Gregorio Preti risarcito (Parte 2^). L’apostolato di Gregorio Preti e un parallelo con Giuseppe Vermiglio.

di Massimo PULINI

L’Apostolato di Gregorio Preti e un parallelo con Giuseppe Vermiglio.

(atto secondo)

Nel corso del XVII secolo la rappresentazione del tema apostolare, in serie pittoriche complete, è diffusa a macchie di leopardo lungo il territorio italiano, ma trova una più decisa concentrazione nelle aree che hanno avuto una dominazione o una marcata influenza spagnola. Nella penisola iberica, in quel secolo, si riscontrano sovente anche gruppi di opere che intendono raffigurare i differenti martirii degli Apostoli, mentre le iconografie italiane si limitano a elencare i primi seguaci di Gesù presentandoli, in genere, a mezzo busto e con i soli attributi che permettono di identificarli.

La differenza è sostanziale e produce risultati espressivi decisamente contrastanti. Le variegate modalità di supplizio che furono imposte a quei discepoli della prima ora, al compimento della loro missione evangelica, si concentrano sovente nelle chiese spagnole in un unico retablo che viene concepito come un vero e proprio repertorio di orrori. Decollazioni e bastonate, lapidazioni e scorticamenti, mutilazioni di arti e lance che trafiggono i corpi si avvicendano in un elenco brutale, che nel suo moltiplicarsi assume una intonazione morbosa. Quelle scene atroci non possono che dimostrarsi concitate e chiassose, drammaticamente mosse, e immaginate in scenari vagamente esotici.

Per comprendere tale tradizione e quanto fossero le stesse committenze iberiche a richiedere vere e proprie sequenze di macelleria umana, basterebbe ricordarsi come si comportò nel suo soggiorno spagnolo un artista italiano come Luigi Amidani, chiamato più volte ad eseguire quel vasto apparato di iconografie. Ne diedi notizia in un mio saggio di qualche anno fa proprio su questa rivista e a quello rimando per dimostrare come la serie del pittore parmense divenne organica al mondo spagnolo finendo per essere da ispirazione ai Disastri della Guerra di Francisco Goya[1].

Disponiamo anche di una controprova, perché a un artista spagnolo che si trovava a operare in Italia poteva capitare invece di venir chiamato a compiere serie apostolari molto più semplici e risolte in forma di ritratto ideale. I cicli di Jusepe de Ribera sono esemplari in tal senso e mostrano i dodici [2] a figura singola con un solo strumento in mano, che in genere si limita ad evocarne il martirio, evitandone l’ostentazione.

Questa tipologia iconografica risulta decisamente più intima e nel suo somigliare a un ritratto eseguito in un interno, si sposa maggiormente anche allo stile caravaggesco. Le composizioni sono risolte con un’unica figura posta a ridosso di un muro e investita da una luce diagonale, tutto questo spinge d’abitudine l’autore a uno scandaglio dell’individuo determinando, attorno a quello, un silenzio profondo che ispira meditazione. Per tale ragione anche le opere di Gregorio Preti, legate al genere, appaiono più naturalistiche di quanto non siano nell’indole dello stesso autore.

Se nel primo saggio [3] sul pittore calabrese ho cercato di dimostrare lo scarto di verità nella presunta adesione al caravaggismo, con questo secondo testo devo riconoscere che il tema degli Apostoli avvicina Gregorio ai risultati di alcuni sinceri seguaci del Merisi. L’apostolato di Sutri e Nepi [4], già protagonista di due appuntamenti espositivi che hanno segnato la riscoperta del fratello maggiore di Mattia, evidenzia una poetica che risente di esiti ribereschi e ora possiamo anche dire ‘mendozziani’. Dopo il riemergere dell’ultima importante personalità del caravaggismo romano infatti è agevole constatare un ruolo non secondario di quello che fino a poco tempo fa veniva chiamato il “Maestro dell’Incredulità di San Tommaso[5].

Anche in quei casi si è tuttavia reiterata l’abitudine a sottrarre le idee migliori a Gregorio, malgrado la serie si presenti del tutto coerente. Alcuni aiuti di Mattia sono di certo immaginabili, ma solo nelle opere dei primi anni Trenta e si dovrebbe iniziare a dare un più consistente credito creativo al fratello maggiore, la cui attività era feconda e per nulla carente di invenzioni. Semmai gli si può imputare qualche lacuna nella cura dei dettagli espressivi e un eccesso di sintesi sbrigativa nella stesura pittorica. Ritengo perciò che il gruppo viterbese vada assegnato interamente a Gregorio perché tutte le figure corrispondono ai personaggi presenti in vari altri suoi quadri, segnando un alfabeto sentimentale che ormai gli si deve riconoscere senza ulteriori riserve.

