“I virus sognano gli uomini” il meta/romanzo di Marco Palladini: come e quando nascono i mostri

di Carla GUIDI

Il chiaroscuro dove nascono i mostri …

Siamo ancora in mezzo al guado per uscire da uno stato di pandemia globalizzata e mortale che ha leso gli equilibri economici, tacitato le espressioni culturali e deformato i rapporti sociali in un tempo sospeso divenuto fobico. Quando ne usciremo e come ne usciremo sono luoghi del futuro; però ricordiamo che in questi ultimi anni drammatici i segnali di una saturazione insana del nostro stile di vita erano già piuttosto evidenti, tanto che nel 2019, erano comparsi grandi manifesti per Roma con una scritta che sembrò addirittura una profezia

Il vecchio mondo sta morendo e quello nuovo tarda a comparire … In questo chiaroscuro nascono i mostri. (Antonio Gramsci).
Cover Sandro Visca, 2007, il predatore notturno

Si trattava dell’opera “Chiaroscuro” dell’artista cileno Alfredo Jaar, parte degli interventi esterni della collettiva “La strada. Dove si crea il mondo” (Museo MAXXI di Roma aprile 2019)

https://artslife.com/2018/12/15/svelato-il-mistero-dei-poster-con-il-chiaroscuro-di-gramsci-che-hanno-invaso-le-strade-di-roma/

Poi durante l’annus horribilis e bisesto 2020, molti altri artisti già tacitati come tutti dal primo tragico lockdown totale, hanno cominciato a reagire … Non poteva mancare l’ultimo meta/romanzo di Marco PalladiniI virus sognano gli uomini (ed Ensemble 2021) nel quale, già dal titolo, si percepisce un brivido millenaristico e distopìco, sensazione alla quale si mescolano paura, desiderio di fuga e rabbia.

https://www.edizioniensemble.it/prodotto/virus-sognano-gli-uomini/

Così scrive l’Autore:

Con questo Contagio siamo dentro più dentro il XXI secolo, dentro il modo in cui noi lo guardiamo, ma soprattutto dentro il modo in cui lui guarda noi… è uno sguardo patologico, meduseo, che ha incasinato e folgorato i cervelli di tutti, incapaci di pensare a qualcos’altro… uno sguardo senza occhi che ha monopolizzato il teatro onnimediatico dalla tradizionale tivù generalista all’intero e infero web con i suoi social che spurgano fake news e deliri e demenzialità di ogni tipo… è il più grande spettacolo virtuale del mondo … una vita da reality esperita da remoto o in permanente streaming e in contemporanea planetaria… già, il pianeta è stato unifcato pressoché all’istante dal virus… producendo un flusso ipertrofco di vita disvissuta al confino domiciliare…-

Uno spettacolo virtuale sofferto, che, nell’ottica della narrazione, scinde e contestualizza da svariate angolazioni ed inverte spesso gli stati di coscienza di chi osserva e di chi è osservato. Non si tratta più lo spettacolo della Natura con la sua magia avvolgente, i punti luminosi che ci guardano sospirosi e sembrano capaci di farci sentire al centro della creazione con una sensazione di euforica perdita di confini. Qui la Natura è registrata nel suo squilibrio irreversibile, indotta quindi a creare mostri, mentre noi percepiamo ormai la tecnologia, non più come risorsa per il benessere della salute umana ed in una prospettiva di emancipazione culturale … già invocata da Dante … dalla brutalità, ma completamente asservita alla funzione di controllo ed all’ipnosi delle popolazioni, soprattutto attraverso un nuovo e sofisticato Panoptikon (già progettato dal filosofo inglese utilitarista Jeremy Bentham) quindi non semplicemente adattato ad un nuovo, poetico ma inquietante, Truman Show.

Marco Palladini ci avverte più o meno esplicitamente, in linea con le commemorazioni dei 700 anni dalla morte del divino poeta (che non ha fatto sconti a nessuno) attualizzando l’hobbessiano homo homini lupus in Homo homini virus, un inferno mediatico e persecutorio che abbiamo, alla fine, noi stessi costruito.

Mauro Molinari, Condominio 20209

I virus sognano gli uomini è sicuramente uno spaccato attuale nei tempi nei quali la pandemia ha accellerato il processo di suddivisione, forse non tra buoni e cattivi, ma tra consapevoli ed inconsapevoli, raccolti abilmente dall’autore in un succinto e rappresentativo novero di personaggi transeunti, con vari gradi di frammentazione delle coscienze, dentro un inconscio collettivo ribollente o meglio ormai galleggianti in uno spazio irraccontabile supposto vuoto (la vuotitudine come la chiama Marco Palladini) risultate dall’azzeramento del sociale e dall’impossibilità della fuga, se non stramazzando nell’unica risoluzione possibile, ma non auspicabile.

