«Il meglio maestro d’Italia – Perugino nel suo tempo» (e nella sua città). L’Umbria celebra il “suo” pittore, a 500 anni dalla morte.

di Monica LA TORRE

Dentro i meccanismi del genio:  70 opere da tutto il mondo, una maratona che  svela dinamiche, calcoli e furbi equilibri ammantati di mirabile tenerezza

«Il meglio maestro d’Italia – Perugino nel suo tempo» (e nella sua città, ndr), a Perugia fino all’11 giugno 2023 è stata forse la mostra italiana più attesa del primo semestre 2023.

Ad una felice curatela interna, che ha affiancato al Direttore Marco Pierini la storica dell’arte e funzionaria della Galleria Nazionale dell’Umbria Veruska Picchiarelli, si deve la definizione del percorso espositivo: prestiti importanti per un allestimento ambizioso. L’evento clou delle celebrazioni per il V centenario della morte del più acclamato pittore del rinascimento umbro porta alla GNU 70 opere. Una produzione che va dagli anni giovanili alla bottega del Verrocchio allo Sposalizio della Vergine oggi a Caen, 1504, che dal 1797 torna per la seconda volta in Italia e per la prima a Perugia. L’apice della maturità, il massimo capolavoro del pittore, insieme alla Consegna delle Chiavi in Sistina, e vero manifesto programmatico del Rinascimento.

70 opere in mostra

Le prime collaborazioni nella bottega di Andrea del Verrocchio, le opere fiorentine che fecero la sua fortuna, le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi agli Uffizi, la Pala di San Domenico a Fiesole); e ancora, i ritratti, le pale d’altare – su tutte il Trittico Galitzin, ora alla National Gallery di Washington, e il Polittico della Certosa di Pavia, per gran parte alla National Gallery di Londra, ricomposto per l’occasione.

Trittico Galitzin National Gallery di Washington

La mostra sorvola solo sugli anni della stanchezza, della produzione tarda, e rimane nel solco della fortuna, “della tenerezza geniale”, dosata con sapienza studiatissima, che porterà al Maestro fortune, onori, ricchezze pari a pochi altri del suo tempo.

Il mestiere, l’ambizione, il calcolo

La formidabile sequenza di capolavori ha il grandissimo pregio di restituire alle opere vitalità, energia, forza, voluntas,umanità, estro, audacia, forza: la densità spesso oscurata dal bagliore luminoso della dolcezza.

Ma soprattutto rivela quanto in Pietro Vannucci maestria, acume, perfezione formale, dolcezza e santità siano al servizio dell’ambizione, rivendicati con orgoglio, messi a frutto con intuito brillantemente commerciale. La tenerezza angelicata si rivela, sala dopo sala, siderale, matematica e studiata. E non per questo, commovente, sentimentale, poetica.

Dietro l’amalgama pastello di umano e divino le formule matematiche di una composizione spaziale rigorosissima, dietro sfumature angeliche la furbizia di un alchimista capace di reiterare puntualmente la sua combinazione perfetta di emozione e bellezza. Un magnifico orologio, un esercizio di meccanica fine che torna e ritorna nell’arco di un ventennio sempre più elegante, fondendo in una sintesi straordinaria le lezioni derivanti dalle diverse esperienze vissute tra Perugia, Roma, Firenze. Una ricetta che si farà scuola essa stessa, («editoriale peruginesca», la definizione di Roberto Longhi).

L’uomo, la fama, i detrattori

Ed è forse nell’autoritratto del 1504, attribuito prima a Raffaello e a Lorenzo di Credi e riattribuito al Perugino proprio in occasione della  mostra, la più utile chiave di lettura. L’olio su tavola concesso dalla Galleria Palatina degli Uffizi era stato prima attrbuito a Lorenzo di Credi, un ritratto di Verrocchio: poi, allo stesso autore come un ritratto di Perugino e infine a Raffaello come un ritratto di Verrocchio. “Io ho sempre avuto la convinzione che il pittore fosse Perugino, un autoritratto mi sembrava plausibile – ha spiegato Pierini all’ANSA – Poi sovrapponendo l’immagine all’affresco nel Collegio del Cambio mi sono accorto che tornava perfettamente anche se il volto era più giovane di cinque o sei anni”. Con gli storici e i tecnici della Galleria sono state fatte prove di photoshop e anche in questo caso i risultati combaciavano.

“Tre giorni fa siamo andati a fare misurazioni nel Collegio del Cambio, scoprendo che tra pupilla e pupilla sia nel quadro sia nell’affresco ci sono 56 millimetri. E’ per forza lo stesso cartone, quindi, che Perugino utilizzò nell’affresco invecchiandosi un po’. Così abbiamo cambiato l’attribuzione. Poi sovrapponendo l’immagine all’affresco nel Collegio del Cambio mi sono accorto che tornava perfettamente anche se il volto era più giovane di cinque o sei anni”.

Il Maestro si ritrae a 45 anni, regalandosi una solida, compiaciuta, sfrontata sicumera. Uno sguardo di sfida che meglio di tanta critica inquadra l’uomo nel suo tempo, dando un volto coerente con le testimonianze e la fama che lo accompagnò in vita A lui, i contemporanei attribuivano un poderoso talento. “Il meglio Maestro d’Italia”, Agostino Chigi, 7 novembre 1500; «Valente, delicato, vago, piacevole et diligente» (Sabba da Castiglione,«Ricordi», 1505-1515;

«Tanto piacque al suo tempo che vennero molti di Francia, di Spagna, d’Alemagna e d’altre province per impararla», Giorgio Vasari, «Le vite» 1568.

Il Vasari, impietoso

E proprio il Vasari, costretto al plauso, lui che lui non provava alcuna simpatia per il maestro di Raffaello, tacciato anzi di avarizia, irreligiosità e scarsa inventiva, fornisce conferma autorevole alle voci di bramosia, attaccamento al denaro, egocentrismo, arroganza.

«Fu Pietro persona di assai poca religione e non se gli poté mai far credere l’immortalità dell’anima; anzi con parole accomodate al suo cervello di porfido, ostinatissimamente ricusò ogni buona via. Aveva ogni sua speranza ne’ beni della fortuna, e per danari arebbe fatto ogni male contratto».

Amore e Castità: la querelle

Altri gli imputavano la tendenza ad accaparrarsi più incarichi di quanti potesse portarne a termine, tanto da lasciare dietro di se una scia di opere mai completate, consegne ritardate e malumori. Su tutte, le rimostranze di Isabella d’Este, insoddisfatta dell’esito della Lotta fra Amore e Castità, qui in prestito dal Louvre. E tuttavia, per decenni, fu davvero, davvero «Il meglio maestro d’Italia».

Il meglio maestro d’Italia: i curatori

«La scelta di utilizzare questa espressione – ricordano i curatori Marco Pierini e Veruska Picchiarelli – dichiara esplicitamente l’intenzione di raccontarne la grandezza attraverso gli occhi di chi poté ammirare il suo lavoro da una prospettiva privilegiata, senza che lo sguardo risultasse fuorviato dalla produzione di una tarda attività particolarmente prolifica (talvolta persino seriale) e senza soprattutto i condizionamenti dovuti a una fortuna critica a dir poco altalenante».

Monica LA TORRE   Perugia 167 Aprile 2023