1. Gregorio Preti, San Bartolomeo, Nepi, Santa Maria Assunta
2. Gregorio Preti, San Pietro, Nepi, Santa Maria Assunta

Le undici tele  Sutri e Nepi (foto 1-11), giustamente variegate nei caratteri di ogni singolo Apostolo, formano un insieme armonico e coerente[6]. L’aggraziarsi del volto di San Giovanni e del Cristo deriva da una necessità tematica e lascia emergere quella vocazione alla maniera che ho già indicato essere la sua cifra più genuina.

3. Gregorio Preti, San Matteo, Nepi, Santa Maria Assunta
4. Gregorio Preti, San Andrea, Nepi, Santa Maria Assunta
5. Gregorio Preti, San Giacomo Maggiore, Sutri, Santa Maria Assunta
6. Gregorio Preti, San Tommaso, Sutri, Santa Maria Assunta

Indubbiamente San Tommaso, San Paolo, San Pietro, San Matteo, Sant’Andrea e San Bartolomeo hanno una attitudine psicologica più intensa, corrispondente alle cosiddette “teste di carattere” che la lezione carraccesca aveva posto come canone in epoca di controriforma.

8. Gregorio Preti, San Simone, Sutri, Santa Maria Assunta
7. Gregorio Preti, San Filippo, Sutri, Santa Maria Assunta

 

 

Giuseppe Porzio, in un suo articolo del 2012[7]

9. Gregorio Preti, Salvator Mundi, Sutri, Santa Maria Assunta
10. Gregorio Preti, San Paolo, Sutri, Santa Maria Assunta

ha pubblicato le foto di quattro Apostoli ritrovati ad Entracque, in provincia di Cuneo con la giusta attribuzione a Gregorio, ma credo sia opportuno mostrare in questa occasione gli undici dipinti sopravvissuti della serie (foto 12-22), perché costituiscono un’aggiunta cruciale alla ridefinizione del laboratorio pretiano.

11. Gregorio Preti, San Giovanni Evangelista, Sutri, Santa Maria Assunta

Nel corpus di Entracque non vi è nulla che possa ricondurre alla mano di Mattia eppure risulta nobile l’impianto di ogni figura e molto raffinato appare l’insieme.

12. Gregorio Preti, Salvator Mundi, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
13. Gregorio Preti, San Giacomo apostolo, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
14. Gregorio Preti, San Tommaso, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
15. Gregorio Preti, San Giovanni evangelista, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra

Mi viene a questo punto spontaneo allestire un confronto con una serie inedita di Apostoli che qui attribuisco a Giuseppe Vermiglio e che si trova a Concorezzo[8] (foto 23-31), nei pressi di Monza, anch’essa dunque ai margini dell’arco occidentale della Pianura Padana, ma nel versante meneghino.

16. Gregorio Preti, San Filippo, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
17 Gregorio Preti, San Matteo, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra

Anche le scelte di Vermiglio cadono sulla semplicità e sull’atmosfera silente che avvolge i protagonisti, ma la sobrietà dell’artista lombardo, nella produzione matura che realizzò una volta rientrato in patria, è il risultato di una spoliazione quasi francescana che in qualche misura si allontana dalla cultura romana e caravaggesca nella quale si era formato.

18. Gregorio Preti, San Pietro, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
19. Gregorio Preti, San Giacomo Minore, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
20. Gregorio Preti, San Bartolomeo, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
21. Gregorio Preti, San Andrea, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra
22. Gregorio Preti, San Giuda Taddeo, Entracque (Cuneo), Museo Parrocchiale d’Arte Sacra

Giuseppe è un “Pittore del ritorno[9], che sembra intenerirsi nel cercare una rinnovata sintonia con l’ossequiosa devozione parrocchiale delle proprie terre.

23. Giuseppe Vermiglio, San Pietro, Concorezzo (Monza), Archivio Storico
24. Giuseppe Vermiglio, San Paolo, Concorezzo (Monza), Archivio Storico

 

Quindi le ragioni che separano il gruppo apostolare di Concorezzo di Vermiglio dall’acuto caravaggismo che lo stesso artista lombardo espresse a Roma sono frutto di un percorso quasi inverso rispetto a quello messo in campo da Gregorio Preti.