Sono questi personaggi caratterizzati da sfumature caratteriali ed argomentazioni di largo respiro ma con cadute ora patetiche, ora ironiche, ora poetiche, ora semplicemente cantilenanti, rappresentando tutti gli interlocutori fondamentale nella vita di una persona, il medico, il prete, l’amico erotomane, lo psicologo, la moglie, persino immaginari come il proprio padre ormai defunto ed il temuto “Psicovirus” ... Ebbene dialogano e si espongono in confronti psico-filosofici con il protagonista, penetrando persino nei suoi sogni od incubi terrorizzanti e destabilizzanti (tanto da celebrare il dilemma di Zhuāngzǐ) compreso quello con il diabolico “Psicovirus” che si presenta, non con la terribilità di un angelo sterminatore, ma con la convivialità a tema, dell’incontro civile tra Natura e Cultura, con sfumature leopardiane condite da humor nero.

Placido Scandurra, L’urlo…. mascherato, olio su tela, cm 180×102, 2017-2020

Per fare tutto questo Marco Palladini calza i panni del cinquantunenne Lafcadio Morriconi, concepito come un essere improbabile e sempre inafferrabile nell’altalenare tra il cinico avventuriero Lafcadio (Wluiki) protagonista gidiano de I sotterranei del Vaticano, e quel (Nando) Mericoni, il ragazzotto trasteverino di Un americano a Roma interpretato da Alberto Sordi. Lafcadio vuole rappresentare il personaggio, già concepito da Gide come una composizione satirica, perciò degno rappresentante di una società attuale dominata dai giochi di potere di forze ideologicamente opposte, dove ugualmente sopravvivono concezioni del mondo tradizionali, svuotate di contenuto, ritualizzate vanamente da parte di chi si sente escluso da ogni sentimento di appartenenza, ma che oscilla tra il percepirsi pressoché una nullità e il sentirsi un Dio, “dio Lafca” appunto, come viene spesso ripetuto, ma soprattutto un Io italiota che naviga nell’incertezza della complessità dell’ipermoderno.

Viceversa l’altro, il Mericoni/Morriconi ne rappresenta il Sè, la certezza della propria ascendenza, il cognome appunto, ma anche quell’istinto di base comune che in qualche modo ci salva dall’annichilimento, quella stessa risorsa che ci ha fatto sopravvivere all’umiliazione postbellica trasformata in satira di costume, attraverso il mito esterofilo del sogno americano (del film diretto da Steno del 1954) una resilienza culturale che metabolizza e trasforma, con l’opportunità di quell’autoironia salvifica, permettendoci di rimanere ancora in gioco.

La tecnica dello sdoppiamento dialogico, teatrale e strutturale insieme, alimenta quindi l’intera rappresentazione nella narrazione che corre al galoppo attraverso l’apertura e la chiusura di sipari, fino alla tragica implosione finale, visitando figure prestigiose della letteratura e dell’arte come le stazioni di una laica via Cricis … il tutto scritto con un linguaggio gotico/fiorito, allusivo e destabilizzante, dove abbondano neologismi creativi, poetici e prose ritmiche; pennellate crude ed evocative. Si assiste così ad un crescendo di situazioni che oscillano dalla descrizione d’ambiente, al monologo interiore, al rimuginare ed a volte, con l’inclusione di veri e propri elenchi di cose o situazioni omologate con un certo gusto polemico, fino ad attingere anche all’invicto spirito popolare romanesco:

In quei giorni si era fatto vivo, dalla capitale, pure un bello spirito, Spartaco F. che si dilettava a farsi chiamare “er reuccio de li zombetti”, nonché a comporre spossanti tiritere vernacolari, come l’ultima inviata al Morriconi e intitolata Afebbe de sto kanajavirus. Gli scriveva: «…Qui stamo abbraciolati peggio de Rughentino cor vibbrione… ’a febbe ’mpazza e je da ggiù a lo stroligo comme ar tiatrante, a la stetista e a lo sediaro, a lo spezziale e a lo stagnaro, a la sartora e a lo scufaro, ar pupone e a la zagnotta, a lo spippatore e ar fotofego, a lo sminfarolo e ar fagottaro, ar pesciarolo e ar macellaro, ar pizzicarolo e ar pastarellaro, ar piedipiatti e ar gabbellaro, ar guidarello e ar palazzinaro, ar fumantino e a l’ombrellaro, ar posapiano e ar notaro, ar mammozzone e a l’orloggiaro, al lettronico e ar matarazzaro, a lo scipparolo …(continua)››

… fino al vagheggiamento di mondo/altro che oscilla tra il sogno/incubo alla vera e propria fantasia ad occhi aperti fino al prevalere di un posizionamento anti/antropocentrico che finisce per sparare crudeli giudizi sui propri simili (tra l’altro non del tutto in-giustificati). A questo proposito cito un passaggio particolare e ferocemente satirico su quello che si potrebbe chamare la passerella dei virologi:

