Grande successo ad Arezzo alla presentazione del volume “L’arte di vivere l’arte. Scritti in onore di Claudio Strinati”

redazione (con uno scritto di Fabio Migliorati)

Grande successo ieri ad Arezzo per la presentazione del volume “L’arte di vivere l’arte. Scritti in onore di Claudio Strinati“, organizzata da Informarezzo presso la Fraternita dei Laici.
Il libro -realizzato in occasione del settantesimo compleanno del Prof. Claudio Strinati- è curato da Pietro di Loreto, ed è stato presentato dal Direttore della Galleria degli Uffizi, Prof. Eike Schmidt, e dallo storico dell’arte Fabio Migliorati.
Da sx: Pietro di Loreto, Eike Schmidt, Claudio Strinati, Fabio Migliorati e il sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli
Hanno presenziato il Sindaco Alessandro Ghinelli e il primo rettore della Fraternita dei lacici, prof. Pierluigi Rossi.

Prima di parlare dell’autorevole librone (440 pp, editore etgraphiae), i partecipanti hanno ammirato gli affreschi di Parri di Spinelli appena restaurati, sotto la guida della storica dell’arte e restauratrice, dott.sa Daniela Galoppi che ne ha svelato i significati.

Se a sovrintendere al restauro di Notre Dame de Paris dopo la Rivoluzione francese ci fosse stato Claudio Strinati, forse la troppo incisiva polemica tra la Scuola di Viollet-le-Duc e quella di John Ruskin sarebbe stata mitigata in un prodotto di minori danni. Nell’età romantica, la riflessione sul restauro si spaccò appunto intorno 1) all’estetica o 2) alla storia. Il restauratore per Viollet-le-Duc deve mettersi nei panni dell’architetto originario, penetrare nella sua mentalità. E attraverso uno studio rigoroso delle fonti, ricostruire il momento storico nel quale l’opera venne pensata. Restaurare un edificio non è affatto mantenerlo, ripararlo o rifarlo, è il ristabilirlo in uno stato completo che può non essere mai esistito in nessun momento. Il suo era un restauro “di ripristino”: l’obiettivo era quello di riportare il bene culturale alla sua condizione iniziale, quella che ne aveva caratterizzato la nascita.
In Viollet-le-Duc l’estetica prevale sulla storia, ed Eugène fu il primo architetto a operare in maniera scientifica nel campo del restauro per “documentare il passato” e poi interpretarlo, perché ciò che conta è una continua ricerca della bellezza. E l’uso dei nuovi materiali, soprattutto il ferro, diventa prezioso. Per Ruskin, invece, l’edificio somiglia a un organismo vivente: nasce, cambia, muore. E il tempo può solo aumentarne il fascino. In un edificio, la storia conta più dell’estetica. Restaurare, allora, è un atto immorale. Anzi, sostituire l’originale con una copia “è la peggiore delle distruzioni”. Cosa fare quindi di fronte a un monumento in rovina? La ricetta, al posto del restauro, come scriveva William Morris è soltanto “la tutela per evitare il degrado attraverso cure giornaliere”. Ho lavorato con Caludio Strinati nei primi 2000, quando aveva trasformato Palazzo Venezia in una sezione per gli artisti emergenti. Strinati è un estimatore di letteratura moderna, di teatro, di archeologia; è uno studioso di musica, di biografia, ma soprattutto non si farà mai scordare per la riorganizzazione di alcuni tratti della dirigenza pubblica museale romana, sfociati nelle mostre dell’opera di Domenichino, di Pietro da Cortona, di Lanfranco, di Sebastiano del piombo, di Caravaggio e i Caravaggeschi, di Carlo Saraceni, per finire con gli studi su Raffaello, Tiziano, Tiepolo, Mattia Preti, Guercino, Bronzino e altri. Dalla fine degli anni Settanta, Strinati aveva chiaro quale fosse il fervido legame tra tutela e valorizzazione, e come nessuna delle due potesse procedere troppo disgiunta dall’altra. Storicamente, Claudio Strinati è stato più o meno il campione dei trent’anni di romanità artistica che si sporgono dall’ultima decade del Cinquecento, nelle prime due del Seicento (da Innocenzo IX a Paolo V Borghese).                   

Fabio Migliorati Arezzo 2019