Il protofemminismo di Arcangela Tarabotti e Vittoria dalla Rovere, donne artiste nel ‘600 in Laguna

di Chiara MARIN

‘Chiara Marin è una curatrice e Storica dell’Arte. Ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Storia dell’arte presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes (Parigi) e l’Università Ca’ Foscari (Venezia) con una tesi sull’artista Carlo Saraceni. Successivamente ha partecipato alla realizzazione delle due mostre su questo artista tenutesi nel 2014 a Roma (Palazzo Venezia) e Venezia (Gallerie dell’Accademia). Ha poi ottenuto un post-dottorato presso l’Università Franco Italienne (UFI) di Grenoble. Precedentemente ha pubblicato la monografia sul pittore Girolamo Forabosco e ha condotto tirocini e lavorato per diversi musei e istituzioni, fra cui il Louvre, il J. Paul Getty Museum, l’Institut National d’Histoire de l’Art di Parigi, il Museum of Fine Arts di Boston e pubblicato contributi su riviste, monografie e cataloghi di mostra che vertevano  principalmente sul tema della pittura veneta del Cinquecento e del Seicento. Fa parte del Dipartimento Savoirs et Pratiques du Moyen Age au XIX siècle dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes e del Laboratorio Internazionale di Semiotica (LISAV) di Ca’ Foscari.  E’ corrispondente per la rivista di arte contemporanea ‘art.es’ e dal 2014 lavora per la Biennale di Venezia come coordinatrice del Mercato del Cinema e collabora con società di produzione e agenzie letterarie come consulente media.’. Con questo saggio inizia la sua collaborazione con About Art.

La storia della pittura moderna, come è noto, è connotata da una predominanza maschile ma, sotto ogni punto di vista, sia per i soggetti che per molti concetti ripresi, deve molto all’emisfero femminile e, in alcune epoche, molto di più di quanto si possa immaginare.

Nel Seicento Venezia aveva già alle spalle almeno un caso noto di pittrice acclamata dai suoi contemporanei, Marietta Robusti, la figlia di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, ma nonostante questo ci vollero ancora molto tempo affinché il mondo dell’arte si aprisse realmente alla presenza femminile.

Tuttavia l’arguzia femminile ebbe modo di farsi strada a Venezia in altri modi, con personalità come la poetessa Veronica Franco (1546-1591) o Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima donna a laurearsi nel 1678.

Ma una personalità emblematica sopra a tutte fu certamente la promotrice e prima rappresentante storica del movimento femminista: Arcangela Tarabotti (1604-1652).

Nata da una famiglia veneziana, fu obbligata nel 1615 ad entrare come educanda nel monastero benedettino di Sant’Anna in Castello per farsi suora, ove rimase fino alla sua morte, pur mantenendo in parallelo una prolifera attività letteraria. Nel 1642 aveva già scritto La Tirannia paterna e il Paradiso monacale, in cui trattava rispettivamente delle monacazioni forzate e della vita in convento delle religiose per vocazione.

Ma soprattutto grazie alla Tarabotti Venezia, all’inizio del Seicento, può essere considerata forse la culla del protofemminismo europeo.

Al fianco di questa forte figura femminile se ne inseriscono altre come Modesta Da Pozzo, che alla fine del cinquecento scrive Il merito delle donne, un polemico libello che rivendica le libertà femminili, e poi Lucrezia Marinelli, che pubblica La nobiltà e l’eccellenza delle donne co’ difetti et mancamenti degli uomini (1601) in risposta a Giuseppe Passi, il quale aveva pubblicato Donneschi difetti, un’antologia di quanto gli autori più famosi avevano sentenziato a carico delle donne.

La sorella di Arcangela, Caterina, era una pittrice particolarmente legata a Gian Francesco Loredan (Venezia 1607 – Peschiera 1661), fondatore nel 1630 dell’Accademia degli Incogniti presso la propria dimora a San Zanipolo.

L’Accademia divenne centro di produzione e di diffusione libraria, luogo in cui gli associati si riunivano per leggere ed esercitarsi sulle tecniche della composizione e dell’arte oratoria, ove Loredan si delineava come personalità cui rivolgersi per chi cercava notorietà letteraria o, più generalmente, artistica.

