di Nica FIORI
In un paese straordinariamente ricco di emergenze archeologiche come il nostro, ci sono dei monumenti che, essendo vicini ad altri di maggiore appeal, vengono di norma trascurati dagli itinerari turistici, ma non di rado si tratta di architetture di grande interesse storico, artistico e paesaggistico, che meritano di essere rivalutate e rese agibili, qualora non lo fossero.
È questo il caso di due edifici del territorio di Tivoli, il Mausoleo dei Plauzi e il Tempio della Tosse, che sono attualmente oggetto di restauro da parte della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti, diretta da Lisa Lambusier.
Saltuariamente la Soprintendenza propone delle visite guidate ai cantieri di restauro ed è ciò che ha fatto lo scorso 27 maggio 2022, al termine del convegno “Lazio e Sabina”, con la guida di due suoi funzionari, l’archeologo Zaccaria Mari e l’architetto Sergio Sgalambro.
I due monumenti si trovano entrambi lungo il corso dell’Aniene, che i Romani chiamavano Anio dal nome di un leggendario re che vi era affogato. Questo fiume, che dai monti Simbruini scorre da Sud-Est a Nord-Ovest fino a raggiungere il Tevere, riserva non poche sorprese, in particolare a Tivoli, dove Gregorio XVI, dopo la disastrosa piena del 1826, che aveva distrutto una parte del territorio, fece deviare il suo corso, attraverso grandiose opere artificiali, e vi creò poi la celebre Cascata grande (1835) e l’annessa villa Gregoriana.
Il salto dell’Aniene, che da 210 metri d’altezza scende ai 60 delle cascatelle, è spettacolare e appare all’improvviso, dopo una discesa nel verde, da alcune terrazze belvedere appositamente scavate nella roccia. Non c’è da meravigliarsi se il paesaggio tiburtino (dal nome di Tibur, la città latina poi divenuta municipium romano) ha ispirato innumerevoli artisti per la capacità di evocare la grandezza della natura e allo stesso tempo la classicità delle antiche architetture romane.
La bellezza del luogo, in effetti, aveva spinto i Romani già in età tardorepubblicana a costruire nell’Ager Tiburtinus numerose villae rusticae, ovvero quelle lussuose dimore di campagna, con tenuta agricola annessa, dove era possibile soddisfare il bisogno di evasione dalla città. Questa vocazione andò avanti per tutta l’età imperiale, raggiungendo il massimo splendore con la costruzione di Villa Adriana, le cui architetture si ispirano a luoghi visitati da Adriano (117-138) nei suoi molteplici viaggi. Si tratta di un sito di tale magnificenza da essere stato inserito dall’Unesco nel patrimonio dell’Umanità nel 1999, mentre risale al 2001 l’inserimento della cinquecentesca Villa D’Este, rendendo così Tivoli una delle mete preferite del turismo internazionale.
Oltre ai resti di ville, il patrimonio archeologico tiburtino comprende santuari (celebre quello di Ercole vincitore) e importanti monumenti sepolcrali, dei quali il più noto è proprio quello dei Plauzi, sulla sponda sinistra dell’Aniene, presso il cosiddetto ponte Lucano. Secondo Zaccaria Mari è probabile che la particolare posizione di questa tomba, che tante volte Adriano ebbe modo di ammirare mentre si recava nella sua villa, abbia ispirato quella del suo mausoleo a Roma (ora Castel Sant’Angelo), situato sulla sponda del Tevere di fronte a ponte Elio.
Il mausoleo dei Plauzi, eretto in età augustea, si presenta come un cilindro su un basamento a forma di basso parallelepipedo quadrato (similmente a quello di Cecilia Metella sulla via Appia), oggi quasi completamente interrato.
Il corpo cilindrico è pieno nella parte inferiore e vuoto in quella superiore, che è stata interessata nel tempo da pesanti interventi, in particolare con l’erezione di alti pilastri in muratura che sorreggevano la copertura lignea, che era raggiungibile per mezzo di scale anch’esse in legno. Il coronamento ad archetti e merli che vediamo attualmente risale alla trasformazione nel Quattrocento in fortilizio per la difesa del ponte Lucano, al tempo di Paolo II (1464-1471), del quale troviamo lo stemma.
Ma un utilizzo come baluardo difensivo è citato già nel Medioevo nell’anno 1141 e probabilmente lo è stato anche nel VI secolo al tempo della guerra greco-gotica.
Il tamburo cilindrico (oltre 17 m di diametro) in epoca romana non terminava a cono, come appare in un disegno ricostruttivo di Luigi Canina, ma con un parapetto a merli quadrati o con una copertura piana.