25. Giuseppe Vermiglio, San Matteo, Concorezzo (Monza), Archivio Storico
26. Giuseppe Vermiglio, San Giacomo Minore, Concorezzo (Monza), Archivio Storico

È come se i due si fossero dati appuntamento nel nord giungendovi da sentieri opposti.

27. Giuseppe Vermiglio, San Bartolomeo, Concorezzo (Monza), Archivio Storico
28. Giuseppe Vermiglio, San Giovanni Evangelista, Concorezzo (Monza), Archivio Storico (con ridipinture)

Ritengo che il gruppo pretiano di Nepi e Sutri, assieme agli altri che ora vedremo, attesti dunque il punto di sua massima prossimità al movimento naturalista, al linguaggio dei seguaci di Merisi, mentre per Vermiglio quel simile esito costituisce la dichiarazione di una volontaria separazione.

29. Giuseppe Vermiglio, San Tommaso, Concorezzo (Monza), Archivio Storico
30. Giuseppe Vermiglio, San Taddeo, Concorezzo (Monza), Archivio Storico

Cionondimeno va ribadito che neppure nelle opere viterbesi di Gregorio l’attenzione pittorica si avventura nell’anima dei dettagli, nelle pieghe del tempo umano o nell’analisi fisica degli individui.

31. Giuseppe Vermiglio, Sant’Andrea, Concorezzo (Monza), Archivio Storico

Il suo caravaggismo rimane “alla maniera” e forse non dobbiamo chiedergli più di questo, semmai dovremmo comprenderne gli intenti che lo muovono e trovare nella medianità la poetica che vi è di certo annidata.

Ma in questo dialogo indiretto tra Vermiglio e Gregorio ci sono ancora alcune scoperte che possono aggiungere ulteriori elementi di confronto e di riflessione.

Nel Museo Diocesano di San Sebastiano a Cuneo sono conservati infatti i busti di cinque Apostoli: San Bartolomeo, San Matteo, San Filippo, Sant’Andrea e San Tommaso (foto 32-36), che facevano certamente parte di una serie completa, per la prima volta qui vengono presentati sotto il nome di Gregorio Preti e documentata presso il complesso monastico di San Sebastiano sin dal 1645, ma fino ad ora relegati all’anonimato[10].

In una nota di quell’anno viene fatta menzione di ben due serie apostolari che giungevano da Roma e che venivano offerte al prezzo complessivo di 240 scudi, una cifra che appare modesta in rapporto al numero elevato delle opere acquistate. Spicca sulle cinque tele superstiti lo sguardo di mesta malinconia che rivolge il San Bartolomeo. Totalmente privo di capelli, ma ancora vestito della propria pelle, quasi che il supplizio avesse riguardato solo lo scalpo anziché l’intero corpo.

32. Gregorio Preti, San Bartolomeo, Cuneo, Museo Diocesano di San Sebastiano
33. Gregorio Preti, San Matteo, Cuneo, Museo Diocesano di San Sebastiano
34. Gregorio Preti, San Filippo, Cuneo, Museo Diocesano di San Sebastiano
35. Gregorio Preti, Sant’Andrea?, Cuneo, Museo Diocesano di San Sebastiano
36. Gregorio Preti, San Tommaso, Cuneo, Museo Diocesano di San Sebastiano
37. Gregorio e Mattia Preti, Archimede, Varese, Museo Larizza (cm. 130 x 95)
38. Gregorio Preti, San Giacomo minore, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle

Bellissimi anche il San Matteo con l’accetta in pugno e il probabile Sant’Andrea che con la mano alzata e la posa frontale si rivolge all’osservatore con insolita intensità.

39. Gregorio Preti, San Matteo, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
40. Gregorio Preti, San Giovanni Evangelista, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle

Ma nella diocesi di Cuneo, così lontana dalla postazione romana di Gregorio, si possono enumerare ben tre serie di Apostoli che ora possiamo ricondurre a lui e la terza che presento si trova conservata presso l’Azienda Ospedaliera cuneense intitolata a Santa Croce[11] (foto 38-51).