Tra gli artisti frequentatori dell’Accademia non è quindi forse un caso che vi fossero alcuni tra i ritrattisti femminili più noti del tempo in laguna: Tiberio Tinelli, Alessandro Varotari detto il Padovanino, Pietro Liberi, Nicolas Régnier, Pietro Bellotti e il suo maestro Girolamo Forabosco (1605-1679)1

Quest’ultimo in particolare fece del ritratto femminile una sua specialità, e Marco Boschini nella sua Carta del navegar pittoresco2 ricordava:

‘Questo è pitor per teste de corona,/ E per retrar gran prencipi de stima:/ perchè con quatro segni, là a la prima,/ De tiorghe el tedio quela man xè bona./ chi reze l’Universo, e che comanda,/ sempre diè star in moto e in gran pensieri:/ talché, a prencipi grandi e a cavalieri, el star l’ore sentai gh’è pena granda’.

L’interesse per il ritratto femminile, tra gli artisti che frequentavano l’Accademia degli Incogniti, fu certamente favorito dall’amicizia tra suor Arcangela Tarabotti e il Loredan. La Tarabotti infatti dedicò le sue Lettere familiari (1650) al Loredan.

Alla luce di queste corrispondenze, numerosi ritratti di dama di Forabosco sembrano acquisire un altro significato se analizzati a fianco del profilo della Tarabotti (1604-1652), per la polemica da lei suscitata, al tempo, per la tutela dell’uguaglianza morale ed intellettuale tra gli uomini e le donne. Gli sguardi dolci ma penetranti e forti delle dame ritratte dal pittore, infatti, ricordano la diatriba allora sfociata sulla loro posizione all’interno della società veneziana e non solo.

Ma per tornare ai nessi tra artisti legati all’ambito degli Incogniti, che ebbero un peso fondamentale nella formazione delle personalità artistiche, va ricordato che, ad esempio, proprio Padovanino fu testimone di nozze del cognato della Tarabotti, l’incognito Giacomo Pighetti (il cui ritratto oggi perduto venne realizzato da Tinelli ed inciso da Boschini per Le Glorie degli Incogniti).

Come ha ricordato Ugo Ruggeri, sebbene siano accertati i contatti del Padovanino con l’Accademia dall’analisi delle sue opere, il libertinismo del Loredan, che tra l’altro possedeva una Diana di sua mano, non sembra aver influenzato particolarmente la maniera del pittore, se si esclude la scelta di alcune tematiche di stampo più sensuale, che comunque si accordano con il gusto neocinquecentesco che caratterizza fortemente l’artista (3). Più facile è invece trovare un’assonanza tra i soggetti prediletti da Forabosco e l’ideologia dell’Accademia.

Dall’analisi dell’elenco delle opere perdute di Forabosco si desume che il pittore ebbe committenti altolocati da tutto il mondo, dimostrando che era reputato, al fianco di Tinelli (marito della pittrice Giovanna Garzoni), come l’altro grande ritrattista della Repubblica di Venezia.

La produzione ritrattistica rimase una costante durante tutta la carriera di Forabosco e, se inizialmente fece le sue prime prove esercitandosi proprio in questo genere, concentrandosi sul ritratto femminile, non lo abbandonò fino a fine carriera.

A favorire la sua notorietà come ritrattista di dame fu certamente l’aver ricevuto commissioni, fin dai suoi primi anni di produzione, da grandi dame del tempo come Vittoria della Rovere. Nata a Pesaro nel 1622, fu certamente una delle principali protagoniste del Seicento ancorchè grande collezionista. Noto è che quando arrivò a Firenze portò con se settanta carri carichi di oggetti d’arte e dipinti di elevata fattura provenienti dal Palazzo Ducale di Urbino e dalle sue dimore, ancora oggi custoditi presso le Gallerie degli Uffizi. Nella ricca e raffinata raccolta erano inclusi dipinti di Tiziano, Raffaello, Piero della Francesca e molti altri.

