I pittori di paesaggio che trovarono ispirazione a Roma; il ‘caso’ di Gaspard Dughet

di Carla MARIANI

Molti dei pittori di paesaggio attivi a Roma tra Cinque e Seicento provenivano dal nord Europa, sicuramente attratti dalla città ma soprattutto affascinati dalla campagna che la circonda, ricca di luoghi legati ad una cultura antica dove santuari e sepolture etrusche e romane conferiscono al paesaggio un vero e proprio genius loci.

Tra questi artisti giganteggiano nella prima metà del Seicento due francesi, Claude Lorrain e Nicolas Poussin. Claude costruisce un mondo ideale, poetico, di eterna primavera e giovinezza. Rifugge da accese passioni e i suoi personaggi sono animati da quel soffio divino che li astrae dalle umane debolezze.

Intriso di passione intellettuale è invece Poussin. Nei suoi dipinti di pura perfezione, le architetture e i paesaggi obbediscono ad una ferrea struttura di radice rinascimentale che, attraverso un artificio profondo e nascosto, costruisce l’immagine stessa della naturalezza. La sua aderenza alla classicità fa si che i suoi personaggi abbiano il volto delle maschere greche.

In questo stesso mondo trova le sue radici Gaspard Dughet, più giovane dei suoi maestri di una generazione, Gaspard si appropria delle esperienze e delle dure prove dei primi che diventano per lui una grande lezione di consapevolezza. Una nuova libertà e una fresca naturalezza lo guidano alla scoperta di una Natura reale e magica allo stesso tempo, in cui uno stormire di fronde assomiglia al canto lontano di una voce, l’umido improvviso di una forra fa tremare di freddo come se uno spirito selvaggio ci sfiori, un bosco solitario pieno di fruscii fa avvertire presenze sconosciute.

Il creato di Dughet è pagano, figlio di una “eretica” libertà mentale, secondo una citazione di Giuliano Briganti e realmente vi sentiamo una tensione profonda, una drammaticità ineluttabile[1]. La Natura di Dughet è bellissima, selvaggia, istintuale. Qui vive lo spirito di Pan Re della Natura, egli evoca il nostro paesaggio interiore, il tempo dell’età dell’Oro ormai perduta. Lo si vuole figlio di una ninfa e di Etere quella sostanza invisibile che però permea tutti i luoghi, proprio come lui.

La ninfa che lo partorì lo abbandonò avvolto in una pelle di lepre, animale lunare da sempre associato alla magia e all’abilità di viaggiare tra i mondi, perché si mostra nelle ore di passaggio, nel confine tra il buio e la luce.

Pan è custode delle nostre pulsioni più profonde, più vitali: la Paura e il Desiderio, ma la Paura rifiutata come sentimento di debolezza e chiusa nel nostro profondo diventa Angoscia. Queste emozioni sono giudicate negative dalla spiritualità cristiana che proclama l’Anima immagine di Dio e uccide Pan identificandolo con il Demonio.

Da qui si dipana la storia di Dughet.

Nacque a Roma il 7 giugno 1615 da Jacques Dughet, cuoco parigino e da Dorotea Paruffo o Scaruffo di Paliano. E’ il quarto di 7 figli e manifesta una precoce e sicura attitudine al disegno. La sorte lo aiuta mettendolo sulla strada di Nicolas Poussin che sposò una sua sorella maggiore e si dedicò con nobile impegno all’educazione di un giovane pur tanto diverso da lui per carattere e comportamento, Dughet fu appassionato cacciatore, attività remotissima dal temperamento poussiniano.

Frutto di questi insegnamenti è in un gruppo di opere, che Gaspard  dipinse in una maniera un po’ secca, hanno come presenza costante l’albero di betulla e fu Roberto Longhi tra i primi ad individuare in quei dipinti la fase giovanile di Dughet, “Maestro della betulla[2]. Fig 1

Figura 1 Maestro della Betulla, Olio su tela, collezione privata

Presto Dughet si muove da Roma per visitare altre citta, Napoli Perugia, forse Firenze. Ospite del Duca della Cornia fu a Castiglion del Lago. Il milanese Ariti lo portò nell’alto Lazio aspro e selvaggio. La sua esperienza si allarga enormemente e ben presto cominciano a arrivare i primi incarichi importanti tra cui il ciclo di affreschi per San Martino ai Monti a Roma datati agli anni Quaranta del Seicento. L’impresa ebbe grande successo, e da quel momento si moltiplicano le commissioni per le famiglie nobili romane, soprattutto i Colonna e i Doria Pamphilj.

Nel 1658 lavora al grande Palazzo Doria Pamphilj di Valmontone dove affresca il salone del Principe coraggiosamente con vedute su una natura grande e disabitata, come affacci su aperture di aria e orizzonti. Lascia anche bellissimi paesaggi su tela.