In quei giorni il leitmotiv era: prospera la malattia anche là dove si spera. Là dove scaglionati (e non di rado assai scoglionati) si avvicendavano davanti alle telecamere plotoni compatti di virologi, infettivologi, epidemiologi, pandemiologi, immunologi, pneumologi, biologi e altri -ologi a iosa e a volontà. Tutti bravi a sgomitare e a starnazzare, come oche e ochette della medicina, le loro verità, invero presunte o parziali o ancora tutte da dimostrare. La sagra onnimediatica della doxa sedicente scientifca concresceva nel contraddirsi gli uni con gli altri, insultandosi, dandosi sulla voce elicitando previsioni sballate o truismi furbetti, manifestando ampollose interpretazioni capaci di aermare tutto e il suo contrario, anche scagliandosi contro numeri e statistiche che potevano dire una cosa, ma pure il suo opposto. Insomma, un gioco social-comunicativo veramente pietoso, nutrito di narcisismi ed egotismi senza freno, dove era sempre possibile aggiungere un “più uno!” alle asserzioni o osservazioni dell’interlocutore di turno. Che spettacolo! Istruttivo e miserando, di fronte al pubblico dei telespettatori agli arresti domiciliari, i quali a casa pensavano: ecco chi sono i pezzi di merda che ci hanno tolto la libertà. Infodemia, dicevano alcuni: epidemia informazionale dei cervelli e delle pubbliche opinioni che sono, probabilmente, malattie mentali in sé. Infodemica la scienza degli archiatri era offerta come su una passerella da avanspettacolo, dove ciascuno fa il suo numerino televisivo, poi oplà, una capriola, un ghigno e via, sotto il prossimo! –
Giampiero Poggiali Berlingieri, Legami-al-tempo-del-Covid19.-acrilici-su-tela-cm-50×50-2020

Se qualcuno volesse prendere posizione sugli opposti sentimenti provati in quel terribile periodo, in questo libro ritroverà tutti gli argomenti o quasi; dall’altruismo di specie all’effetto psicovirus, ovvero una brutta prolessi di una possibile guerra di tutti contro tutti; dalle considerazioni sulla necessità di un cambio radicale di paradigma per pensare ad un mondo nuovo, ai timori di una guerra batteriologica o biologica scatenata da forze oscure, per mandare nel caos il mondo e prenderne il controllo … citando tra l’altro lo scrittore Tomas Pynchon che aveva spiegato quanto il dispiegarsi della pulsione paranoica nella psiche collettiva fosse una delle forze più potenti che mandavano avanti il mondo. Quindi non c’era da meravigliarsi se la narrazione ufficiale del Contagio confliggeva con una contronarrazione paranoico-dietrologica che presentava più versioni, concludendo che l’informazione è la più solerte guardiana del potere.

Citando gli insegnamenti di Siddharta, per il quale nella vita bisogna sapere aspettare, respirare e meditare, ricorda che molti avevano creduto in una salvezza o almeno un sollievo, nelle esplosioni collettive di cosiddetti flashmob canterini alle finestre ed ai terrazzi, ma tutto questo si era poi trasformato poi in un silenzio ed una rarefazione irreale del tempo. Riguardo poi la notizia diffusa dai media del salto di specie di un virus zoonotico, l’autore conclude che la ferocia del vivere accomuna tutti, dai mercati cinese di animali, i wet market, ai nostri allevamenti intensivi, riflettendo tra l’altro quanto il contagio non abbia diminuito affatto le distanze tra culture, religioni e politiche.

In attesa di un tempo nuovo, riabilitato …

Tanti, invece, ammettono, come nella canzonetta, di avere perso le parole. Lo scrittore Douglas Coupland li chiama gli smupids, ossia gli stupidi super-smart, superveloci, superbrillanti, superfighi nel sapere una quantità di cose che non ci servono affatto, di cui ci importa meno che niente. –

 I virus sognano gli uomini, edito da Ensamble 2021 nella collana Anima Mundi di nuova letteratura diretta da Plinio Perilli che firma la postfazione.

Marco Palladini (Roma, 1953)

Marco Palladini, foto di Valter Sambucini

è narratore e poeta, nonché drammaturgo, regista, performer e critico nell’ambito del teatro d’autore e di ricerca. Suoi testi in versi e teatrali sono tradotti in greco, romeno, inglese, ucraino, tedesco, ungherese, spagnolo e catalano. Ha scritto e allestito una quarantina di testi, spettacoli e performance teatrali e poetico-musicali, realizzando anche con I. La Carrubba il videofilm Fratello dei cani (2013). Tra le ultime pubblicazioni ricordiamo le sillogi Attraversando le barricate (2013), È guasto il giorno (2015) e De-siderata (2018), il romanzo Stecca, mutismo e rassegnazione (2017), Strasognando Fellini (attraverso nove stazioni/stagioni filmiche) (2019), e la raccolta di racconti Nomi veri falsi (2019). Sulla sua opera poetica è uscita una monografia critica di I. Appicciafuoco: Nei sentieri della linguavirus (2019). Segnaliamo la rivista online L’Age d’Or della quale è Direttore Responsabile – www.lagedorivista.wordpress.com

Carla GUIDI   Roma  18 aprile 2021

LE FOTO n 3, n 4 e n 5 sono tratte dal libro – Quintetti d’arte. Mostre paradigmatiche e Vetrina dell’invisibilità – a cura di G. Di Genova e C. Guidi (Robin editore 2021)