoni nell’anno 1606 ad opera del pittore: atto totalmente insensato di un artista all’apice del successo, che con tale assassinio perde tutto e viene condannato a morte per decapitazione. Come non vedere nell’attore di tale stoltezza la presenza attiva di una forza occulta, psichica e non fisica? Essa lo manovra a dar forma a un destino preconfezionato e presagito in innumerevoli sogni ad occhi aperti:

i suoi quadri pullulano di morti annunciate e grondano ananké di vendetta, travestiti come sono nei misfatti atavici degli eventi storici che illustrano.

La vendetta immaginata per i torti subiti, fantasiosi o meno che siano, si traduce in omicidio insensato e conseguente sentenza giudiziaria: questi sì assolutamente reali nella loro tremenda valenza distruttiva.

A questo punto dell’indagine il Profiler teme di aver scoperto l’acqua calda: rischia di aver solo dato un nome a cose sapute e risapute. Chi non conosce la terribilità della sua pittura e l’insensatezza dei suoi misfatti? Possibile che nessuno mai li abbia collegati una all’altra ricavandone il senso di due facce della stessa medaglia?

Può darsi che qualcosa sia sfuggito nell’analisi delle prove, tra miriadi di saggi e documenti che illustrano gli stessi fatti. Chi può dire di conoscere a fondo tutto lo scibile di un’avventura di quattro secoli fa, nella preistoria dell’Era Moderna, che lo stesso Caravaggio sembra inaugurare?

Ma ciò di cui il Profiler è sicuro è che nella sua ricognizione dell’immensa letteratura caravaggesca, per quanto superficiale essa sia stata, non ha mai trovato traccia alcuna di una spiegazione plausibile, nemmeno il minimo accenno, altrimenti ne avrebbe tratto lezione. Perché questa mancanza?

Sembra che la Storia, dell’Arte in questo caso, non si sia interessata ai moventi dell’operare artistico, del Processo Creativo. Da dove germina questa pulsione? Perché si fa strada nella mente e nei comportamenti del pittore fino ad esitare nella catastrofe di cui si ha notizia?

Eppure, Caravaggio è un caso emblematico: dall’opera dipinta si può risalire, punto per punto, alla personalità dell’autore: La stessa cosa non può certo dirsi per un Beato Angelico, per un Raffaello e così via. Caravaggio è una palestra ideale in cui il Processo Creativo prende forma riconoscibile nel suo stesso divenire, lungo tutto l’arco del suo sviluppo.

E siccome la legge che ne guida lo sviluppo stesso sembra essere sempre il dare-ricevere, così come l’opera ci guida alla ricostruzione della personalità dell’autore, è plausibile ipotizzare che la persona stessa, Caravaggio, sia il protagonista della sua opera, di ogni quadro, direi, del suo corpus d’opera.

Caravaggio non fa che dipingere se stesso, le sue pulsioni recondite celate sotto i gesti dei suoi personaggi. Caravaggio vive nella sua opera, è lui la sua opera.

Grazie al lavoro che fa, scientifico e operativo al contempo, il Profiler è il critico più indicato alla ricognizione del Processo Creativo dell’artista. Non si sofferma a cercare risposte nella letteratura specifica, ma compulsa i fatti, che sono i quadri stessi del pittore e i documenti della sua frenetica vita. Egli, per trovare la pista giusta, non deve far altro che computarne le opere, appuntate in una concretissima bacheca professionale, e connetterle ai fatti della sua vita. Lo fa con la dedizione e l’abnegazione assoluta che è costume di questi scienziati attivi sul campo.

E le scoperte si susseguono vorticosamente nel fluire di un unico filo conduttore, che procede dall’ossessione di Caravaggio a portare Spada, inizialmente solo per esibirla, alla compulsione ad usarla progressivamente sul prossimo. L’esito è predeterminato, come fosse frutto di un Destino fatale, e porta alle inesorabili conclusioni mortali che tutti conosciamo.

Ma molte cose rimangono incerte, avvolte in un mistero ancora da dipanare. Ed è in questo registro che il Profiler traccia le sue ipotesi, di cui alcune già trovano conferma nei fatti, altre non ancora. Ne sottolineerò un paio, le più intriganti: l’origine e la fine della pulsione, collegate alla nascita e morte della sua vita, quasi fossero l’alfa e l’omega del suo Destino.

Caravaggio, Davide con la testa di Golia, (part.) Roma, Galleria Borghese
Caravaggio, Davide e Golia, (part.) Vienna Kunthistorisches Museum

Per quanto riguarda l’origine della pulsione a portare Spada il Profiler la rimanda a un’ansia di legittimazione che domina la psiche di Caravaggio, e che trova appunto rimedio nel portare Spada. Soltanto l’esibizione in pubblico della Spada denota il valore di un uomo, quasi fosse uno status symbol. La conferma della presenza di tale ossessione la si riscontra nella gran messe di rappresentazioni pittoriche giovanili di Caravaggio in cui spade, cappelli piumati, guanti, divise sgargianti la fan da padroni: qualunque personaggio della sua multiforme produzione artistica giovanile, fosse pure una zingara o un lestofante, fa bella mostra dei costumi in uso tra gli aristocratici. Una vera e propria idolatria, in cui la Spada prende sempre più il monopolio. Il bisogno di essere legittimato diviene necessità psichica inderogabile, proprio attraverso l’uso continuativo della Spada, che dovrebbe invece costituirne il rimedio.