41. Gregorio Preti, Sant’Andrea, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
42. Gregorio Preti, San Bartolomeo, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle

Nel gruppo di quattordici tele ricorrono fisionomie familiari ed un ventaglio di espressioni che conferma senza meno l’attribuzione, ma in particolare emerge la qualità espressiva di uno degli Apostoli, il San Giacomo Minore, che ha la mazza del suo martirio in mano, il volto rivolto al cielo e porta una singolare barba metà bianca e metà nera. In questo caso si scorge l’utilizzo di un modello vivente e dovette essere lo stesso che ha posato per l’Archimede del Museo Larizza di Varese (vedi foto 37), opera assegnata al fratello Mattia ma che da tempo ritengo frutto condiviso con la mano di Gregorio.

43. Gregorio Preti, San Pietro, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
44. Gregorio Preti, San Paolo, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
45. Gregorio Preti, San Giacomo Maggiore, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
46. Gregorio Preti, San Simone, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle

Stabilire con precisione i perimetri di stile della bottega di Gregorio, entro la quale fiorì il genio di Mattia, risulta ancora arduo;

47. Gregorio Preti, Salvator Mundi, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
48. Gregorio Preti, Vergine, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle

prima che quei contorni diventino netti, totalmente distinti tra i due fratelli, ci sarà ancora una stagione di studi lungo la quale rimarranno pareri discordanti e oscillazioni di posizione.

49. Gregorio Preti, San Filippo, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
50. Gregorio Preti, San Tommaso, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle
51. Gregorio Preti, San Giuda Taddeo, Cuneo, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle

Ma le cento nuove tracce di ricerca e il ritrovamento di queste serie di Apostoli permette, a mio avviso, di estrarre altre opere dal catalogo strutturato di Mattia per aggiungerle a quello esuberante, ma finora approssimativo, di Gregorio. Forse i due congiunti decisero di realizzare insieme alcuni cicli di opere e ritengo impossibile stabilire a chi spetti l’idea di iniziare una tematica laica, legata al pensiero umanistico e scientifico. Di certo videro opere di Ribera che potevano scuotere il pensiero e indicare una nuova strada di lavoro. Va pensato allora, come frutto del solo Gregorio, come già ritenuto da altri studiosi[12], anche un secondo filosofo, il Tolomeo di collezione privata (foto 52), oltre a due più misteriosi personaggi (foto 53 e 54) che dimostrano eloquenti differenze dallo stile del fratello più famoso, vi emerge infatti una maggiore essenzialità di esecuzione che ormai è divenuta cifra del Preti più anziano[13].

52. Gregorio Preti, Tolomeo, Collezione privata (già attr. a Mattia)
53. Gregorio Preti, Allegoria della Vista, Bologna, collezione privata (come Salvator Rosa)
54. Gregorio Preti, Allegoria del Gusto, Collezione privata (come Mattia Preti)

Non mi sento di dire con certezza se l’uomo con gli occhiali che infila un ago (foto 53) o il fumatore col turbante che regge un calice (foto 54) nascondano pure loro le figure di due pensatori dell’antichità, ma è evidente che condividono lo spirito dei ritratti ideali e insieme quel tanto di enigma che anche gesti semplici possono contenere. Aderisco all’idea di Tommaso Borgogelli che vede il ‘sarto’ come parte di una serie legata ai Cinque sensi[14] e anche le misure consentono di tenerlo affiancato al ‘fumatore di pipa’. Anche se dal tema sacro si passa all’Allegoria o al contesto storico, che restituisce un volto a grandi letterati e studiosi delle scienze naturali, non risultano troppo differenti le scelte compositive delle tele, da quelle degli Apostoli. Ancora non sappiamo se i filosofi facessero parte di una serie compiuta o fossero concepiti come opere isolate, fatto sta che questa può essere l’occasione per mettere, uno di fronte all’altro anche alcune opere che sono state di recente attribuite giustamente a Mattia.

Credo significativo il fatto che l’Allegoria della vista, reggesse una tradizionale attribuzione a Salvator Rosa, la stessa che aveva il Pindaro di collezione privata (foto 55) prima di venir riportato nel catalogo di Mattia[15].

55. Mattia Preti, Pindaro, collezione privata (olio su tela, cm.127 x 95)

Quest’ultimo dipinto ha una innegabile prossimità col giovanile Autoritratto del Rosa conservato alla National Gallery di Londra (foto 56). Non a caso quel ritrarsi con la mano appoggiata sul motto che invita al silenzio equivale a un Autoritratto in veste di filosofo.

