i casi più clamorosi di furti d’arte nel libro “Capolavori rubati” di Luca Nannipieri

di Nica FIORI

Un libro che affronta la storia dell’arte in una chiave tutt’altro che accademica è indubbiamente “Capolavori rubati”, edito da Skira, il cui autore, Luca Nannipieri, ha la capacità di rendere l’arte accessibile a tutti grazie a una scrittura coinvolgente e densa di notizie interessanti. Nannipieri è uno storico e critico d’arte che, oltre a scrivere su quotidiani e riviste nazionali, entra nelle case degli italiani attraverso la televisione, in quanto cura una rubrica al “Caffè” di Rai Uno, ed è proprio partendo da questa sua rubrica che nasce l’idea del libro, per il quale è stato fondamentale anche l’incontro con i protagonisti del rientro di opere nella loro giusta sede, come per esempio il generale Roberto Riccardi, alla testa del Nucleo dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC), che fu organizzato e guidato dall’indimenticabile Comandante Roberto Conforti.

Come sostiene l’autore, il libro ci fa rileggere la storia dell’arte attraverso le assenze. Infatti, se è vero che di norma l’arte viene raccontata andando nei musei a vedere le opere che vi sono raccolte, la storia dell’arte si può anche raccontare paradossalmente con le opere che non ci sono più. Si può raccontare la storia di Caravaggio, di Cellini, di Rembrandt, di Vermeer, di Van Gogh, di Klimt, e di tanti altri descrivendo le opere saccheggiate, rubate e in qualche caso recuperate. Alcune opere sono diventate famosissime grazie ai furti, mentre prima non erano oggetto di grande interesse. La loro mancanza le ha rese “uniche”. Prendiamo ad esempio la Natività di Caravaggio trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo nella notte del 17 ottobre 1969 e mai ritrovata. Solo dopo il furto è diventata “un caso giudiziario, letterario, giornalistico, cinematografico, senza precedenti nella storia dell’arte”con una risonanza paragonabile a quella del furto della Gioconda dal Louvre nel 1911 (recuperata nel 1913), che ha fatto esplodere il mito di Leonardo.

La Natività, realizzata dal Merisi a Palermo nel 1609, dopo la sua fuga da Malta, è (ammesso che non sia andata distrutta, rosicchiata da topi nel suo nascondiglio, come avrebbe affermato un pentito della Mafia (vedi in proposito oggi su About Art Michele Cuppone ) un’opera straordinaria, che sembra quasi un compianto sul Cristo Bambino, più che una nascita, pervasa com’è da un senso di desolazione e mestizia. Rubarla, scrive l’autore, “ è stato un gioco da ragazzi… l’oratorio di San Lorenzo aveva una porta difettosa. È bastato un trincetto, un coltelletto e via, i ladri sono entrati”. Appena scoperto, il furto non è stato subito denunciato alla polizia, perdendo così del tempo prezioso che avrebbe consentito una ricerca più efficace, e solo un giorno e mezzo dopo la notizia arriva ai giornali. Da quel momento l’opera diventa il simbolo dell’arte sublime, da proteggere e tutelare, mentre prima era solo una delle tante opere d’arte italiane, non più nota degli splendidi stucchi del Serpotta che ornano l’oratorio.