Per spiegare un bisogno, di legittimazione nel caso, il Profiler risale all’infanzia e alla giovinezza di Caravaggio, nato e cresciuto a contatto e in simbiosi con aristocratici del blasone della Marchesa di Caravaggio, Costanza Colonna e sorella di Ascanio, e della sua famiglia di numerosi rampolli, figli suoi e del Marchese di Caravaggio, uno Sforza. Il confronto non deve essere stato indolore per un’indole sensibile come quella del giovane, e la condizione sociale dell’aristocratico gli deve essere parsa un miraggio.

È intuibile come tale condizione di minorità abbia inciso sul carattere suscettibile che riconosciamo universalmente in Caravaggio, soprattutto in un ambiente provinciale come quello lombardo dove si trovava a vivere fanciullo.

Ma vi sono molti indizi che fanno sospettare qualcos’altro, tipo un pensiero recondito di essere figlio illegittimo egli stesso, magari della stessa Marchesa o del marito di lei più probabilmente. Prove non ce ne sono, ma l’andirivieni della famiglia Merisi su e giù tra Caravaggio e Milano a seguito dell’incombere di avvenimenti tutti quanti riferibili alle vicissitudini dei Marchesi, e la commistione di interessi, tanto economici che consuetudinari tra i due nuclei familiari, fanno fortemente pensare che qualcosa di poco chiaro ci sia stato realmente. Il Profiler ha esitato a farne parola, temendo di incorrere in stroncature critiche. Facciamo qui ammenda al suo posto, e ne diamo adesso menzione visto che nell’odierna conversazione siamo in famiglia. Troppe sono le testimonianze di deliri genealogici che abbiamo seguito e curato in carriera, per non sapere come la mente possa elaborare e distorcere i fatti sotto una forte pressione della psiche.

Per quanto riguarda la fine della Pulsione, il Profiler la fa coincidere con la morte stessa del pittore: dare-ricevere morte, in linea col destino suicida dell’uomo che la alberga in sé.

La coincidenza perfetta che le vicissitudini della vita e dell’arte assumono nel percorso storico di Caravaggio si compendiano esattamente nel suo tragico epilogo, quasi una sentenza annunciata: talmente precisa che si può parlare di teorema. Parola che recentemente, in politica, giurisprudenza e sanità pubblica, ha assunto un significato negativo, sinonimo di distorsione truffaldina dei fatti. Dimenticando che invece nelle scienze esatte i teoremi valgono eccome, perché surrogati dai fatti.

E questo ci porta al quesito che più mi sta a cuore: fino a che punto è il nostro un lavoro scientifico? Difficile dirlo: nemmeno io lo so.

L’espediente di un immaginario Profiler alle prese con un omicidio famoso, di cui si conosce in anticipo l’assassino, mi ha molto aiutato nell’organizzazione del lavoro. Il mestiere del Profiler è recentissimo nello sviluppo della scienza criminologica e, per caratteristiche, è prima di tutto una professione, un esercizio sul campo piuttosto che nelle aule universitarie.

Ma ciò non significa che non segua un metodo. Anzi, il metodo che segue è quanto di più scientifico esista, se della scienza concepiamo l’osservazione rigorosa dei fatti, la formulazione di ipotesi, la ricognizione sincronica e sintetica in una mappa di quadro sinottico (la famosa bacheca su cui si appuntano le fotografie), fino a pervenire a una tesi che, se la spiegazione che si ottiene dai fatti corrisponde a una logica indefettibile, si ritiene congrua per ognuno di essi e coerente con tutti quanti. Un perfetto esempio di Principio di non Contraddizione, come già formulato nel Sillogismo aristotelico, e ampiamente applicato da Cartesio come metodo delle scienze fisiche, oltre all’universo metafisico delle Idee e dei Concetti.

Ma ciò che più mi ha affascinato del mestiere di Profiler è che non serve concludere il lavoro con la Bibliografia.

Le scienze di cui mi occupo, la Psicologia e la Storia dell’Arte, sono fatte a misura degli studiosi che le frequentano: nelle due branche non vi è un lavoro in cui manchi una sterminata bibliografia, atta a convalidare la scientificità del testo. Pare che il profilo di uno studioso sia vidimato dalla quantità di studi che ha messo in Bibliografia, prima che dalla competenza nella professione che esercita.

Tutto il contrario di quanto avviene tra i Profiler, dove il successo e il riconoscimento professionale discendono dai risultati.

Avrà dunque successo il nostro Profiler? Dipende da voi, e dal tempo che gli si concede. Stroncature ne arriveranno a bizzeffe, e parecchie a ragion veduta: non son sicuro di tutto quello che il Profiler ha affermato. Qualche giustificazione però l’avrà avuta anche lui, dovendo districarsi tra migliaia di documenti contraddittori, per una storia in cui le contraddizioni (la maggior parte apparenti, come dimostrato) abbondano.

Ma quel che è certo è che le opere di Caravaggio, i suoi straordinari dipinti, non sono equivocabili. E la storia che narrano ha una sola coniugazione: il dare-ricevere Morte.

Giuseppe RESCA  Roma 13 Novembre 2022