56. Salvator Rosa, Autoritratto come filosofo, Londra National Gallery

Credo appartenga a Mattia Preti anche un altro inedito Filosofo coronato d’alloro con una coppa di vino in mano, forse identificabile con Pitagora (salvo non si tratti di un’altra Allegoria del Gusto), che è transitato da Wannenes a Genova il 30 maggio 2018 come opera di anonimo, ma ne veniva segnalata una precedente attribuzione a Jan Van Dalem[16] (foto 57).

57. Mattia Preti, Filosofo (Pitagora?Allegoria del Gusto?), già Genova, Wannenes 30 maggio 2018 (già attr. a Jan Van Dalem)

Ritengo possa considerarsi un esempio giovanile di Mattia ancora interno al laboratorio del fratello. Le dimensioni della tela sono inferiori alle altre finora raccolte, ma sono analoghe al Virgilio di collezione privata (foto 58) che tuttavia dimostra una già avvenuta conoscenza con Guercino.

58. Mattia Preti, Virgilio, collezione privata (olio su tela, cm. 72 x 60)
59. Mattia Preti, Omero, Venezia, Gallerie dell’Accademia (olio su tela, cm. 102 x 81)

Non va dimenticato anche l’Omero delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che chiude al momento il cerchio dei grandi pensatori antichi riferibili a Mattia.

In questo caso va ricordata la vicinanza, di stile e di tema, con certi esiti di Pier Francesco Mola (foto 60) ed è sintomatico che Federico Zeri concepisse la tela veneziana come prodotto di quest’ultimo[17].

60. Pier Francesco Mola, Omero, Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Corsini

Resta innegabile però che la matrice primaria degli Apostoli e dei Filosofi, sia quella di Gregorio che di Mattia, vada rintracciata nelle opere romane del Ribera e più di ogni altra lo dimostra la raffigurazione del Tatto di Pasadena (foto 61) che è quasi un’altra interpretazione della figura di Omero.

61. Jusepe de Ribera, Il Tatto, Pasadena (Los Angeles), Norton Simon Museum
62. Gregorio e Mattia Preti, San Tommaso, Torino, Giamblanco
63. Gregorio Preti, San Tommaso d’Aquino, Taverna, Museo

L’Apostolo della Galleria Giamblanco di Torino (foto 62), è mutuato da quello e forse vede nella stessa tela la mano di entrambi i fratelli. Mentre risulta del solo Gregorio il San Tommaso d’Aquino del Museo di Taverna (foto 63), che pur dimostrandosi un ritratto fortemente introspettivo è infatti evidente che l’intera gestione dell’opera sia stata condotta dal fratello più anziano.

64. Gregorio Preti, San Giacomo Minore, già Monaco, Hampel 27 giugno 2019 (come Mattia Preti)
65. Gregorio Preti, San Matteo, Zagabria, Accademia delle Scienze (come Jusepe de Ribera)

Chiudo questo secondo saggio su Gregorio ritornando al tema degli Apostoli e segnalando alcune opere sparse, a partire da un San Giacomo Minore transitato nel mercato antiquario tedesco come Mattia (foto 64), dove tuttavia lo stile di Gregorio risulta palese. Difficile dire se è della stessa serie di un San Matteo che nel museo di Zagabria[18] è ancora assegnato al Ribera (foto 65), mentre è già giustamente attribuito a Gregorio da Marini e Spike il bellissimo San Tommaso apostolo di collezione privata napoletana[19] (foto 66) al quale affianco due volti intensi il primo (foto 67) trattato con una sapienza pittorica carraccesca che impressiona e l’altro (foto 68) che, come in un esercizio di stile, declina in direzione caravaggesca la medesima fisionomia[20].

66. Gregorio Preti, San Tommaso, Napoli, Collezione privata
67. Gregorio Preti, Testa virile, Ubicazione ignota (abbozzo a olio su carta)
68. Gregorio Preti?, Busto di apostolo, già Firenze, Pandolfini 2 ottobre 2019 (come anonimo napoletano del XVII secolo)
69. Paolo Porpora con Gregorio o Mattia Preti?, Pescatore con cesta di pesci, Napoli, Collezione privata (figura già attribuita a Salvator Rosa e Agostino Beltrano)

Il carattere mutevole di queste ultime opere, ruotato intorno a una stessa espressione scorciata, pone qualche quesito ancora da risolvere, ma fa comprendere le alte potenzialità di un artista, generoso per quantità e per varietà di stile. Dopo questa sequenza viene da chiedersi se si deve a Gregorio o al fratello Mattia la figura di intenso lupo di mare che qualche anno fa Leone De Castris ha riferito ad Agostino Beltrano[21], con la collaborazione di Paolo Porpora (Foto 69). La questione è del tutto aperta e in un’Ultima Cena storicamente assegnata ad Agostino e conservata nel Duomo di Pozzuoli (Foto 70) si ritrova, proprio tra gli apostoli, il volto torvo del Pescatore che mostra una cesta di pesci.