Sulla copertina del libro troviamo l’opera di oreficeria forse più famosa del mondo, la Saliera di Francesco I, realizzata da Benvenuto Cellini e conservata nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Si tratta di uno dei pochissimi capolavori di oreficeria sopravvissuti, perché le opere di oreficeria erano considerate arte minore e pertanto l’oro veniva spesso fuso per ricavare altri oggetti. Ma, come scrive Nannipieri nel capitolo dedicato alla Saliera, “l’arte non è minore se è vestita d’oro”.  Si tratta, in effetti, di un oggetto di grande raffinatezza, che ha come motivo principale due divinità nude, le cui gambe sembrano intrecciarsi mentre i busti si spingono indietro in un armonioso equilibrio. Nettuno, che indica una barca (che doveva contenere il sale), rappresenta il mare, mentre l’altra divinità, Cerere, simboleggia la terra e ha accanto un tempietto ionico per il pepe. Il suo furto, avvenuto l’11 maggio 2003, dimostra l’inefficienza di molti musei europei. Infatti il ladro riuscì a entrare nel museo arrampicandosi di notte sulle impalcature addossate a una parete per un restauro, a rompere una finestra del primo piano e a portarsi via la saliera dopo aver rotto la vetrina espositiva. L’allarme suonò ma i vigilanti, pensando che si trattasse di un falso allarme, disinserirono il sistema di allarme per poi riattivarlo e non fecero il dovuto giro di controllo. Il ladro chiese 10 milioni di euro come riscatto e, durante le trattative, per dimostrare che aveva l’oggetto, fece trovare il tridente di Nettuno. Nel 2006 l’opera è stata recuperata dopo che il ladro, intimorito dalle forti pressioni investigative, si consegnò alla polizia.

Altri furti clamorosi vengono raccontati nel libro, tra cui quelli dei due dipinti di Vincent van Gogh rubati nel Van Gogh Museum di Amsterdam nel 2002 e ritrovati nel 2016 a Castellamare di Stabia nell’abitazione del narcotrafficante Raffaele Imperiale. Sempre di Van Gogh sono Il Giardiniere e L’arlesiana rubati a Roma insieme a un Cezanne nella Galleria Nazionale d’Arte moderna nel 1998 e per fortuna recuperati dai carabinieri del TPC. Un capitolo è dedicato al più grande furto d’arte negli Usa risalente al 1990 presso l’Isabella Stewart Gardner Museum a Boston, definito “il piccolo Louvre del Massachussets”.

Furono asportati ben 13 capolavori, tra cui quattro opere di Degas e un Manet e importantissimi dipinti olandesi, Il concerto a tre di Vermeer, Cristo nella tempesta sul mare di Galilea di Rembrandt (l’unico paesaggio marino del grande olandese), e, sempre di Rembrandt, un piccolo ritratto realizzato a inchiostro su carta e un olio dal titolo Dama e gentiluomo in nero, entrambi del 1633. Il museo non ha celato negli anni la dolorosa perdita, ma anzi conserva a vista le cornici vuote e con un’app del cellulare si possono visionare le opere, per il cui ritrovamento viene offerta una ricompensa di 10 milioni di dollari, garantendo riservatezza e anonimato a chiunque voglia dare informazioni.

Ci sono musei che, al contrario, cercano di dimenticare il furto subito, come nel caso del Ritratto di signora di Gustav Klimt, rubato a Piacenza (Galleria Ricci Oddi). Klimt è un autore poco presente nei musei italiani e pertanto la sua perdita colpì particolarmente l’opinione pubblica, anche se non si trattava di un’opera famosa. Certamente famosissimo è L’urlo di Edvard Munch, sicuramente l’opera più conosciuta dell’espressionismo nordico, più volte oggetto, nelle sue varie versioni, di incredibili furti, come quello del 22 agosto 2004 nel Munchmuseet di Oslo (il quadro è stato recuperato due anni dopo).

Altri interessanti capitoli raccontano la perdita e talvolta il recupero di altri capolavori, con titoli che fanno riflettere, come per esempio “Il Giorgio de Chirico del Musée des Beaux-Arts di Béziers. Il ladro vivrà appagato di ciò che ha sottratto al mondo”, “Mantegna, Tintoretto, Pisanello, Rubens e il Museo di Castelvecchio a Verona. Le opere verso l’Ucraina e la Moldavia raccontano la fragilità della tutela”, “La Venere di Morgantina. Contrabbandieri intorno al museo che non ha limiti di spesa”. Il museo in questo caso è il Paul Getty Museum, che ha acquistato opere provenienti da scavi clandestini in Italia, spesso spezzate per poter essere facilmente trasportate, come è successo anche al bellissimo trapezophoros (sostegno di mensa) in marmo di Afrodisia (IV secolo a.C.) con due grifoni che sbranano una cerva, scavato clandestinamente ad Ascoli Satriano (Foggia) e recuperato negli USA dal TPC.