L’esterno è rivestito di blocchi quadrati di travertino e conserva dal lato dell’antica via Tiburtina le epigrafi relative ai defunti, onde eternarne la memoria. La gens non era originaria di Tibur, ma del piccolo municipio di Trebula Suffenas (oggi Ciciliano), nella valle Empolitana.
Una grande epigrafe, con ai lati due semicolonne delle quali una conserva il capitello corinzio, ricorda il fondatore del mausoleo M. Plautius Silvanus (console nel 2 a.C. con Augusto), la moglie Lartia e il figlio Urgulanius, morto a nove anni. Di Marco Plauzio Silvano, figlio di Marco e nipote di Aulo, è specificato che fu console, settemviro epulone e che fu insignito degli ornamenti trionfali poiché aveva ben condotto le imprese nell’Illirico.
Una seconda epigrafe, alla destra della prima, ma più piccola e coronata da un arco, è di T. Plautius Silvanus Aelianus (console nel 45 e nel 74 d.C.) ed enumera, dopo i nomi e le note di consanguineità, le cariche, le gesta e gli onori ricevuti. Un’altra iscrizione relativa al figlio di Silvano Plautius Pulcher, della quale si ha notizia, è andata perduta. Dovevano tutte far parte di un prospetto architettonico in travertino a base quadrata, che probabilmente girava intorno al corpo cilindrico con nicchie ad arco e quella centrale rettangolare, separate da semicolonne. Un’altra iscrizione frammentaria è posta in alto e presenta un testo in cui ricompare il nome del fondatore e della moglie Lartia.
Dalla lettura di Tacito scopriamo alcune notizie su questa famiglia. La madre di P. Silvano, Urgulania, era intima di Livia, la moglie di Augusto, e pretendeva in modo arrogante di essere al di sopra della legge, tanto che quando fu chiamata a testimoniare perché un suo nipote aveva ammazzato la moglie, lei si rifiutò e pretese che fosse il pretore urbano ad andare a casa sua.
Apprendiamo anche che la nipote Plauzia Urgulanilla (figlia di Silvano) fu la prima moglie di Claudio e venne ripudiata per sospetto adulterio. Una descrizione esilarante del fidanzamento di Claudio con questa Urgulanilla, paragonata a Ercole per l’aspetto fisico oltre che per il nome, viene fatta da Robert Graves nel suo libro “Io Claudio” (1934) e nello stesso libro Urgulania è descritta come una megera che aveva il ruolo di Madre Confessora delle Vestali.
Proprio nei pressi del mausoleo, alle pendici dei monti Tiburtini e in vista della città di Tivoli, c’era la cava del Barco per l’estrazione del travertino (il lapis tiburtinus utilizzato anche per il Colosseo), che rimase in funzione fino al VI secolo. Una volta abbandonata (anche se ripristinata per la fabbrica di San Pietro), la cava si trasformò in una sorta di palude.
Anche la cella funeraria del mausoleo è costantemente invasa dall’acqua. Collocata nel corpo inferiore dell’edificio, era accessibile da una porta architravata sul lato opposto alla Tiburtina. Come risulta da antiche descrizioni, è una cella a pianta quadrata in opus reticulatum, con abside sul fondo, illuminata da due feritoie.
La criticità del sito è dovuta alle esondazioni del fiume e a un sistema fognario critico. In seguito alla realizzazione di uno svincolo stradale sulla Tiburtina, si è pensato di creare un argine costruendo un antiestetico muro che funge da barriera (2004), con lo scopo di salvaguardare l’edilizia circostante spesso abusiva, e di fatto il mausoleo è stato abbandonato per anni al degrado.
L’ultimo progetto di restauro ha interessato tra il 2019 e il 2021 non solo il mausoleo come manufatto architettonico, ma anche la bonifica dell’area circostante, giustificata dal vincolo del rispetto delle prospettive della visuale, che risale al 1954. Sono state asportate ripetutamente con sfalci ed estirpazione delle radici le canne che nascondevano in gran parte le visuali, sia del ponte Lucano, sia dell’Antica Osteria (un casale secentesco in gran parte distrutto da un incendio), che è stata oggetto di puntellamento.
Si è provveduto quindi a eliminare la vegetazione infestante che copriva l’edificio e a mettere in sicurezza i pilastri interni di età successiva a quella romana, in particolare un pilastro alto 12 m che non ha fondazioni ma poggia su un terreno di riporto. È stato restaurato il camminamento, la merlatura e gli archetti, ed è stato rimesso in luce il primitivo pavimento romano a setti radiali. Si è proceduto alla pulitura del paramento esterno di travertino con una rimozione meccanica delle croste, incollaggio delle parti staccate e stuccatura. Anche le iscrizioni sono state restituite alla piena leggibilità.