70. Agostino Beltrano, Ultima Cena, Pozzuoli, Duomo

In ogni caso quel quadro straordinario, che dietro alla figura aggiunge anche un inedito paesaggio marino da ricondurre allo stesso Porpora, implicherebbe un rapporto più stretto dei due fratelli Preti con l’ambiente napoletano. Non è dunque un caso che si siano tolte opere dal catalogo di Andrea Vaccaro o di Guarino, così come ancora transitano, proprio sotto il nome di Beltrano[22], opere che vanno restituite a Gregorio (Foto 71).

71. Gregorio Preti, Lot e le figlie, già Milano, Porro, 21 ottobre 2009 (come Agostino Beltrano)

Se la prima mostra dedicata al pittore portava come sottotitolo “un problema aperto[23] anche questi due lunghi saggi, queste cento tracce per un nuovo percorso di studi, non potevano che chiudersi con qualche punto interrogativo su Gregorio Preti.

Un pittore pratico di mestiere anche se discontinuo, ma non certo estraneo al sentimento, un pittore che faticosamente tenta tuttora di uscire dal cono d’ombra proiettato dalla luminosa carriera del fratello. La stima ricevuta in vita e il ruolo avuto nella piazza romana, la più competitiva dell’epoca, cinondimeno attestano Gregorio come un maestro e spezzare una lancia in suo favore acquista un sapore particolare leggendo i passi a lui dedicati dal De Dominici: “Lo amavano, e proteggeano fra gli altri il Cardinale Rospigliosi, e D. Paolo Borghese Principe di Rossano, e gli avevano ottenuto dal Papa l’onore del Cavalierato delle lancie spezzate[24], sicché, anche l’appellativo di “Cavalier Calabrese”, che comunemente definisce la figura e lo status di Mattia, andrebbe quantomeno allargato spettando, di fatto, pure a Gregorio che ottenne la carica ancor prima del fratello minore.

Massimo Pulini

Per aver agevolato la mia ricerca va un sincero ringraziamento a Laura Marino, direttrice del Museo Diocesano di Cuneo, a Rita Aimale responsabile del patrimonio dell’Azienda Ospedaliera di Santa Croce e Carle e, sempre a Cuneo, a Giorgio Olivero, fotografo delle due serie di Apostoli. Anche a Alberto Marchesin e Tommaso Borgogelli va la mia riconoscenza per avermi segnalato alcune pubblicazioni che non conoscevo.