Trapezophoros, IV sec.a.C., Ascoli Satriano (Foggia)

L’ultima parte del volume è dedicata alle controversie storiche, relative al fatto che le opere d’arte sono passate spesso da un luogo a un altro attraverso le conquiste e le spoliazioni dei vincitori. Un caso su tutti è il Louvre di Parigi, nato quando Napoleone ha deciso di creare un museo universale depredando le opere più eccelse provenienti dai territori del suo impero, anche se lui sosteneva di salvare quelle opere. E ovviamente la maggior parte dei capolavori selezionati provenivano da collezioni e chiese italiane, perché l’Italia vantava un indiscusso primato artistico, in quanto erede del mondo classico. Per fortuna con il Congresso di Vienna (1814-1815) lo Stato Pontificio e le molte amministrazioni locali della penisola italiana ottennero la restituzione dell’80% delle opere, che rientrarono a Bologna alla fine del 1815 e a Roma all’inizio del 1816. Ricordiamo che fu Antonio Canova a trattare la restituzione dei beni pontifici, incaricato allo scopo da Pio VII, dato il prestigio di cui lo scultore godeva nei vari paesi europei.

Venere di Morgantina-V sec. a.C, Aidone, Enna

Indubbiamente l’appropriazione di opere d’arte come bottino di guerra è una pratica che c’è sempre stata ed è meno grave rispetto al saccheggio distruttivo, perché non di rado ha permesso la conservazione di opere che altrimenti sarebbero andate perdute. La cosa inedita nel caso della Francia napoleonica è stata la parvenza di regolarità data alle spoliazioni sistematiche, facendole passare come clausole dei trattati di pace, per dar lustro al Louvre, concepito come rivoluzionario “Museo della Libertà”, e questo nel secolo dei Lumi, senza tener conto che privare un popolo dei suoi beni artistici è altrettanto grave che privarlo della libertà, perché lo si priva delle sue radici storiche e culturali. In tempi più recenti si ricordano le spoliazioni fatte dall’esercito nazista e il contrabbando internazionale di antichità frutto di razzie e sciacallaggi nel Medio Oriente, dove oltretutto si assiste anche alla distruzione del patrimonio architettonico di città simbolo di cultura, come Palmira in Siria.

Con i suoi racconti Luca Nannipieri ci porta a riflettere sulla complessità dell’arte, sull’amore e sulla bramosia che suscita e sulla lotta che ne consegue per appropriarsene. Ogni anno spariscono 20000 opere d’arte, ma è impensabile che tuttora spariscano capolavori da musei che dovrebbero essere controllati adeguatamente.

Il libro, ricco di particolari e di citazioni di studiosi, di cronache giudiziarie e giornalistiche, mette in evidenza la bellezza e il valore dei capolavori rubati e di quanto essi ci manchino perché non li abbiamo più, come succede per la perdita dei propri cari.

Non è vero che la bellezza salverà il mondo, afferma l’autore, perché la bellezza spinge l’uomo ad appropriarsene. La bellezza attrae, ma suscita anche il male. Se il male non può essere estirpato dall’uomo, è importantissima la tutela ed è comunque importante educare i più giovani alla giusta ammirazione e non al desiderio di possesso di opere che dovrebbero essere patrimonio condiviso da tutti nei musei e nei siti archeologici.

Nica FIORI    Roma  ottobre 2019

Luca Nannipieri, Capolavori rubati. Ed. Skira, Milano, 2019, 192 pagine, 19€