Il Putto Reggifestone dell’Accademia di San Luca è di Raffaello ? Una conferma dagli ultimi studi

redazione

Il Putto Reggifestone dell’Accademia di San Luca è di Raffaello

Sono le conclusioni cui sarebbe giunto uno studio sul frammento di affresco conservato presso l’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, realizzato con il sostegno dei Mecenati della Galleria Borghese – Roman Heritage Onlus, associazione presieduta da Maite Bulgari, in occasione del 500°anniversario della morte di Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma,1520)

L’importante rivelazione dovrebbe chiudere il lungo dibattito sull’autenticità dell’opera che era aperto da tempo nel mondo degli studiosi, escludendo la possibilità che il dipinto sia un falso d’epoca neoclassica. Ne sarebbe testimonianza tra le altre cose quanto appare dalla ultima pulitura che fa fede della qualità del frammento conservato nell’Accademia di San Luca, prima compromesso nella sua leggibilità dalle alterazioni prodotte con tutta probabilità da incauti interventi precedenti.

Fino ad oggi la possibile attribuzione del Putto alla mano del genio di Urbino era avventua su basi stilistiche risultando in effetti in buona misura paragonabile se non proprio sovrapponibile ad una delle due figure che affiancano il Profeta Isaia realizzato -questo si, senza alcun dubbio-  dal Sanzio nel 1513 circa nella chiesa di Sant’Agostino a Roma.

E’ noto però che l’ attribuzione non aveva convinto tutti, tanto è vero che tra coloro che avevano pensato ad un’opera assai più tarda realizzata perfino con intenti evidentemente fraudolenti, si era schierato uno studioso assai noto, tra i più convinti dell’inganno, vale a dire Luigi Salerno, che in un saggio sul Bollettino d’Arte del 1960 intitolato Il profeta Isaia di Raffaello e il putto della Accademia di S. Luca  aveva per l’appunto riferito l’opera ad un falso realizzato sul finire del Settecento dal pittore francese Jean Baptiste Wicar.

Al contrario, Pico Cellini, noto maestro restauratore, sostenne fermamente l’autografia, sulla base di quanto scritto da Giorgio Vasari circa una prima versione dell‘Isaia che Raffaello avrebbe eseguito e poco dopo distrutto, una tesi che però poteva effettivamente sembrare venir meno, proprio alla luce delle argomentazioni di Salerno.

Certo è che il dipinto ha rivelato oggi una qualità pittorica molto elevata, del tutto compatibile con la tecnica utilizzata da Raffaello nelle sue opere certe – un dato, questo, suffragato dalle indagini diagnostiche e chimiche.

Il progetto di studio, restauro e valorizzazione, ideato e curato da Valeria Rotili, Stefania Ventra e Francesco Moschini, già Segretario generale dell’Accademia Nazionale di San Luca, ha visto coinvolto un eccellente team interdisciplinare di specialisti: Paolo Violini, maestro restauratore del laboratorio di restauro dei Musei Vaticani; Silvia Ginzburg, docente di Storia dell’arte moderna dell’Università degli Studi di Roma Tre, l’ingegnere nucleare Claudio Falcucci e un team del Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Università Sapienza di Roma, coordinato da Marco Fasolo con la collaborazione di Leonardo Baglioni.