Massimo PULINI  Montiano, 12 Febbraio 2023

NOTE

[1] Vedi Massimo Pulini, Luigi Amidani da Parma a Madrid, da pittore dei Farnese a ‘confidente’ di Velázquez, in “About Art Online”, uscito nel novembre 2020 e Massimo Pulini, Luigi Amidani e Diego Velàzquez, in “VELÁZQUEZ EN ITALIA Entre Luigi Amidani y Juan de Córdoba catalogo della mostra a cura di José María Luzón Nogué, Madrid 2022, pp. 27-43.
[2] Tra le varie redazioni di Apostoli compiute in Italia dal pittore spagnolo Jusepe De Ribera, quelle più note oggi sono due con le figure dipinte a mezzo busto, una è conservata alla Quadreria dei Girolamini di Napoli, databile tra il 1616-1618 e di cui rimangono superstiti solo tre pezzi,( olio su tela, cm ciascuno 78×65), e un’altra al Museo del Prado di Madrid, (olio su tela ciascuno cm 76×64), databile tra il 1630-1635 e di cui rimangono superstiti ben tredici dei quattordici dipinti che costituivano l’originaria serie. Una terza redazione anch’essa nota, nonostante alcuni dubbi di attribuzione, di cui sono superstiti cinque pezzi, (olio su tela, ciascuno cm. 126×96) con le figure dipinte “a tre quarti”, databile tra il 1615 e il 1624, è invece nella collezione Longhi di Firenze.
[3] Il primo intervento è uscito su About Art Online nel gennaio 2023.
[4] L’apostolato di Nepi e Sutri venne reso noto da Sivigliano Alloisi nel 1987 come impresa del solo Mattia Preti, ma all’epoca la figura di Gregorio era del tutto assente dal radar degli studi, si deve a Spike la restituzione parziale a Gregorio, mantenuta dalla mostra “Gregorio Preti, calabrese (1603-1672). Un problema aperto” a cura di Rossella Vodret e Giorgio Leone, Cosenza 2004.
[5] Vedi, Massimo Pulini, Bartolomeo Mendozzi da Leonessa. Un maestro del Seicento tra l’Incredulità, il caso Ducamps e i nuovi documenti, Rimini, edizioni NFC 2022.
[6] Sull’apostolato di Sutri e Nepi vedi nota n. 4.
[7] Giuseppe Porzio, Per una rivalutazione di Gregorio Preti, in Art Italies, n. 18, 2012, pp. 39-45. Lo studioso segnala in una nota anche l’esistenza di una serie conservata in Francia, ad Aix-les-Bains, nella chiesa di Notre-Dame. L’apostolato francese ha indubbiamente una stretta vicinanza con lo stile di Gregorio, ma per le cattive condizioni e per il pessimo materiale fotografico a disposizione sul sito del Patrimonio Nazionale francese ho scelto di non pubblicarli in questa sede, riservandomi di farlo in altra occasione, nella quali si dovranno discutere le autografie specifiche di ogni figura, dato che sono evidenti mani diverse.  Per l’apostolato di Entracque vedi anche: Entracque. Una comunità alpina tra Medioevo ed Età moderna, a cura di Rinaldo Comba e Mario Cordero – 1997 – B.S.S.S.A.A.
[8] Gli apostoli che attribuisco a Giuseppe Vermiglio si trovano a Concorezzo (Monza), presso l’Archivio Storico. Un’altra serie inedita ma autografa di Giuseppe si trova nella Diocesi di Bergamo come “ambito lombardo” (vedi Beweb chiesa cattolica), mentre una terza, che pare uscita dalla bottega di Vermiglio si trova presso la diocesi di Casale Monferrato, come ambito piemontese, sempre nell’archivio online della chiesa cattolica.
[9] Vedi Massimo Pulini, Per Giuseppe Vermiglio. Pittore del ritorno in “Paradigma” n. 11, 1996, pp. 49-58.
[10] Per i due Apostolati di Cuneo vedi: Cantieri e documenti del barocco. Cuneo e le sue valli. Catalogo della mostra a cura di G. Romano, G. Spione – L’Artistica Editrice, 2003 – ISBN: 8873200729 e La carità svelata. Il patrimonio storico artistico della Confraternita e dell’Ospedale di Santa Croce in Cuneo, a cura di G. Romano e G. Spione, Ed. Nerosubianco, 2007 – ISBN: 8889056193. Il 15 ottobre 1645 il cappellano Ludovico da Carmagnola dei Minori Osservanti, richiamato dai padri provinciali ad altro servizio “offerisce in vendita 15 quadri dell’Apostoli”; il 21 gennaio 1646 si acquistano i quadri a £. 240; il 18 aprile dello stesso anno “per le lire 100 ancora da pagarsi i fratelli propongono di pagar lira 20 a quadro col permesso di apporvi le armi”. Come si evince dalla scheda relativa alle tele, firmata da G. Sacchetto e pubblicata nel 1991 nell’archivio ICCD del catalogo generale dei Beni Culturali: l’apostolato è stato avvicinato dalla Galante Garrone ad altre serie di analogo soggetto presenti nel cuneese nei quali è leggibile l’influenza della pittura genovese del XVII secolo, con evidenti richiami al caravaggismo. In particolare si propone il confronto con l’apostolato presente nel Museo parrocchiale di Entracque. Ringrazio le due direttrici Laura Marino e Rita Aimale per avermi fornito le foto dei dipinti e gli estremi bibliografici relativi. Le singole opere misurano ognuna circa cm. 95×71.