Vittoria commissionò anche molte opere ai grandi artisti del Seicento, fra cui la serie di Ritratti di dama del Forabosco degli Uffizi. Quello che stupisce in questi ritratti, rispetto ai classici ritratti femminili di rappresentanza del tempo, è la visione intimista con cui sono riprese, sottolineata dalle vesti semplici e disadorne. Da un inventario dei beni della granduchessa Vittoria Della Rovere a Poggio Imperiale del 1692, dove venivano citati i cinque ritratti di dama degli Uffizi di Forabosco (figg. 1-5) più un sesto oggi perduto, sappiamo essere state ‘vesti da camera’.

5. G. Forabosco, Ritratto di giovane dama, Firenze, Galleria degli Uffizi

Questa scelta raffigurativa, rileva che l’artista in materia di ritrattistica si stava allontanando dal campo del ritratto di rappresentanza, comunque sempre connotato da una certa intimità n, per specializzarsi in un ritratto di tipo privato.

Ricordando, come avanzato, che proprio in questi anni Arcangela Tarabotti e il suo entourage presentavano a Venezia le prime rivendicazioni femministe, facendo così della città lagunare la sede del protofemminsimo europeo, la valenza di questi ritratti risulta ancor più evidente, così come la scelta di arricchirle con una tavolozza dai colori forti, mantenendo però una composizione classica, dimostrando che Forabosco era ancora legato alla tradizione neocinquecentesca, tratto questo distintivo della sua fisionomia d’artista individuabile anche nelle future scelte formali.

6. G. Suttermans, Ritratto di Vittoria della Rovere, Firenze, Galleria degli Uffizi

Infine va ricordato come la granduchessa Vittoria della Rovere (fig. 6), al tempo la sola donna fra i numerosi mecenati Medici uomini, incoraggiò artiste donne come la sopra citata Giovanna Garzoni, alla quale commissionò miniature di nature morte dal suo ritorno a Firenze nel 1642 sino alla morte dell’artista nel febbraio del 1670, rendendola rara protagonista femminile di una delle più importanti ed ammirate collezioni del mondo (fig. 7). Artista che a sua volta fu così importante per la granduchessa che alla sua morte decise di dedicarle una vistosa decorazione all’interno della Villa del Poggio Imperiale: la cosiddetta Stanza dell’Aurora. Qui , sotto un soffitto dipinto su tela da Vincenzo Dandini tra il 1640 e il 1646, la duchessa raccolse 96 dipinti: 66 erano miniature e, di queste, almeno 38 erano riferibili alla Garzoni.

7. G. Garzoni, Tazza ciinese con fichi, ciliegie e cardellino, Firenze, Galleria degli Uffizi

In questo spazio quindi avviene una vera e propria celebrazione della figura femminile ad opera della Garzoni ma anzitutto della Granduchessa che, nei panni di governatore e mecenate, viene raffigurata come Aurora sul soffitto mentre, in tutti gli oggetti d’arte esposti, ritroviamo il tema della fecondità della natura e del suo rinnovamento ciclico, chiare metafore del governo di questa grandiosa e rara mecenate illuminata del Seicento.

Non è infine un caso che proprio la sopra citata Aracangela Tarabotti nel 1644 pubblicò l’Antisatira, una veemente risposta alla satira misogina del senese Francesco Buoninsegni Contro’l lusso donnesco, letta durante un’adunanza accademica a Siena nel 1632 e stampata a Venezia nel 1638 a istanza di Loredan. Quest’opera fu da lei dedicata proprio a Vittoria Della Rovere, ch’era in corrispondenza epistolare con la stessa autrice. Nell’avviso ai lettori Tarabotti spiegò di aver composto il testo su richiesta di alcune gentildonne del tempo. Queste donne quindi, anche se fortemente ostacolate dalla misoginia del tempo, capirono che fare rete era certamente l’arma più utile che potevano utilizzare per battersi contro le ingiustizie.

Chiara MARIN   Venezia 14 febbraio 2021

NOTE

1 C. Marin, Girolamo Forabosco, Venezia Barocca Cierre Edizioni (Verona), 2015.
2 M. Boschini, La Carta del navegar pittoresco, Venezia 1660, ed. critica a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, pp. 541-543 [506-507].
3 U. Ruggeri, Il Padovanino, Soncino (CR) 1993, p.42.