Purtroppo all’interno del mausoleo non si può accedere (il ponteggio utilizzato per il restauro è stato tolto) ed è oggetto di discussione la possibilità di creare una scaletta che possa consentire l’accesso ai visitatori da una porticina collocata sul retro (rispetto alle iscrizioni) ad una certa altezza ed eventualmente arrivare al coronamento merlato.
Per ora – e non è poca cosa – è stata recuperata l’immagine sette-ottocentesca del sito, che era diventato terra di nessuno e che nel passato era stato immortalato da innumerevoli artisti, tra cui Giovan Battista Piranesi, ricordato nel luogo con due pannelli relativi a un percorso piranesiano.
Più vicino a Tivoli, al di sotto di Villa d’Este, e più esattamente in via degli Orti, nei pressi di una cartiera oramai abbandonata, costruita sulle strutture del santuario di Ercole, si trova il cosiddetto Tempio della Tosse, una rotonda a cupola con nicchie e ampie finestre.
Il suo aspetto ricorda alcuni sepolcri e battisteri del IV-V secolo e ancora di più l’edificio romano detto Tempio di Minerva Medica (nel rione Esquilino, tra Porta Maggiore e la Stazione Termini), degli inizi del IV secolo. Da un’iscrizione commemorativa ritrovata nei paraggi, sembrerebbe che anche quest’edificio tiburtino fosse stato costruito alla prima metà del IV secolo, sui ruderi di una villa romana del I secolo a.C.
L’iscrizione fa riferimento ai lavori eseguiti sulla via Tiburtina, quando sotto gli imperatori Costanzo e Costante (340-350) il tratto in salita della strada subito prima del santuario di Ercole (il clivus Tiburtinus) fu appianato dal magistrato L. Turcio Secondo Asterio.
Mausoleo di costui era ritenuto proprio il Tempio della Tosse, che più verosimilmente è da interpretare come monumentale vestibolo, mai portato a termine, di una villa. L’edificio venne trasformato nel X secolo in chiesa e restaurato con materiali provenienti dal vicino tempio di Ercole.
Si nota in particolare il reimpiego nella muratura di un’ara del V-IV secolo a.C.
Risalgono al basso periodo medioevale alcuni affreschi contenuti al suo interno, anche se in gran parte danneggiati dal tempo.
L’edificio venne probabilmente abbandonato tra il XVII e il XVIII secolo; fino all’Ottocento era comunque proprietà del Capitolo del Duomo di Tivoli.
Nel passato sono state avanzate diverse ipotesi sulla sua funzione, tra cui quella che si trattasse di un ninfeo, di un tempio dedicato a Venere o al Sole o di un sepolcro della gens Tuscia (che ricorda il nome attuale).
Si riteneva anche che fosse un tempio dedicato alla personificazione della tosse, eretto al di fuori delle mura per tenere lontana la malattia della popolazione tiburtina.
Attualmente l’edificio è inglobato in una proprietà privata ed è sottoposto a interventi di restauro da parte della Soprintendenza. Tutt’intorno c’è un muro che lo cinge, caratterizzato da archi inclinati, il cui scopo è quello di arginare la terra (ci troviamo in una zona coltivata a orti e vigneti).
L’edificio, in opus listatum, è impostato su una precedente struttura rettangolare in reticulatum, residuo di una villa di epoca precedente seppellita dall’interro. Il cantiere attuale ha evidenziato che il presunto vestibolo della villa monumentale non è mai stato finito, non ha avuto un pavimento e non è mai stato intonacato.
Particolarmente suggestiva è la cupola, con un diametro di oltre 12 metri, con un oculo centrale come in quella del Pantheon e con gradoni esterni.
Il corpo centrale in mattoni si articola in due livelli, uno più antico su cui erano situati gli accessi, l’altro più recente, su cui si aprono tre grandi nicchie rettangolari e quattro nicchie semicircolari.
Nel corso dei restauri è stata trovata la dedica alla Madonna del 932. Si tratterebbe della Madonna che il volgo chiamava della Tosse, perché il dipinto nell’abside a sud-ovest la raffigura con la bocca aperta. Etimologia che potrebbe richiamare quella di un’altra antica immagine della zona, detta della Febbre. Entrambe venivano invocate per ottenere la guarigione, la prima dalla tosse e la seconda dalle febbri, come viene riferito da Filippo Alessandro Sebastiani nella sua opera “Viaggio a Tivoli antichissima città latino-sabina fatto nel 1825”.
Nica FIORI Roma 5 Giugno 2022