[11] Vedi scheda precedente che lega insieme la documentazione relativa agli Apostoli del Museo Diocesano, a quelli conservati in Santa Croce e che ora appartengono all’Azienda sanitaria territoriale.
[12] Gregorio Preti, Tolomeo, Milano, Collezione privata, pubblicato da Franco Moro nel 1997 come opera di Mattia (vedi R. Morselli, Cinque ritratti di filosofi greci antichi di Domenico Fetti, in Albl-Lofano 2017, pp. 171-192.) venne segnalato nel 1999 da J. Spike come Mattia Preti mentre appare riferito a Gregorio nel sito www.mattiapreti.it a firma di Giglio Italiano.
[13] (Foto 53) Gregorio Preti, Allegoria della Vista, la vidi qualche anno fa a Bologna in una collezione privata dove veniva considerata opera di Salvator Rosa (Olio su tela, cm. 97 x 68). Mentre la foto 54. Gregorio Preti, Allegoria del Gusto Collezione privata, venne pubblicato da Lattuada come Mattia Preti, vedi R. Lattuada, Un “Archimede” inedito del giovane Mattia Preti, in P. Di Loreto (a cura di), L’arte di vivere l’arte. Scritti in onore di Claudio Strinati, Roma-Foligno 2018. Ma il 25 aprile 2007 l’opera (olio su tela, cm. 97,8 x 72,4) è transitata in un’asta londinese come possibile Gregorio Preti.
[14] Ringrazio Tommaso Borgogelli anche per avermi segnalato l’idea che il personaggio con gli occhiali che infila un ago possa trattarsi di una Allegoria della vista, questo permette di legare anche il Fumatore che tiene in mano un calice di vino con l’Allegoria del Gusto.
[15] Vedi “Mattia Preti, Un giovane nella Roma dopo Caravaggio”, mostra a cura di Giorgio Leone, Roma 2016.
[16] Foto 57. Mattia Preti, Filosofo (Pitagora?), già Genova, Wannenes 30 maggio 2018 come anonimo, ma veniva indicata in catalogo la precedente attribuzione a Jan Van Dalem, olo su tela, cm. 76 x 61.
[17] Nell’archivio fotografico tenuto da Zeri l’Omero delle Gallerie dell’Accademia di Venezia è classificato come opera di Pier Francesco Mola.
[18] (Foto 64) Gregorio Preti, San Giacomo Minore, già Monaco, Hampel 27 giugno 2019 (come Mattia Preti), cm. 88 x 72. Purtroppo mi sono ignote le misure del San Matteo di Zagabria (Foto 65), che forse faceva parte di un’altra serie. Impressiona a questo punto immaginare la mole di dipinti realizzati da Gregorio intorno a questo tema.
[19] M. Marini, Gregorio del Preite, pittore e suo fratello “Mathias”, dalla Calabria a Roma: tra Accademia e Natura, in C. Carlino, (a cura di), Gregorio Preti da Taverna a Roma 1603-1672, Reggio Calabria 2003, pp. 37-145; J. Spike (a cura di), Gregorio Preti. Un maestro ritrovato, catalogo della mostra, 2003 n. 21; J. Spike, Il taglio della luce. Il chiaroscuro nella pittura di Mattia e Gregorio Preti, catalogo della mostra a cura di, Viterbo 2004.
[20] Foto 66. Gregorio Preti, Testa virile, Ubicazione ignota, la foto mi venne fornita anni fa da un antiquario marchigiano con l’idea di un’opera carraccesca. Purtroppo non ne conosco le misure né l’attuale collocazione ma dalla foto il supporto sembra cartaceo. Mentre è un olio su tela e misura 48×37 centimetri il Busto di apostolo, già a Firenze, Pandolfini 2 ottobre 2019, transitato come anonimo napoletano del XVII secolo, ma da ricondurre a Gregorio Preti (Foto 68).
[21] Pierluigi Leone de Castris Percorso nella natura morta napoletana, Parigi, Galleria Canesso, 2007 pag. 20, fig. 5. Innegabile la relazione con un Apostolo dell’Ultima Cena del Duomo di Pozzuoli, anch’essa riferita al Beltrano (Foto 70).
[22] Gregorio Preti, Lot e le figlie, già Porro 21 ottobre 2009 (anche 12 maggio 2005), olio su tela, cm. 201×183 con attribuzione a Agostino Beltrano di Nicola Spinosa.
[23] Gregorio Preti, calabrese (1603-1672). Un problema aperto, catalogo e mostra a cura di Rossella Vodret e Giorgio Leone, Cosenza 2004.
[24] Vedi Notizie della vita del Cavaliere Fra Mattia Preti scritte da Bernardo de’ Dominici in Vite dei pittori, scultori, ed architetti napoletani, Napoli, 1742