Figura 2 Gaspard Dughet, Olio su tela, Paesaggio con cascate di Tivoli, Wallace collection Londra

Risalgono invece all’ ottavo decennio i pagamenti dei Principi Borghese, per i quali affresca il primo e il secondo mezzanino, del Palazzo di città con la collaborazione di Filippo Lauri per le figure[3]. Fig 2

Dipinge, nel corso della sua lunga carriera, un numero imponente di tele frutto delle sue esplorazioni nel Lazio, interprete come nessuno di quel territorio vasto e complesso che va sotto il nome di “Campagna Romana”.

Noi conosciamo i luoghi che amava, Tivoli soprattutto, ritratta mille volte, che nasconde nella natura prorompente, la sua anima pagana nell’antico tempio romano e ci avvicina a quel concetto moderno del sublime, in cui la bellezza è più esaltante quando inconsciamente ci fa paura. Il pittore esplorava a dorso di mulo i boschi deserti e le aspre montagne, solitarie come divinità pietrificate.

I primi affreschi eseguiti per San Martino ai Monti sono insoliti per la decorazione di una chiesa e rappresentano paesaggi aperti e luminosi, il cielo e lo spazio sono protagonisti e le figure perfettamente inserite, sembrano scaturire dalla natura.

A palazzo Doria Pamphili a Roma dipinge grandi tele in cui l’uomo è assente, solo la natura parla ed ha una voce “pagana”, si esprime con un linguaggio portentoso, i grandi paesaggi popolati da alberi, acque, e rocce sono vivi, noi sentiamo lo scroscio delle cascate, lo stormire delle fronde mosse, il vento sulle rocce, come la parola della terra appena creata che aspetta l’uomo per raccontargli la sua storia, una sorta di “creazione del mondo nella campagna” romana[4].

Anche una architettura come Il ponte Nomentano è raffigurata come una emanazione delle rocce che lo circondano, con la stessa solidità, colore e imponenza.

La grande abilità pittorica di Dughet gli fa trattare l’affresco con la stessa maestria della pittura ad olio. Ma la sua abilità di renderci la natura inanimata, non è la stessa nel renderci la figura umana, o meglio forse lui credeva che così fosse. Infatti in molti suoi dipinti lo affiancano per le figure Filippo Lauri[5]. In realtà i suoi personaggi sottili vestiti con pochi panni all’antica, che sostano in riposo o indicano la lontananza, hanno una eleganza e naturalezza li rendono ineguagliabili.

Nel Palazzo Colonna dipinge paesaggi a fresco che si aprono tra le complesse architetture di un salone, dando profondità e spazio ad un’ambiente che diventa magico. Negli affreschi di Palazzo Borghese, la natura è cosi viva che vediamo le nuvole correre, ci bagnamo nelle acque del lago e ci sembra che gli alberi abbiano braccia e mani e si muovano ondeggianti per chiamarci a partecipare alla scena.

Tra le tante opere da cavalletto che Dughet ha dipinto, ce n’è una singolare in cui emerge lo spirito di Pan con la sua serpeggiante Angoscia, inevitabilmente legata alla natura capace di suscitare sentimenti nascosti. In un magnifico Paesaggio con pescatori, l’orizzonte d’acqua è lontano, i cieli sono calmi e la nostra attenzione è attratta dal primo piano dove l’elemento simbolico del lago, oscuro e fermo evoca l’introspezione, il raccoglimento. Vivaci cascate lo alimentano, simbolo di rinascita e vitalità. Fig. 3

Figura 4 Gaspard Dughet, Olio su tela Paesaggio con pascatori, collezione privata.

Un uomo solo seduto di fronte a noi, disperato, appoggia la testa sulla mano, gli occhi sbarrati guardano il vuoto, in preda all’Angoscia, al Panico generato da un messaggio subliminale che scuote questa figura inquietante.

Negli ultimi anni della sua vita, dopo la morte di Nicolas Poussin dai cinquanta ai sessanta, si sente libero da ogni influenza e cerca l’introspezione, ascolta il suo animo che trova la poesia, quella intima che scaturisce dal quotidiano che è la nostra eternità.

I suoi ultimi paesaggi sono più sognanti, monumentali, i colori e le pennellate fuse, cilestrini, gialletti, terre verdi, le figure fatte di tocchi con un poco di azzurro.

Diventa classico, di un classicismo non epico, non solenne ma umano, come quando nella memoria delle cose passate le immagini si allontanano e diventano universali.

Carla MARIANI   Roma 27 Marzo 2022

NOTE

[1] Arcangeli, F. – Cavalli, G.C. –  Emiliani, A. – Kitson, M. – Mahon, D. – Mezzetti, A. –  Volpe, C., “L’Ideale classico del Seicento in Italia e la Pittura di Paesaggio”; prefazione di Bazin, G.;saggio introduttivo di Gnudi, C.; 1962 Edizioni Alfa.
[2] Bosclair, M.N., Gaspard Dughet. 1615-1675, Arthéna Editore 1986.
[3] Romano, G. – Gregori, M. (a cura di) Dal Duecento a Caravaggio a Morandi. La collezione di Roberto Longhi, catalogo della mostra, l’Artistica Editrice 2007, p. 162
[4] Burckhardt, J., Il Cicerone1855, ed. Sansoni, Firenze 1952, pag 1149